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Addio ai capisaldi dell’economia cavese
- Dopo il rischio chiusura, il sigaro toscano prodotto a Cava passò dalla mano pubblica ai privati -
- Dell’ex Credito Commerciale Tirreno non rimase più nulla: ora è un semplice sportello della Popolare Campania -
- Le Arti Grafiche Di Mauro da azienda modello ai licenziamenti. Si aspetta il mega centro commerciale -



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Mai più Monopoli la Manifattura passa ai privati
Il primo decennio del Duemila si aprì con la minaccia di chiusura della Manifattura Tabacchi a Cava de’ Tirreni. I senatori De Masi e Pinto rivolsero interrogazioni al Governo sul destino della Manifattura nell’ambito del piano di ristrutturazione dell’Ente Tabacchi. A nome del Governo rispose il sottosegretario alle Finanze De Franciscis, che non diede speranze ai lavoratori: «La previsione di chiusura della Manifattura di Cava de’ Tirreni, è fortemente motivata da considerazioni sia tecniche che economiche. Il personale in esubero a seguito delle ristrutturazioni aziendali non subirà alcun depauperamento della propria posizione lavorativa, tenuto conto che esso ha diritto di essere riammesso, anche nei sette anni successivi alla data di trasformazione dell’Ente in società per azioni, nei ruoli dell’Amministrazione Finanziaria ed in quelli di altre Pubbliche Amministrazioni». Poi di fatto la Manifattura venne ceduta a privati e la multinazionale British American Tobacco, in seguito incorporata in BAT Italia, divenne proprietaria dell’opificio cavese. L’intenzione dei nuovi proprietari fu quella di far diventare la Manifattura Tabacchi metelliana un polo per la produzione dei sigari aromatizzati. Altra forza lavoro (trenta dipendenti) sarebbe giunta dallo stabilimento di Scafati, per un totale di 125 dipendenti impiegati, numero di gran lunga inferiore a quello standard degli anni precedenti. Il passaggio dal pubblico al privato del comparto comportò la perdita di molti posti di lavoro. La strategia industriale della Bat prevedeva di continuare la produzione del sigaro toscano solo a Lucca, in un mega opificio con macchinari all’avanguardia. Invece, nel 2006 la Bat decise di concentrare il suo business sulle sigarette e cedette la manifattura di Cava al gruppo Maccaferri, insieme agli stabilimenti di Lucca e Foiano della Chiana, per 95 milioni di euro. Il gruppo Maccaferri, con casa madre a Bologna, opera da oltre un secolo ed ha attività diversificate in tutto il mondo nei settori metallurgico, meccanico, delle costruzioni, alimentare, energia e immobiliare. Dal momento dell’acquisizione degli stabilimenti specializzati nella produzione di sigari, “Manifatture Sigaro Toscano” del gruppo Maccaferri ha notevolmente incrementato le vendite. Con un prodotto di ottima qualità (100% naturale, solo tabacco Kentucky e lavorazione a mano) nel 2008 sono stati prodotti a Lucca e Cava de’ Tirreni 140 milioni di toscani, riducendo la distanza dal famoso cubano, di cui si fumano 180 milioni di pezzi. Il fatturato del 2008 di Mst è stato di 73 milioni di euro e un utile netto di 10 milioni e mezzo. E le previsioni, nonostante la crisi, sono di crescita, puntando sul mercato estero.
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Smembramento della Metelliana ultimo brandello di un impero
Dell’impero economico cittadino che ruotava intorno alla famiglia Amabile, si dissolse anche l’ultima appendice, la società Metelliana. Era una società di assistenza informatica che si occupava, fra l’altro, della gestione dei servizi dell’ex Credito Commerciale Tirreno. Operava in via Mandoli e nei tempi d’oro contava circa 100 dipendenti. Dopo la clamorosa vendita del CCT nel ‘97, nel 2000 la Metelliana fu frammentata e distribuita in tante piccole società, facenti tutte capo alla Data Service di Milano. Dell’azienda cavese restavano 20 dipendenti: 12 con sede operativa a Nocera Superiore ceduti al GSI (Gestione Servizi Informatici) di Roma, e 8 con sede operativa a Cava, in via Gen. L. Parisi, ceduti all’INFOLAB, società di Lanciano (Ch). Con la decisione di quest’ultima di trasferire la sede operativa a Lanciano gli 8 dipendenti furono costretti a fare i bagagli e trasferirsi in Abruzzo. Si concluse così all’inizio del secolo la vicenda di uno dei più significativi poli occupazionali cittadini rimasti, dopo la scomparsa della Tirrena Assicurazioni e del Credito Commerciale Tirreno.
