Panorama oltre il Tirreno
Tanzania, Capodanno tra il Kilimanjaro
e il Lago Natron con il fiero popolo Masai
L’idea era quella di non trascorrere le feste di fine anno nel solito modo. Una
domenica mattina ho detto ad un amico: «Quest’anno ho voglia di un posto pieno di caos, del fasto di una metropoli, mi
piacerebbe New York!». E così, molto coerentemente, sono partita per la Tanzania, patria di pace e parchi
nazionali.
L’aereo mi ha portato a Dar es Salaam alle 15 circa, ora locale, insieme ad altri
14 “disgraziati” che, come me, avevano fatto una scelta alternativa. All’aeroporto abbiamo noleggiato un pulmino per raggiungere l’albergo al centro della città, dove siamo stati subito rapiti dalle musica e dalle danze inscenate in strada
per festeggiare un matrimonio. Eravamo gli unici bianchi presenti. Dar es
Salaam si presenta come una tipica metropoli del terzo mondo, dove tutti
immigrano dalle campagne alla ricerca di fortuna e invece, ingrossano solo le
fila dei disoccupati. I ritmi sono lenti e la mentalità è quella un po’ fatalistica del nostro meridione. Al ristorante il menù è fisso, ma buono e deciso unicamente dal cuoco. Ricordo ancora uno stufato di
carne e banane verdi che non ha nulla da invidiare al nostro spezzatino con le
patate. Stesso sapore.
È opportuno fare una premessa: chi si prefigge un viaggio fuori dal proprio
Paese, deve imparare a concedersi, a inebriarsi dei profumi delle città (inquinamento permettendo) e ad assaporare la vita locale con l’umiltà di un ricercatore che vuole capire e non criticare. Soprattutto in Africa non
si possono fare paragoni con il nostro stile di vita, perché alla base c’è una cultura più animistica, più legata alla natura, al clima. Non esistono le stagioni come noi siamo abituati
a vederle. In Tanzania, che è situata sotto l’equatore, è sempre estate. L’unica differenza si nota nelle piogge: c’è il periodo di quelle grandi e poi di quelle piccole. La vegetazione varia
continuamente, dalla savana dei grandi parchi, alla foresta pluviale, alle nevi
del Kilimanjaro. Abbiamo raggiunto la 2ª delle 3 mete del Kilimanjaro, giocando a nascondino con le scimmiette. C’è la possibilità di rifocillarsi e pernottare in quota, nei rifugi, ma era il 31 dicembre. Anche
lì tutto al completo, così abbiamo ripiegato per una “comoda” notte di fine anno in tenda. Alle 21 ora locale (ore 19 in Italia), abbiamo
finto la mezzanotte e ci siamo profusi in baci ed abbracci. Un gruppo di
tedeschi, incontrati in loco, si sta ancora chiedendo se i nostri orologi
fossero clamorosamente impazziti. Siamo scesi il giorno di Capodanno insieme ai
portatori (...degli altri). C’è una strana amicizia che nasce dalla fatica comune e che ti lega all’estraneo che cammina al tuo fianco. Altra meta: Arusha, amena cittadina dell’interno. È il punto di partenza di safari ed escursioni ai parchi. Abbiamo prenotato tre
jeep con autista e via verso il Serengheti, Ngorongoro, Manyara, Tarangire;
tutti parchi da visitare restando stupiti delle bellezze naturali e dei
numerosissimi animali che li popolano. I miei occhi sono ancora pieni di
gazzelle, impala, zebre, giraffe, elefanti, gnu, leoni, iene e tanti altri. Ci
siamo rinfrescati nelle cascate del Lago Natron e a mattina all’alba abbiamo assistito allo splendido passaggio dei fenicotteri rosa. Nella zona
vivono ancora i Masai, popolo fiero e nomade, che ci hanno ospitato nei loro
villaggi formati di capanne costruite con paglia e fango. Ci hanno salutato con
una danza propiziatoria (dietro compenso). Ormai sono diventati un popolo
scaltro che sfrutta la propria immagine e si fa pagare anche la posa in una
foto. Mentre i Sonjo, altro popolo della zona, più povero, ostenta ancora una certa diffidenza verso gli occidentali e per
fortuna, si rifiuta di farsi corrompere. Comunque, in alcune zone della
Tanzania esiste ancora il baratto e l’artigianato locale è molto interessante. Ho dato via due paia di calzettoni per uno scudo costruito
con pelle di capra.
Dopo due settimane il viaggio è terminato e la nostalgia di questa natura incontaminata si è fatta sentire già a Nairobi in Kenia. Rimpiangevamo le strade polverose ed il sorriso genuino
della gente incontrata per strada, i gridolini di gioia dei bimbi allo scattare
dei flash delle macchine fotografiche, il passo lento dell’elefante, il baobab maestoso e l’immenso termitaio sullo sfondo della savana, e… e… e…