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storia
Nell’Ottocento la città cambia volto
con Trara Genoino
Dopo l’Unità vengono realizzati un teatro, la villa comunale e i celebri viali alberati. Merita una doverosa citazione anche Andrea Genoino. All’inizio del secolo salì al potere anche il “militare” Vincenzo Baldi, controrivoluzionario fedele al terribile cardinale Russo
Biagio Angrisani


Soffocata dal cardinale Ruffo sulle forche e “purificata”, con un copioso spargimento di sangue mandando al cimitero le migliori menti in circolazione, la ventata di libertà prodotta dalla Repubblica Napoletana, il potere all’inizio dell’Ottocento era di nuovo nelle mani delle forze più conservatrici del Regno delle Due Sicilie e anche nelle province si sentì l’influsso restauratore sanfedista. Ma le sorti del regno erano decise anche dalle potenze europee e si alternavano a seconda della vittorie e delle sconfitte riportate dalle armate napoleoniche sul teatro continentale.
Ritornando alle vicende cavesi il marchese Domenico Loffredo diventò sindaco nel settembre del 1800 (eletto il 21 luglio) e l’anno successivo fu  la volta di Giuseppe De Sio. Il 29 luglio 1802 venne eletto il capitano Vincenzo Baldi che nel 1799 aveva capeggiato la controrivoluzione distinguendosi nella battaglia presso il ponte di Santa Lucia di Cava tra realisti e francesi. Il Baldi viaggiò politicamente con il vento in poppa finché al potere a Napoli vi fu il Ruffo e Ferdinando IV, ma quando poi tornarono i francesi la sorte mutò e conobbe l’umido delle celle del Castelnuovo nel 1806. C’è una discreta bibliografia sull’argomento per coloro che vogliono approfondire la vicenda. Comunque il Baldi restò sindaco sino al settembre 1803 secondo prassi. Successivamente fu la volta di Giuseppe Della Corte, che venne confermato anche per un secondo mandato e nel 1805 dovette prendere provvedimenti per un terremoto che interessò il territorio cavese.
Con il ritorno dei francesi fu nominato sindaco Luigi Canali (e). L’università della Cava fu divisa in due Comuni dando vita così all’autonomia municipale di  Vietri (nel 1933 vi si staccò Cetara) e concluse il secolare periodo della “grande Cava” che aveva segnato economicamente e politicamente molte pagine della storia dell’Italia meridionale. Va specificato che questo processo di smembramento non era certo stato deciso dal sindaco Canali (per un atto del genere i cavesi probabilmente lo avrebbero impiccato seduta stante in piazza San Francesco), ma rientrava in una più vasta riforma amministrativa dello stato voluta dai francesi che erano ritornati al potere con Giuseppe Bonaparte (1806-1808)  e successivamente (1808-1815) con Gioacchino Murat. Il commendator Canali venne  scelto come sindaco  anche perché ben visto dal potere francese e parlava la lingua di Balzac. Seguirono poi Pietro Formosa, Luigi Abignente, Luigi Armenante (tutti forti creditori del Comune). Poi fu la volta di Giuseppe Della Corte che restò in carica quattro anni.
Sconfitto dalle potenze europee Napoleone e caduti i governi napoleonidi nel Regno delle Due Sicilie torna al potere Ferdinando IV e a Cava si aprì una lunga stagione sotto il segno di Giovanni Stendardo che gestì la carica sino al 1819 e come “buon’uscita” detenne, insieme ad altri decurioni,  il monopolio dell’appalto delle gabelle. Che dire...champagne! In rapida successione svolsero successivamente il mandato Gaetano Lamberti e Paolantonio di Notargiacomo , mentre con Gaetano Campanile la carica venne portata a tre anni. Tanti ne esercitò il barone Francesco de Marinis; invece, Luca Vitagliano restò solo un anno. Eletto da poco, il 3 maggio 1830, il sindaco Giovanni Antonio Carramone ricevette a Cava Ferdinando II, capitano generale dell’esercito che il 3 novembre di quell’anno doveva diventare re delle Due Sicilie. I moti rivoluzionari del ’30 indussero il nuovo sovrano ad aprire una stagione di timide riforme e avviare un processo di modernizzazione del regno che ebbe nell’inaugurazione della linea ferroviaria Napoli-Portici (1839) un momento significativo, sebbene il treno reale servisse a trasportare la corte dalla reggia ai celebri bagni estivi di Portici. Comunque embrioni significativi di industrializzazione si ebbero oltre che a Castellammare anche a Salerno e Nocera.
A Cava dopo Carramone  (morì in servizio)  e dopo la reggenza di Giuseppe de Marinis, divenne sindaco Matteo Joele che portò avanti un discreto programma di politica finanziaria (vedi al riguardo il testo di Foscari “Economia e società locale nel Mezzogiorno: reddito e gabelle a Cava 1806-1860” Alethèia). Da ricordare poi che un  regio decreto del ’34 tolse Castagneto a Vietri e dopo qualche mese diede a Cava anche i villaggi di Casaburi, S. Anna, Dupino, Alessia, SS. Quaranta, Marini e Arcara, aumentando così notevolmente il territorio comunale.
Nel marzo del ’35, sebbene per poco tempo, fu sindaco Giacinto Gagliardi, barone, Già il padre Francesco e il nonno Nicola avevano ricoperto la stessa carica. Dopo alcune riunioni il Gagliardi fu sostituito dal secondo eletto Alessandro De Juliis che mantenne l’incarico sino al mese di luglio; dopo  fu eletto il marchese D. Andrea Genoino, figura di primo piano dai poliedrici interessi. Tranne brevi periodi, questi mantenne la carica sino all’aprile del ’42 essendo stato riconfermato nel gennaio 1839. Durante il suo mandato fu realizzato lo Statuto di polizia urbana e rurale cittadina nonché si prodigò per la Biblioteca comunale. Appassionato di storia, il marchese Genoino realizzò anche validi studi. Il successore  fu il notaio Ferdinando Gagliardi che aumentò sensibilmente le tasse. Nel ’45  fu sostituito da Giuseppe Coda, ma ritornerà alla guida della città nel luglio del 1848 per restarvi solo un mese causa morte.  
Dal febbraio del ’46 al giugno del ’48 toccò a Giovanni Alfonso Adinolfi, noto per aver scritto la “Storia della Cava distinta in tre epoche”, stampata a Salerno nel 1846.  Avvocato e appaltatore di gabelle (vedi op.cit. di Foscari) l’Adinolfi dovette fronteggiare il 3 aprile del 1848 i disordini che esplosero in città a causa della grave crisi economica sopraggiunta con l’apertura delle cotoniere svizzere a Nocera e Salerno. A chi volesse approfondire questo argomento consigliamo i testi di A. Genoino “Agitazioni operaie e moti comunisti nel Salernitano il 1848” in Scritti di Storia cavese a cura di T. Avagliano, Cava 1985; e  di B. Angrisani “Il processo per i disordini del 1848” in Appunti per la storia di Cava,  Avagliano editore 1986.
Antonio Notargiacomo fu sindaco dall’ottobre ’48 all’agosto del ’54. Nell’ ottobre del ’49 ebbe occasione di ricevere, in un sol colpo Pio IX e Ferdinando II, diretti a Salerno. Papa e sovrano attraversarono tutto  il Borgo Scacciaventi tra ali di folla. Nel 1851, invece, gli toccò prendere provvedimenti dopo un  terribile terremoto.
Giuseppe Catone sindaco dal 1854 al ’57,  ricoprì la carica anche dall’aprile al luglio 1860. Un altro sisma interessò Cava nel ’57. Era sindaco Pasquale Apicella che nello stesso anno, alla presenza di Ferdinando II inaugurò la ferrovia nel tratto Nocera-Cava. I lavori continuavano verso Vietri ma sarebbero passati circa dieci anni prima che il treno raggiungesse Salerno a causa delle difficoltà orografiche da superare.  


