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Sport
Regole & Sport - 6
Il nuovo statuto della FIGC: cambia il modello
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della giustizia sportiva
Vincenzo Senatore
Nel febbraio del 2007, a conclusione della proficua gestione commissariale Pancalli, è stato approvato il nuovo Statuto della F.I.G.C. che, al suo interno, nell’ambito del titolo quarto, denominato “Le Garanzie”, contiene le linee di indirizzo di un nuovo modello di giustizia sportiva. L’articolo 30 fa espresso riferimento alla efficacia dei provvedimenti federali; in particolare al comma terzo si è codificato il principio secondo cui l’ultimo grado di giustizia delle controversie insorte fra tesserati, società affiliate o fra questi ultimi e la stessa federazione, è rappresentato dalla Camera di Conciliazione e arbitrato per lo sport presso il Coni. Non sono soggette, tuttavia, ad arbitrato i seguenti provvedimenti:
- decisioni con lodo arbitrale in applicazione si clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da regolamenti federali;
- decisioni della Commissione vertenze economiche;
- decisioni definitive degli Organi di Giustizia sportiva federale relative ad omologazioni di risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie di importo inferiore ai 50.000 euro ovvero sanzioni comportanti la squalifica o inibizione dei tesserati inferiori a venti giornate di gara o 120 giorni, la perdita della gara, l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse, la squalifica del campo.
Sbarramento all’accesso della giustizia ordinaria
Tale elencazione appare assolutamente significativa e rigorosa ed è chiaramente finalizzata a limitare all’ambito della giustizia federale (giudice di primo grado, commissione disciplinare nazionale, corte di giustizia federale) controversie aventi ad oggetto provvedimenti sanzionatori “ordinari” comminati a tesserati e società nel corso della stagione agonistica; l’elenco non comprende, infatti, provvedimenti di maggiore impatto sanzionatorio (generalmente adottati a margine della stagione), quali penalizzazioni, retrocessioni di ufficio ed esclusioni dal campionato per motivi disciplinari o, per i tesserati, squalifiche a lungo termine. In tali casi è consentito, in ultima istanza, il ricorso alla Camera di Conciliazione e arbitrato presso il Coni, il quale, in caso di mancato accoglimento, legittima il ricorrente ad adire, per la tutela dei propri interessi legittimi, gli organi della giustizia amministrativa (Tar del Lazio e Consiglio di Stato).
La delimitazione prevista dall’art. 30 del nuovo Statuto Figc appare in linea di massima condivisibile, essendosi previsto uno sbarramento all’accesso alla giustizia ordinaria rispetto a provvedimenti destinati a produrre i propri effetti nel brevissimo termine, in relazione ai quali, viceversa, una indiscriminata azionabilità innanzi al giudice statale, avrebbe determinato effetti paralizzanti non solo per la giustizia sportiva, ma anche per lo stesso svolgimento dell’attività agonistica, con situazioni del tutto improponibili ed incompatibili con la rapidità dei calendari agonistici (si pensi, ad esempio, alla richiesta di sospensiva della sanzione della squalifica del campo di gioco per una sola giornata, con teorica necessità di esaurire i gradi della giustizia federale e della camera di conciliazione in meno di dieci giorni al fine di adire la giustizia ordinaria in maniera tempestiva).
Il limite massimo di partite a porte chiuse
Una riserva, tuttavia, ci sentiamo di formulare rispetto allo sbarramento previsto per la sanzione dell’obbligo di disputare a porte chiuse più partite. Al fine di evitare possibili dubbi interpretativi sarebbe stata necessaria maggiore precisione da parte degli estensori dello Statuto nel fissare il limite massimo di partite a porte chiuse entro il quale deve ritenersi non ammesso il ricorso alla Camera di Conciliazione. La formula “una o più partite” fa legittimamente ritenere la inammissibilità di tale ricorso anche in presenza di cinque-sei gare o, addirittura, di una intera stagione da giocare a porte chiuse (si pensi ad un provvedimento adottato ad inizio stagione con termine di scadenza 30 giugno).
Tenuto conto degli interessi economici correlati ad una gara, con particolare riferimento agli incassi ed agli sponsor, il divieto di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive (nella specie diritti patrimoniali) innanzi al giudice ordinario competente appare in contrasto con l’espressa previsione della Legge 280 del 2003 e con l’art.24 della Costituzione.
Nel comma quarto dell’art.30 dello Statuto la Federazione ha ribadito la sussistenza della clausola compromissoria e, pertanto, in caso di violazione dell’obbligo di vincolo di giustizia federale, sono espressamente previste sanzioni per i soggetti contravventori. Rivolgersi, insomma, al giudice ordinario per ottenere la riduzione della squalifica del campo di gioco o la revoca della sconfitta a tavolino, comporterà l’applicazione di ulteriori penalizzazioni per la società ricorrente.
