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Cavese


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Nella roccaforte del Partito Popolare
il fascista Della Monica divenne podestà
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Nelle elezioni del ’24 la pressione fascista si fece sentire. Rafforzato il regime, anche a Cava la propaganda diventò una fabbrica del consenso. Nei venti anni di dittatura sette personaggi si avvicendarono al potere tra divise e fez, olio di ricino e manganelli, relax del sabato e prove del fuoco. Caduto Mussolini,  l’avvocato De Ciccio fu  il primo commissario prefettizio
Biagio Angrisani



Il Novecento si apre con il cavalier Francesco Vitagliano Stendardo sindaco. Il vecchio secolo si era chiuso con un’alluvione. Lo Stendardo conservò la carica sino al 29 maggio del 1903 per poi rassegnare le dimissioni avendo perso la maggioranza in consiglio comunale. Gli applausi della folla presente alla pubblica seduta degenerarono in tumulti fronteggiati dalle forze dell’ordine. Il motivo? La destinazione d’uso della Villa Alba che da ex pastificio diventava una casa di cura.
Dal luglio del ’93 entra in carica il marchese Pasquale Atenolfi, già deputato e senatore del Regno d’Italia. La situazione politica era diventata incandescente sia a livello nazionale che locale. Dietro i vari schieramenti politici si andavano strutturando moderne forme di partiti che andava oltre il dualismo libero-scambisti/protezionisti che aveva in gran parte condizionato la vita politica del parlamento italiano nelle legislature ottocentesche post unitarie. Il grande arco delle forze liberali era diviso e influenzato dalle logge massoniche contrapposte e dove c’era (a Cava era fortissima) la presenza clericale si faceva sentire di nuovo. La crescita del movimento operaio e socialista aveva introdotto negli schemi la terza grande forza.
A Cava dal giugno del 1906 al luglio del 1907 fu di nuovo sindaco Vitagliano Stendardo. Il suo successore fu il comm. marchese Ernesto D’Agostino (agosto 1907-settembre ’08) che nel suo primo mese di  lavoro dovette gestire uno sciopero dei fornai. Quale soluzione scelse il sindaco? Chiese e ottenne dall’abate De Stefano la produzione nei forni della Badia di 506 quintali di pane, boicottando così l’azione dei lavoranti nei forni e attirandosi le ire degli anticlericali. All’epoca nella valle metelliana non esistevano gruppi socialisti organizzati e l’unico  deputato riformista era  Errico De Marinis.
Nel gennaio del 1909 diventò sindaco il dottor Guglielmo Mascolo che nel mese di agosto dello stesso anno inaugurò il tratto Salerno-Cava delle Tranvia elettrica. Dal febbraio del 1911 ecco primo cittadino Pietro De Ciccio che conservò la carica sino al giugno del 1914. Dovette fronteggiare un’epidemia di colera che colpì Cava nell’11, mentre l’anno successivo a Cava venne istituita la Manifattura dei Tabacchi nell’ex fabbricato del Conservatorio di S. Maria del Rifugio a viale Crispi, un opificio statale dove troveranno lavoro generazioni di cavesi. Nel luglio del ’14 torna in carica  Francesco Vitagliano Stendardo, al suo terzo mandato. Pochi giorni dopo la sua nomina lo Stendardo presentò le dimissioni per motivi di salute ma il consiglio le respinse. Nel 1915 fu inaugurato l’Acquedotto dell’Ausino. Durante il primo conflitto mondiale  Cava pagò il suo alto tributo al moloch bellico con molti morti al fronte e anche la popolazione civile subì privazioni di ogni genere per la grande crisi economica che colpì il Paese.
Nel 1918 a Cava vi fu una violenta epidemia di spagnola. Si contarono molti morti. Fu allestito un lazzaretto alla Sala. A causa delle condizioni economiche e igieniche peggiorate, raddoppiò il numero dei morti  rispetto a precedenti epidemie. Cava, come il resto d’Italia, uscì vittoriosa dal conflitto mondiale ma letteralmente dissanguata. Lo Stendardo, espressione del blocco liberal-democratico, presentò le dimissioni da Sindaco il 22 maggio del 1920, due giorni dopo la caduta del governo Nitti, lo statista lucano che aveva tentato sino all’ultimo di rinegoziare i trattati di Versailles e cercare sul piano internazionale di trovare capitali necessari al durissimo dopoguerra italiano flagellato dal malcontento sociale. Nitti tentò di evitare che il Paese diventasse quella polveriera che poi attraverso la dittatura fascista avrebbe fatto saltare in aria per decenni la crescita democratica della nazione.
A Vitagliano Stendardo subentrò un Commissario Prefettizio, Giovanni Du Marteau, che gestì la macchina amministrativa comunale sino al mese di ottobre dello stesso anno. Pugno di ferro, conti da far quadrare. Calo netto delle condizioni economiche delle classi subalterne, sebbene la guerra avesse già distribuito morti, in divisa e non, in tutte le fasce sociali.  
A Cava alla competizione elettorale locale si affrontarono il Partito popolare, la lista Democratica e anche una fragile lista Socialista.  Intorno all’Avanguardia, giornale liberal-democratico, si aggregò invece una lista sotto la spinta degli avvocati Pietro Sorrentino e Pietro Adinolfi. L’Avanguardia vinse la sfida, conquistando la maggioranza dei consiglieri ed elesse sindaco Nicola Casillo, medico, che amministrò dal novembre 1920 al dicembre del 1921 con una compagine consiliare di maggioranza divisa al suo interno. Il Comune fu di nuovo commissariato nella persona del dottor Eugenio Rossi Marcelli, che oltre a gestire la macchina amministrativa si diede da fare, insieme al prefetto Lualdi, per preparare il successivo appuntamento elettorale (maggio ’22), che vide la vittoria del Partito Popolare, dato che il raggruppamento liberale si era scisso (Democratici e Riformatori). Il PPI ottenne 24 seggi su 30. Sei invece andarono all’Unione Democratica. Abbastanza vivace la campagna elettorale, che registrò nei comizi finali l’azione di disturbo da parte di una squadra di Nazionalisti salernitani che però fu allontanata dalle forze dell’ordine tra le vibrate proteste di Popolari e Riformatori. Prima di lasciare la città, la squadra rese omaggio alla famiglia Formosa presso l’ex Mattatoio. L’episodio è significativo, perché questa squadra era uno dei germi  locali del composito movimento fascista che qualche mese dopo doveva realizzare, in ottobre, la marcia su Roma.


