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storia
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Raffaele Baldi
Il sindaco più amato perseguitato dai fascisti
Fu letterato, storiografo e vigoroso
Mario Avagliano
Nel 1943 moriva sotto le bombe Raffaele Baldi, forse il sindaco più amato dai cavesi. Discendente da un’antica e benestante famiglia di Santa Lucia, Baldi divenne primo cittadino di
Cava prima dell’avvento del fascismo. E fu il rappresentante di una ventata di forte
rinnovamento politico. Nel corso della sua breve esistenza si dedicò anche a importanti ricerche di carattere letterario e a indagini
storiografiche. Proprio in questi mesi è uscita nelle librerie la ristampa di uno dei suoi più interessanti lavori: “Saggi storici introduttivi alle farse cavajole”, a cura di Agnello Baldi (Avagliano Editore, pagine 90). Emarginato dal
fascismo, egli continuò ad operare per gli altri, aiutando gli studenti bisognosi a prepararsi alla
laurea o alla licenza liceale. Raffaele Baldi nacque il 18 maggio del 1889 a
Santa Lucia, un popoloso borgo di Cava. La sua era una ricca famiglia
cattolica, di avvocati, medici, notai, farmacisti e proprietari terrieri. Come
altri giovani rampolli della borghesia cavese il futuro sindaco compì gli studi della maturità nel collegio dell’Abbazia benedettina. Non contento dei programmi della scuola, studiò da sé i grandi della letteratura italiana e si avvicinò con entusiasmo alle poesie e ai romanzi del Pascoli, del Carducci, del Verga,
del D’Annunzio e del Fogazzaro. Presa le licenza liceale partì per Napoli, dove si laureò in lettere all’Università, avendo come maestri studiosi del livello di Torraca, D’Ovidio e Kerbaker. Furono gli anni più felici della sua vita. La sua generazione era ricca di talenti nel campo delle
lettere, delle scienze umanistiche, della medicina e della giurisprudenza. Era
suo amico fraterno e compagno di studi Andrea Sorrentino. Ed erano suoi amici
intimi Francesco e Marco Galdi, Matteo Della Corte, Andrea Genoino, Mario
Violante, Pietro De Ciccio, Valerio Canonico, Gaetano Trezza, Federico e
Alberto De Filippis, Emilio Risi, Giovanni Cuomo, Paolo Santacroce, Mario
Violante, Felice Baldi, Vincenzo Virno e Giuseppe Trezza.
Prima raccolta di poesie
Per il giovane Baldi, che amava Carducci e Leopardi, fu naturale avvicinarsi
alla poesia e scrivere i primi versi. Così, nel 1912, uscì la sua prima raccolta, intitolata “Pervigilium” (Casa editrice 5. Lapi), con lo pseudonimo di Felice Campania, dedicata “agli amici”. Ma tra il 1910 e il 1917 egli coltivò anche i suoi interessi storici e letterari, pubblicando scritti sul Foscolo,
sul Boccaccio, sul Pascoli e sull’Arcadia e uno studio sulla controrivoluzione cavese del 1799 e sul suo antenato
luciano, il capitano don Vincenzo Baldi, che aveva guidato gli insorti contro i
francesi. Dopo l’università, il giovane Raffaele sembrava avviato a una brillante carriera di insegnante ma
l’insorgere di una sindrome asmatica priva di cure lo costrinse ad abbandonare i
suoi propositi. Fu in quegli anni che cominciò a interessarsi di politica. La sua educazione religiosa e la lunga militanza
nell’Azione cattolica gli fecero scegliere il Partito popolare, fondato a Cava da due
straordinari sacerdoti, don Mario Violante e don Peppino Trezza.
Sindaco a 34 anni
L’esperienza politica provocò in lui una metamorfosi. Come ha ricordato Andrea Sorrentino, da giovane “solitario, raccolto e scontroso, divenne espansivo, duttile, perspicace,
attivissimo nei rapporti con gli altri”. E fu subito benvoluto dalla gente di Cava, che vide in lui un degno
rappresentante dei bisogni del popolo. Nel clima rovente del 1922, a distanza
di pochi mesi dalla marcia su Roma di Mussolini, si svolsero a Cava le elezioni
amministrative. I cavesi scelsero il cambiamento: Raffaele Baldi fu il più votato di tutti e, a soli trentaquattro anni, divenne sindaco, spazzando via le
vecchie cariatidi del liberalismo, malate di clientelismo.