La verifica del “patto fra gentiluomini”
Si tratta, ovviamente, di una affermazione meno ampia della clausola compromissoria rispetto al passato, limitata ai casi, sopra ricordati, nei quali vige il divieto di accedere alla Camera di Conciliazione e, eventualmente, al giudice statale. Dopo i traumatici eventi dell’estate del 2003, si tratterà di verificare se il “patto fra gentiluomini” (che costituisce la base della clausola compromissoria) rivelerà una tenuta adeguata, con particolare riferimento a quelle situazioni (sopra ricordate) nelle quali l’asprezza della sanzione si rivelerà particolarmente pregiudizievole per diritti soggettivi patrimoniali.
L’art.33 dello Statuto contiene i principi informatori della giustizia sportiva, con particolare riferimento alla giustizia calcistica; al primo comma si legge “Gli organi della Giustizia sportiva agiscono in condizioni di piena indipendenza, autonomia e terzietà e riservatezza…..il codice di giustizia sportiva disciplina i casi di astensione e di ricusazione dei giudici”; al secondo comma vi è la condivisibile affermazione secondo cui “le norme relative all’ordinamento della giustizia sportiva devono garantire il diritto di difesa”.
Collaboratori di giustizia… sportiva
Più problematico e, verosimilmente, foriero di ulteriori, controverse applicazioni si presenta l’innovativo principio di cui al terzo comma dell’art.33, secondo cui : “il Codice di Giustizia sportiva prevede norme di tipo premiale per i tesserati o le società che diano un contributo di rilevante collaborazione per la individuazione di tesserati o società responsabili di comportamenti disciplinarmente rilevanti”.
Qui, a dir il vero, il principio è davvero espresso in forma oltremodo generica, sicché è lecito attendersi maggiore precisione da parte del legislatore sportivo di secondo grado. Non v’è dubbio, tuttavia, che la summenzionata disposizione statutaria intenda riferirsi a tesserati o società che, resesi autrici di condotte illecite e raggiunte da formali incolpazioni, intendano collaborare con gli organi di giustizia sportiva al fine di individuare ulteriori responsabili. Il riferimento a termini del genere “norme di tipo premiale” e “collaborare” non lasciano spazio ad interpretazioni alternative, anche perché sarebbe arduo pensare a norme di tipo premiale in favore di chi, completamente estraneo a condotte integranti illeciti sportivi, segnali queste ultime agli organi competenti.
Come premiare chi “collabora”?
D’altro canto, il Codice di Giustizia Sportiva prevede attualmente in capo a tesserati e società l’obbligo di riferire nella immediatezza fatti di rilievo disciplinare di cui siano venuti a conoscenza; obbligo a sua volta assistito da sanzione, per i casi di omessa denunzia. Sarebbe singolare, in altri termini, prevedere un premio per chi,essendovi obbligato, denunzia un illecito sportivo. In realtà, la norma sopra riportata si riferisce ai concorrenti nell’illecito o, se si preferisce, in termini penalistici, all’indagato o imputato in procedimento connesso. Va detto che, nell’ambito della giurisprudenza penale, formatasi sulla base del disposto dell’art.192 del codice di rito, tali soggetti sono valutati con iniziale sospetto. Le dichiarazioni del correo, prima di assurgere al rango di prova, devono superare il vaglio della attendibilità intrinseca ed estrinseca. Del resto, chi, essendo stato concorrente nel reato, è indotto a collaborare al fine di ottenere uno sconto di pena, è soggetto di per sé meno attendibile rispetto al testimone terzo e disinteressato.
E’, dunque, assolutamente necessario che il legislatore di secondo grado precisi in che modo ed entro quali termini e sulla base di quali parametri oggettivi e soggettivi di attendibilità, il collaborante possa accedere alla norma premiale, non potendosi vincolare il riconoscimento dello sconto di pena al generico concetto della “rilevante collaborazione”. Detto ciò, ed avendo sottolineato la necessità di completare in sede di legislazione subordinata il principio espresso, non v’è dubbio che si è al cospetto di una novità epocale, destinata, con le dovute cautele in sede di applicazione, a produrre effetti di notevole rilievo nell’ambito della giustizia sportiva. Aver introdotto la figura del collaboratore di giustizia, nell’ambito del processo sportivo, significa voler contrastare con determinazione ed efficacia l’omertà che caratterizza ancora oggi il mondo dello sport. Profilandosi, sulla base di quanto accertato nell’estate del 2006, l’esistenza di un sistema associativo verticistico, che controlla ed orienta le prestazioni agonistiche, sistema, verosimilmente, ancora non del tutto debellato, appare giusta la strada indicata dallo Statuto. I collaboratori di giustizia, a partire dai primi anni 90, hanno consentito allo Stato di infliggere colpi durissimi e, un tempo, non immaginabili, alle organizzazioni mafiose e camorristiche; sulla base di questo dato storico è giusto pensare di contrastare nello stesso modo il malaffare del calcio, a patto, tuttavia, che la giustizia sportiva non sia lasciata sola nella battaglia e che alle sanzioni disciplinari si affianchino sanzioni penali ben più severe di quelle attualmente previste dalla L 401/89 da irrogare nei confronti di  chi compie atti fraudolenti finalizzati al raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione.

Panorama Tirreno, giugno 2008


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