I popolari elessero sindaco Raffaele Baldi, importante personaggio della cultura cavese, un politico democratico che si oppose all’avanzata fascista con un certo coraggio. La situazione politica nazionale era in evoluzione. Mussolini riceveva finanziamenti e organizzava il suo movimento che, non trovando nelle forze liberali, cattoliche e socialiste una diga comune, andò al potere, restandoci per oltre vent’anni con la complicità opportunistica della Corona.
A maggio del ’22 a Cava si aprì la sezione del Fascio facendo molti proseliti tra i vari schieramenti. Anche in seno al consiglio comunale ci furono i pronunciamenti. Il primo a dichiararsi fascista fu Gennaro De Filippis (Unione Democratica) che il 20 agosto ’23 propose la cittadinanza onoraria al cavalier Mussolini, presidente del Consiglio. Tutto il consiglio votò favorevolmente. Il Ppi aveva in Cava la sua roccaforte provinciale e l’azione fascista si fece sentire per conquistare questa enclave in un panorama salernitano che andava rapidamente volgendo dalla parte di Mussolini. In Parlamento  importanti  figure liberali salernitane come Giovanni Amendola (questi aveva a Cava nell’avv. Pietro De Ciccio un fattivo sostenitore) partecipavano all’opposizione contro il Fascismo, ma in provincia la situazione precipitava.
Progressivamente passò al Fascio cavese la forte sezione dei Combattenti e reduci e il 24 gennaio del ’24, dopo le dimissioni di diversi consiglieri sotto la spinta dei fascisti, si sciolse anche il consiglio comunale in carica. Naturalmente non mancò la manina del prefetto Carlo Solmi che  nominò Alberto Fico (gen-lug ’24) commissario straordinario. Questi trovò nel notaio Arturo Della Monica  un collaboratore amministrativo e molte affinità politiche, tali che dovevano fare di Della Monica, nell’agosto del ‘24 prima un commissario prefettizio e successivamente sindaco e podestà. Nelle elezioni politiche del 1924 il listone fascista fece incetta di voti, ma a Cava il partito popolare si confermò una roccaforte (quasi un quarto dell’elettorato).  Il fascismo si diffondeva con violenza nel Paese. Uccisi Matteotti e tanti altri antifascisti: operai, braccianti, esponenti delle Camere del Lavoro, sindacalisti rossi e bianchi.  I primi esili, il bavaglio alla stampa. La dittatura mostrò il suo vero volto.
Da  luglio ad agosto del ’24 Eugenio Rossi Marcelli fu commissario prefettizio a Cava. Poi il potere arrivò nelle mani di  Arturo Della Monica,  che dal settembre del ’24  all’ottobre del 1935 non lasciò più il bastone del comando. Il Della Monica, durante la carica di commissario prefettizio, predispose la sua vittoria alle successive elezioni amministrative, trovando pieno appoggio nelle sfere provinciali e nazionali. Il popolare Baldi fu ridotto quasi al silenzio insieme alle opposizioni liberali che ancora resistevano sul territorio. Ormai a Cava come nel resto del paese la macchina politica propagandista fascista acquisiva e produceva consensi. All’ombra dei portici la maggior parte delle famiglie più ricche  non persero tempo a mettersi dalla parte del potere fascista, ottenendo anche incarichi di governo cittadino. La maggior parte del  popolo cavese diventò fascista per convinzione, ignoranza e necessità.
Il podestà  Della Monica  nel ‘29, alla presenza del Re, inaugurò il monumento ai caduti nella Guerra mondiale e poi anche la Casa del Balilla. In un loro viaggio il principe Umberto e la moglie Maria Josè visitarono la città. Della Monica dall’ottobre del ’35 al febbraio del ’36 fu sostituito da Carlo Villasanta e da Arturo Incoronato e poi dal podestà Enrico Papa (marzo ’36-agosto ‘39), un tenente colonnello in aspettativa che allo scoppio della Guerra venne richiamato alle armi.
Prima commissario prefettizio e poi podestà Francesco Accinni, un ammiraglio. Giuseppe Salsano entrò in carica nel novembre del ’41 come commissario prefettizio e fino al maggio del ’42 gestì il Comune che progressivamente scivolava verso la fame per la guerra in corso. Dal giugno del ’42 al maggio al 21 agosto del ’43 fu podestà Giulio Parisio  che dovette lasciare per la caduta del Fascismo (25 luglio 1943). Sette podestà che gestirono  la città con i classici metodi della dittatura e contribuirono a lasciare un Paese stremato dalla guerra mondiale.
La sconfitta segnava il destino dell’Italia anche nella seconda parte del secolo facendone uno Stato a “sovranità limitata” come i successivi fatti avrebbero reso evidenti a tutti, diversi decenni dopo.


