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Un treno di speranza che non fece ritorno
In un libro di Patrizia Reso il ricordo di un’immane tragedia
  
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Patrizia Reso
Senza ritorno
Balvano ’44. Le vittime del treno della speranza
Edizioni Terra del Sole 2013
pagine 85 • euro 12,00


Patrizia Reso ha scavato un altro po’ nella storia del Novecento di Cava de’ Tirreni. Dopo “La storia ignorata” su partigani e deportati cavesi, dopo “Elvira Coda Notari” pioniera del cinema vissuta nella città metelliana, ha deciso di approfondire una pagina che andrebbe definita di storia, ma che dalle pagine di storia qualcuno ha cercato di omettere. Più di 600 persone uccise nel 1944 dalle esalazioni di monossido di carbonio in una galleria ferroviaria nei pressi di Balvano: il doppio dei morti provocati dal terremoto dell’Aquila nel 2009 o dall’alluvione di Salerno nel 1954. Se la vita umana ha un significato, il più grave incidente ferroviario della storia italiana deve restare nella memoria collettiva per sempre. Eppure la maggior parte dei contemporanei lo ignora ed anche all’epoca del disastro la notizia fu liquidata in poche battute.
La Reso ci mette tutto il suo cuore di pasionaria per contribuire a dare la giusta evidenza alle cause che portarono a quel dramma e, soprattutto, la dovuta dignità alle vittime di quella orrenda trappola in galleria, frettolosamente liquidate dai resoconti dell’epoca come contrabbandieri.
Rifà i conti Patrizia e scopre che i cavesi che non fecero ritorno furono almeno 35, ascolta testimonianze, tira fuori documenti, fa rete con le altre fonti editoriali e su internet che hanno trattato l’argomento.
E ha ragione quando scrive che dal 1944 al 1993 (poi ci sono stati finalmente alcuni studi e pubblicazioni) “c’è stato un silenzio innaturale su questo disastro. Con pochi righi su un paio di quotidiani dell’epoca fu presto archiviato come un incidente dovuto alle precarie circostanze di viaggio da rimuovere in fretta”. Rimuovere in fretta la vita e il ricordo di 600 persone che viaggiavano ammucchiate in vagoni merci per andare nel potentino a cercare di rimediare un po’ di vettovaglie a buon prezzo, in un’epoca di distruzione e di fame collettiva… Ho chiesto a un cavese classe ’28 se ricordasse qualcosa di quella disgrazia. Certo, la ricorda, ma con scarsa partecipazione e interesse, al contrario di altri aneddoti cavesi che spesso racconta. Eppure avrebbe potuto esserci anche lui fra le vittime, visto che pochi giorni prima, come tanti altri giovani della sua età, aveva fatto lo stesso viaggio avventuroso.
Patrizia Reso ha avuto ancora il merito di porre all’attenzione dei cavesi di oggi la storia spesso triste e drammatica dei nostri nonni o padri, che non si ha più voglia di raccontare. Attraverso queste pagine rimarrà traccia di quella storia. Vorrei dire a Patrizia che non è un lavoro vano. Nella nota introduttiva manifesta sfiducia nella possibilità che i suoi contributi di ricerca e approfondimento riescano a coinvolgere la cittadinanza. Non è vero. Noi siamo la nostra storia e anche Cava e i cavesi sono il frutto della piccola storia metelliana. Tutto quanto viene scritto e conservato, documenti d’archivio, libri e persino il nostro giornale, restano impressi nella pietra e prima o poi trasferiti nelle nostre menti e nelle nostre anime. Tutto il resto, lo porta via il vento.
Enrico Passaro
Panorama Tirreno, luglio 2013