Dopo le note vicende siciliane, Garibaldi il 18 agosto sbarcò sul continente e con una marcia trionfale risalì la Penisola praticamente senza combattere, con l’esercito borbonico ormai in rotta e tra le feste delle masse popolari che vedevano nel “dittatore in rosso” colui che poteva riscattare la loro atavica miseria. Il 6 settembre Garibaldi giunse a Cava. Migliaia di persone accolsero il grande rivoluzionario, l’eroe dei due Mondi, che entro a Napoli alla testa di una piccola avanguardia il 7 settembre subito dopo la partenza di Ferdinando II.
A Cava dal luglio 1860 era sindaco il marchese Pasquale Atenolfi,  con Giuseppe Trara Genoino  secondo eletto. Il  10 settembre il Municipio di Cava diede la sua piena adesione al governo del Re Vittorio Emanuele e l’atto fu inviato con un telegramma al Dittatore delle Due Sicilie (Garibaldi).  Successivamente l’Atenolfi fu sostituito nella carica di sindaco dal secondo eletto essendo divenuto deputato del Parlamento nazionale.
Giuseppe Trara Genoino fu eletto  il 4 agosto 1861 e terrà la carica sino al 1869. per poi ritornare a detenerla dal ’76 al 1884. La città cambia volto, le strade vengono alberate (1876), si costruisce un teatro (inaugurato il 6 ottobre ’78), si apre una bella villa comunale (1865), una biblioteca, si riordina l’archivio storico. Viene varato un vasto programma di lavori pubblici. Nel ’62 la città prende la denominazione Cava de’ Tirreni. Nel ’80 riceve la visita della regina Margherita.
Nel triennio ’70-73 è sindaco Giuseppe Stendardo (da segnalare che nel ‘71 agli agricoltori cavesi fu permessa la coltivazione del tabacco da fumo oltre che quello da fiuto, un grosso business) e  dal novembre 1873 al dicembre 1874 torna primo cittadino Pasquale Atenolfi, dopo l’esperienza parlamentare. Poi vi furono gli otto anni dorati già citati con il Trara Genoino. Il triennio successivo (’87-90) vide al potere il marchese Carlo Genoino che si diede da fare per allargare via Mercato, opera resa necessaria dopo l’apertura delle villa comunale e del Teatro.
L’avvocato Cesare Orilia fu nominato sindaco il 15 maggio 1890. Lo stesso anno fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia. Conservò la carica sino al maggio del ‘95. Eletto per il triennio ‘95-98, Francesco Vitagliano conservò la carica sino al maggio del 1903. Questo personaggio sarà sindaco più volte nel primo ventennio del secolo. Nel 1900  aggiunge il cognome Stendardo. Nel 1899 dovette prendere provvedimenti per una terribile alluvione. Quando si dimise nel 1903, perché abbandonato dalla maggioranza del Consiglio, di cui egli era un’emanazione, gli applausi del pubblico degenerarono in un piccolo tumulto e dovette intervenire la forza pubblica per sedare la protesta. Il dissidio tra Sindaco e Consiglio era nato per l’attuale “Villa Alba”. L’odierno impianto era stato voluto dalla proprietaria del terreno, la signora Ricco, che al posto dell’ ex-pastificio di sua proprietà, aveva voluto la struttura sanatoriale tuttora esistente. Il Vitagliano Stendardo, dice lo studioso M. Galdi,  lasciò il suo primo lungo mandato (otto anni) con le mani nette e a testa alta. Non tutti potranno dire lo stesso nel nuovo secolo che si era aperto.


(continua) :
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