Primo commissario prefettizio dopo la caduta del Fascismo  fu l’avvocato Pietro De Ciccio, già sindaco tra l’11 e il 1914. Tra il 9 e il 28 settembre Cava fu contesa tra Americani e Tedeschi. Ci furono scontri armati e pesanti bombardamenti. Con l’avanzata degli alleati verso il Nord, Cava divenne successivamente sede di lavoro e riposo di importanti personaggi e dello stesso Badoglio, capo del nuovo governo centrale. Il popolo era alla fame. Molte oneste popolane cavesi diventarono le lavandaie dell’Esercito americano. Qualcuna optò per un veloce cambio di vita si mise a fare la puttana. Qualcuno si arricchì con la borsa nera, altri non tornarono più a casa dal fronte.
Dal marzo del ’44 De Ciccio è sindaco e terrà la carica sino all’8 giugno del ’46 quando si dimette per ragioni politiche. Il 2 giugno si erano tenuti il referendum istituzionale (Monarchia o Repubblica) e le elezioni politiche. A luglio è nominato commissario prefettizio Emanuele Cotugno che gestirà la macchina burocratica sino a novembre. Pochi mesi, ma sufficienti a fargli firmare il 12 ottobre la trasformazione del Teatro Verdi in Casa Comunale. Pochi mesi di governo anche per Goffredo Sorrentino (nov. ’46-genn. ’47). Nel  febbraio del ’47, mentre De Gasperi chiuse il suo secondo Ministero per aprirne il terzo, a Cava diventava sindaco Gaetano Avigliano. Esperto di tabacchi, ricoprì anche la presidenza dell’Azienda di Soggiorno e del Consorzio dell’Acquedotto dell’Ausino. Portò a termine il suo mandato sorretto da una cospicua maggioranza in consiglio.
Varata la Costituzione, la classe politica italiano si preparò allo scontro delle elezioni del 18 aprile ’48. DC e alleati centristi contro il blocco socialista e comunista. Vinse lo scudo crociato che a livello nazionale ottenne oltre il 48% dei consensi. Al Fronte popolare andarono il 31 per cento dei voti. La DC, con il passare dei decenni al potere, sarebbe diventata quel partito-stato che conosciamo.


(continua) :
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