Baldi fu un primo cittadino molto amato dal popolo. La sua porta era sempre
aperta. Accoglieva la gente con un sorriso, e cercava di risolvere i “guai” con semplicità e con calore umano, senza fare differenze tra i ricchi e i poveri. Come ha
scritto Michele Grieco, “servì con amore cristiano”. La sua azione quotidiana fu “servire, non servirsi”.
Cavaliere di cappa e spada
Fu per questo che nel 1923 il Papa, su proposta del Vescovo di Cava, lo nominò suo cavaliere di cappa e spada.
Il programma di governo di Baldi, letto da lui stesso il 22 luglio del 1922,
nella prima seduta del consiglio comunale, ci offre uno spaccato della Cava di
quegli anni. Una città che usciva da un ventennio di cattiva amministrazione e che per certi versi
ricorda quella attuale. Come il Raffaele Fiorillo di oggi, Raffaele Baldi si
proponeva di semplificare “alcuni servizi troppo ingombranti e troppo costosi”, di colmare “la lamentata lacuna dei vigili pompieri” necessari per spegnere gli incendi, di riformare “qualche corporazione”, come quella “dell’Ufficio tecnico”, di appaltare la manutenzione stradale e l’acquedotto, di ridurre il numero degli impiegati, di risolvere il “problema dell’illuminazione e dei serbatoi”, di pavimentare i portici e portare il telefono nelle frazioni, di rilanciare
il ruolo turistico della città. Un programma umile e concreto, e un’ambizione dichiarata: “emulare due delle più elogiate amministrazioni locali: quella di Trara per la fattività, quella di Orilia per l’onestà”.
I fascisti lo rapirono
La stagione del cambiamento durò solo due anni, travolta dalla dittatura fascista, dai manganelli, dalle purghe
e dall’olio di ricino. Nel 1924 i fascisti cavesi, che erano consapevoli del seguito
popolare di Baldi, lo “rapirono” al Municipio e lo condussero con la forza in Piazza Duomo, invitandolo a
sconfessare la sua fede politica davanti alla folla che lo applaudiva. Ma come
racconta don Giuseppe Trezza, “la sua coscienza non si piegò”.
Raffaele Baldi si dimise da sindaco e si ritirò a vita privata. Non finì però il suo impegno per gli altri. Benché tormentato dal regime fascista e dalla malattia asmatica, che spesso lo
strozzava e gli toglieva la parola, Raffaele riprese l’insegnamento. Così, durante il ventennio mussoliniano, trovarono ospitalità presso la sua casa ai Pianesi generazioni di studenti cavesi e salernitani
bisognosi di aiuto o arretrati negli studi.
No si piegò al regime
In quel periodo terribile videro la luce altri suoi saggi sull’amato Carducci, su Marco Galdi, sulla famiglia Genoino, sulla storia di Cava.
Come ricorda Daniele Caiazza, allora si parlava di lui come di “un personaggio mitico e proibito”, a cui era vietato insegnare nelle scuole statali perché “antifascista”. Gli orrori della guerra fecero soffrire molto Raffaele Baldi, che era ormai l’ombra dell’uomo “libero e forte” di un tempo.
Emarginato dalla società e malato, l’ex sindaco “popolare” morì il 20 settembre del 1943, all’età di 54 anni, durante i giorni dello sbarco anglo-americano a Vietri e a Salerno,
sotto le macerie della sua casa ai Pianesi, colpita dalle bombe. Erano insieme
a lui la cognata Ester Senatore, il figlio di lei, Felice, di 3 anni, e la
domestica. Coraggiosamente don Mario Violante, sotto i colpi di granata dei
tedeschi e degli inglesi, trasse le sue carni maciullate da sotto le pietre e
trasportò il suo corpo al cimitero. Un anno dopo, nel 1944, i suoi amici, per ricordarlo,
pubblicarono un opuscolo di Andrea Sorrentino: “Per la memoria di Raffaele Baldi”. Nel 1983 il comune ha celebrato l’anniversario della sua morte, organizzando una mostra dedicata a lui e alla sua
generazione di amici: “Mostra Raffaele Baldi. Opere e Uomini”. In quell’occasione uscì un numero speciale de “Il Lavoro Tirreno” di Lucio Barone: “Omaggio a Raffaele Baldi”. Celebriamo le sue gesta anche noi. Perché la memoria di un cavese onesto, gentile e buono come lui non si perda. Mai.
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