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storia
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Per un minuto e mezzo fu la fine del
mondo
e Cava rimase con rovine e palazzi pericolanti
23 Novembre 1980, ore 19,34
Mi rassegno e sempre guardando in alto le
cime dei palazzi, dico tra me e me: «Dio, salvami
tu»! Poi resto a guardare impavido di fronte alla morte
che oscilla sulle cime di quei tre palazzi che sembrano essere
impazziti anche essi come la gente che continua a correre per
la strada, in un frastuono da bolgia infernale.
Ma quanto dura questa fine del mondo? E
più non penso, attendendo che il destino si compia.
Dopo sessanta secondi di ondulatorio,
finalmente tutto finisce come d’incanto, e grazie a Dio i
palazzoni hanno resistito. Rimonto in automobile per uscire da
via Benincasa. Riesco a sgattaiolare verso la Stazione
Ferroviaria e di qui a girare verso Nord lungo via XXV Luglio,
per raggiungere i miei amici, la cui abitazione è
circondata da molto spazio libero. Come prevedevo li trovo
già in automobile in grande apprensione, direi in
esagitazione, sul punto di scappare senza sapere essi stessi
dove. Dico loro che l’unica cosa saggia è quella
di restare in automobile nel punto in cui si trovano,
giacché tuttintorno c’è spazio libero. Mi
stanno a sentire, e si acquietano un poco.
La gente è tutta fuori di casa e si
ammassa sui crocicchi. Le automobili cariche di persone che si
preparano a dormire all’addiaccio, incominciano ad
allinearsi lungo le strade negli spazi liberi dai fabbricati, e
nelle ville comunali, e nello spiazzo della nuova Pretura e del
parco Beethoven, nello stadio comunale, nei campi sportivi di
S. Pietro e di Pregiato, e dovunque ci sia uno spiazzo che non
sia circondato da fabbricati.
Ormai è notte inoltrata. Cerco di
convincere gli amici a risalire in casa loro, dove si
può stare sicuri, perché è di cemento
armato ad un solo piano, e quindi fortunatamente antisismica.
Essi non vogliono saperne: passeranno la notte in automobile.
Dico loro che se me lo permettono rimarrò soltanto io in
casa loro a passare la notte, perché se dovessi passarla
fuori, col freddo gelido che fa, sicuramente mi prenderei una
bronchite, e tra una bronchite certa ed una nuova scossa di
terremoto, convinto come sono che, forte come la prima non
potrà più farla, preferisco correre il rischio
del terremoto.
Così tutto solo ho passato la prima
notte di terremoto a guardare ad occhi aperti il mostro che non
dà tregua ed ogni mezzora mi fa scattare, ed una volta
anche scavalcare una finestra per uscire sul terrazzo. Non
auguro a nessuno di trascorrere una notte da solo come in una
cella e come se fosse l’ultima notte del condannato a
morte.
I danni subiti dalla città
Al mattino mi metto in giro per la
città a vedere come stanno le cose. I negozi rimangono
tutti chiusi. La gente sta tutta nelle automobili nelle quali
ha passato la notte, e numerosi gruppi stanno a scaldarsi
intorno a foconi che hanno acceso servendosi del materiale
più disparato ed anche di travi di soffitti caduti.
Cerco di valutare i danni ai fabbricati, e mi faccio ad occhio
e croce l’idea che l’80, se non il 90 per cento
degli stabili sono stati danneggiati: di questi la metà
è inagibile, e di questa metà, la metà
è temporaneamente inagibile, e l’altra metà
è stata abbattuta già dal terremoto od è
da abbattere.
La chiesa di S. Francesco è
completamente crollata, e per fortuna nel momento fatale non
c’era dentro nessuno. E’ crollata un’ala
anche dell’attiguo convento delle monache. il Duomo ha
avuto il tetto sprofondato, gravi lesioni alle mura perimetrali
e la spaccatura della facciata principale. L’orologio,
tanto caro e tanto utile ai cavesi, era rimasto fermo
esattamente alle 19,34. Per fortuna anche nel Duomo non
c’era in quell’ora anima viva, e neppure il
parroco, essendo state terminate tutte le funzioni religiose
domenicali.
Il Borgo Scacciaventi e tutte le palazzine
lungo il Corso Umberto presentano le facciate più o meno
intatte, ma dentro sta il marcio, perché le travature in
legno sono uscite dai loro buchi ed i soffitti son caduti. Per
fortuna nessuna vittima.
In via Francesco Alfieri è crollato
del tutto un palazzo e ci sono stati tre morti: la nonna Olmina
Matonti in Masullo, ed i nipotini Masullo Alfonso di 3 anni e
Giordano Flavio di 8 mesi (in seguito morirà anche il
nonno Masullo Carmine di 65 anni portato in ospedale vivo).
In piazza Duomo l’ala destra
dell’ultimo piano del palazzo Palumbo è crollata.
L’inquilina, Anna Santoriello vedova Russo di anni 93 e
sua figlia di anni 63 vengono portate alla Casa di riposo di
Villa Rende. I palazzetti laterali, Soligo e De Filippis, hanno
avuto il tetto crollato e crollati anche i solai del
sottotetto. A Passiano l’antica chiesa ha subito
rilevanti danni ed il palazzo Virno è completamente
crollato. In egual proporzione che al Borgo anche i fabbricati
delle Frazioni han subito danni.
A S. Lucia i fabbricati caduti sono
più, e sotto uno di essi è rimasta vittima
Ferrara Carmela di anni 44, estratta cadavere. Pare che oltre
alle vittime fin qui indicate non ce ne siano altre.
La fortuna ha voluto che il sisma si
verificasse di domenica sera quando quasi tutta la gente era
fuori casa, e che gli stabili dei cinematografi hanno retto
bene.
In Ospedale sono stati ricoverati
però oltre una sessantina di feriti e due altri cavesi
sono periti fuori Cava.
I fabbricati di nuova costruzione in
cemento armato hanno magnificamente resistito, riportando
lesioni soltanto alle pareti del piano terreno, del primo, del
secondo e del terzo piano, le quali han fatto da cuscinetto tra
il terreno ed i piani superiori durante la parte sussultoria
del terremoto. Molti quartini della Via Vittorio Veneto e
quelli nuovi di Via Mazzini hanno perduto le pareti esterne,
perché costruite a mattoni di cotto invece che a tufo:
il tufo, più elastico ha resistito alla pressione e si
è soltanto incrinato. I passanti per le strade sono
pochi, perché soltanto i più ardimentosi hanno
lasciato le loro automobili od i loro bivacchi.
Nel palazzo Comunale sono presenti
soltanto gli spazzini, i vigili, il Sindaco, qualche assessore
e qualche impiegato; ma son tutti quasi intontiti o non sanno
da dove incominciare di fronte all’immane catastrofe.
I panificatori, presi dal panico, non
hanno panificato. Vado in via Filangieri a vedere se almeno il
panificio Milione, che è a conduzione familiare, ha
panificato; niente: debbo accontentarmi di due pacchi di
biscotti. A sera panificherà il panificio che sta di
fronte allo Stadio Comunale in Via Mazzini, e potrò
acchiappare due chili di pane croccante. Nel pomeriggio
soltanto un paio di salumerie hanno aperto e possiamo comprare
qualche cosa di companatico.
Anche le farmacie sono rimaste chiuse.
Tratto da “Cronaca del terremoto del
23 novembre 1980 in Cava de’ Tirreni”, di Domenico
Apicella - edizione il Castello 1980
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