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Banca Popolare, dall’Emilia Romagna alla Campania
Il ramo di azienda (sportelli presenti in Campania) della Banca Popolare dell’Emilia Romagna venne ceduto alla Banca della Campania. Con l’assemblea dei soci azionisti si ratificò la cessione. La BPER ha di fatto provveduto all’acquisto della Banca Popolare di Salerno e della Banca Popolare dell’Irpinia. Dalla fusione nacque la Banca della Campania. All’atto pratico l’operazione si tradusse in un cambio dei quadri delle Direzione Generale e una quindicina di esuberi soggetti a trasferimenti per essere ricollocati in altre sedi. I dipendenti accolsero con scarso entusiasmo il cambiamento, ritenendosi penalizzati dalla perdita della partecipazione agli utili, mediamente circa tre milioni annui delle vecchie lire. Inoltre si aggiunse un ulteriore elemento di precarietà al mercato economico cavese, già messo a dura prova dal graduale depauperamento della Manifattura Tabacchi e dalla mobilità cui cominciarono ad essere sottoposti i dipendenti della Di Mauro.
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Lavoratori cavesi nel panico chiude la Di Mauro
Alla fine del 2004 giunse una pessima notizia per molte
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famiglie cavesi e in generale per l’economia cittadina. Fu annunciata la mobilità per 51 dipendenti, su un organico di 125, delle “Arti Grafiche Di Mauro”. Per i dirigenti dell’azienda il ricorso alla mobilità si rese necessario per fronteggiare una situazione di crisi congiunturale, creatasi per effetto della riduzione di un segmento di mercato sul quale si erano concentrati gli investimenti dell’impresa”. In pratica, la decisione veniva motivata con la forte contrazione delle commesse di biglietteria aerea, a causa della crisi delle compagnie e dello sviluppo delle biglietterie on-line.
La “Emilio Di Mauro” SpA operava da più di cento anni nel settore della carta stampata, da quando il “capostipite” dell’azienda, Emilio, aprì una piccola tipografia a Cava nel 1899. Da più di quaranta anni era diventata leader nel settore tipografico. Era stata il fiore all’occhiello dell’imprenditoria e dell’economia cavese. Si era imposta per le sue produzioni di qualità a livello nazionale e internazionale ed aveva costituito una delle più importanti fonti di occupazione locale e di sviluppo per l’economia cittadina. In alcuni momenti felici della sua esistenza si era proposta come azienda modello per produzione e profitti, conseguendo tassi di assenteismo molto al di sotto della media non solo del meridione ma dell’intero Paese.
Ma nella primavera del 2005 la Di Mauro giunse addirittura alla chiusura del suo stabilimento più rappresentativo, quello delle Arti Grafiche. La notizia creò sconcerto in tutta la cittadinanza e lo sconforto per 120 famiglie che si ritrovarono senza più un reddito da lavoro. Fu subito mobilitazione, con l’occupazione della fabbrica e blocchi stradali sulla Statale 18. Senza speranze! Giunse così l’ennesima “mazzata” per la sempre più fragile economia della città. La prospettiva che si determinò in seguito per l’area che ospitava la “storica” azienda fu quella di realizzare un grande centro commerciale che dovrebbe dare occupazione anche ai lavoratori della Di Mauro rimasti senza lavoro. Ma a tutt’oggi il progetto è ancora irrealizzato. E per quei lavoratori non è stata ancora trovata una soluzione alternativa. Scriveva il figlio di un dipendente all’indomani del licenziamento del padre: «Io sono un esempio dei tanti, bruciati i sogni, l’avvenire. Sono uno studente, che da anni mentre studiava, doveva pensare a finire presto, perché non si sapeva papà fin quando avrebbe lavorato. Uno studente volenteroso, che non ha più i mezzi per andare avanti».
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La disoccupazione avanza. Sempre in meno hanno un lavoro
Nel 2005 fu lanciato l’allarme per la disoccupazione in forte crescita a Cava. Nel corso di un convegno al comune metelliano furono resi noti dati molto preoccupanti: il tasso di disoccupazione era tra il 29 ed il 30%, con una contrazione occupazionale negli anni 2003 e 2004 del 54%.
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Quant’è cara la casa nella valle metelliana
Il caro-case ha sempre costitutivo una caratteristica della città metelliana. I dati riferiti alla metà del decennio denunciavano prezzi altissimi per l’acquisto di un appartamento, che variavano da 2.500 e 5.000 euro al metro quadro. Le unità immobiliari fino a 100 mq presentavano un valore che superava i normali criteri di valutazione a causa della elevata domanda. Ovviamente molte giovani coppie hanno dovuto abbandonare la loro città, trovando più agevole cercare casa nelle città limitrofe (Nocera Superiore, Nocera Inferiore, Roccapiemonte) dove un appartamento costa molto meno.