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Regole & Sport - 7
La giustizia sportiva, proposte di riforma
Vincenzo Senatore
Le controversie che, con incredibile puntualità e ciclicità, segnano ad ogni estate il mondo del calcio (ma, in verità, qualcosa di simile, sia pure più sporadicamente, si è registrato nel basket, per non tacere degli scandali-doping che hanno reiteratamente riguardato il ciclismo) impongono con urgenza di dare allo sport nuove, più adeguate regole. Siamo, tuttavia, dell’avviso che il carattere complesso delle liti, ed il diretto o indiretto coinvolgimento di interessi economici di notevole portata, unitamente alla lesioni di situazioni soggettive non riconducibili al solo ambito dello sport (nel caso del doping il diritto alla salute, nel caso delle frodi sportive il diritto patrimoniale degli scommettitori, nel caso della irregolarità dei bilanci la tutela dei soci non amministratori,e così via) non possono più essere regolate nel rispetto del principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, il quale, per buona parte, può dirsi ormai inadeguato e superato. Sia chiaro, l’autonomia dovrà valere ancora per le decisioni adottate nel campo di gioco e per le sanzioni ad esse più strettamente correlate (es. squalifiche di calciatori o tesserati espulsi, squalifiche di campo per intemperanze); in relazioni ad esse, infatti, immaginare forme di tutela esulanti dalla competenza della cosiddetta giustizia domestica (il giudice sportivo, la commissione disciplinare, la commissione di appello federale) sarebbe impossibile, essendo i tempi della giustizia ordinaria, anche per i riti di urgenza, del tutto incompatibili con la speditezza richiesta per provvedimenti destinati ad essere adottati nel brevissimo intervallo intercorrente tra una gara ed un’altra.
L’idea rivoluzionaria è quella di prevedere per tutto il resto il principio della specializzazione, in virtù del quale, lo Stato, riconosciuta la peculiarità del mondo dello sport, ed approntato un testo unico di leggi speciali che regolamentino le vicende delle società e delle associazioni, i loro obblighi e diritti e la soluzione delle eventuali controversie, ivi comprese quelle tra singoli tesserati o singoli sodalizi e organismi federali e/o del CONI, demandi la competenza a dirimere le questioni in capo alla magistratura ordinaria.
Magistratura ordinaria per casi selezionati
Due precisazioni appaiono a questo punto doverose, al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci. In primo luogo, non si tratta di istituire Tribunali speciali (espressamente vietati dalla Costituzione), ma, al contrario, di dotare gli attuali tribunali ordinari e/o amministrativi di procedure specializzate, più snelle e abbreviate rispetto a quelle ordinarie, per intervenire con tempestività a tutela di quelle situazioni giuridiche soggettive, rilevanti per l’ordinamento statale, che dovessero risultare lese a causa di irregolarità o illeciti manifestatisi in ambito sportivo, fuori del momento agonistico.
In tale prospettiva, ad esempio, il fallo di gioco che procura lesioni all’avversario dovrà ancora essere sanzionato dall’arbitro e dal giudice sportivo, salvo richiedere alla federazione di appartenenza l’autorizzazione ad adire il giudice ordinario.
In secondo luogo, è evidente che l’ambito di operatività della magistratura ordinaria debba essere circoscritto ad un numerus clausus di situazioni, evitando di ricorrere alla generica formula del frettoloso legislatore del 2003.
Situazioni tipiche, dunque, ambiti rigorosamente circoscritti per il giudice dello Stato, che, dovrà avvalersi delle regole procedurali, diverse da quelle ordinarie, che assicurino la chiusura della controversia in un lasso temporale necessariamente breve.
Nuove formule per verdetti rapidi
La rivoluzione, del resto, è più apparente che reale: si pensi, ad esempio, che la frode sportiva è da tempo sanzionata penalmente (art.1 L.401/89), come l’esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa (art.4 della stessa legge); così come le false comunicazioni sociali costituiscono da sempre reato; parimenti la produzione di documenti artefatti o, comunque, non veridici per ottenere la iscrizione ad un campionato (es. liberatorie fasulle, fideiussioni inesistenti o rilasciate da soggetti non autorizzati) configurano reati di falso e truffa già alla luce della normativa vigente.
Sul piano procedimentale vanno studiate formule che consentano l’accertamento delle fattispecie con speditezza, al fine di giungere ai verdetti con la massima tempestività. Sul piano sostanziale le attuali figure di reato andrebbero arricchite con poche altre, ma, soprattutto, dovrebbero essere punite, quanto meno nei casi meno gravi, non con la pena detentiva, ma con sanzioni interdittive, temporanee o a tempo indeterminato, per le persone fisiche. L’accertamento, inoltre, della eventuale responsabilità delle persone giuridiche (contemplata dal nostro ordinamento a partire dal 2001 e punita con pene pecuniarie ed interdittive) dovrebbe determinare la irrogazione della sanzione ulteriore della penalizzazione in classifica, della retrocessione alla categoria inferiore e, nei casi più gravi, nella esclusione dal campionato di appartenenza  con retrocessione di più serie.
E’ evidente che una simile riforma impone l’adozione di altre misure di carattere generale, idonee a deflazionare il carico di lavoro attualmente gravante sugli uffici giudiziari, con il ritorno immediato al cosiddetto diritto penale minimo.
La eliminazione dall’ambito penalistico di un gran numero di fattispecie, attualmente previste come reato, è da più parti e da tempo fortemente auspicata.
Tutela della credibilità e della pulizia dello sport
Essa potrebbe ridurre il carico attuale, secondo alcune stime non ufficiali, anche del 50% se non più.
L’eliminazione di reati che attualmente sanzionano condotte per le quali la sanzione penale appare in alcuni casi spropositata, in altri inutile (in quanto la pena irrogata è destinata a rimanere ineseguita) potrebbe consentire di introdurre forme di tutela davvero più efficienti ed autorevoli a tutela della credibilità e della pulizia dello sport, senza, peraltro, introdurre nuovi reati, ma - come già evidenziato - semplicemente prevedendo sanzioni accessorie di un’indubbia valenza deterrente.
In tal modo l’illecito in generale, perpetrato in ambito sportivo, non dovrebbe passare, come accade nell’attualità per cinque gradi di giudizio domestico, prima di arrivare comunque innanzi ad un tribunale dello Stato.
L’accesso diretto alla giustizia ordinaria appare, del resto, più compatibile con i principi costituzionali, rispetto all’attuale “apparente” autonomia dell’ordinamento sportivo che sempre più assomiglia ad una fictio iuris, con grave mortificazione dell’idea di Giustizia.

Panorama Tirreno, giugno 2008

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