I numeri precedenti

Cavese


Storia citt
Testata-1.jpg
logo GM.jpg
Sport
Regole & Sport - 1
Le condanne di “Moggiopoli”
e l’illecito sportivo della Cavese del 2002

Enzo Senatore, magistrato, nostro carissimo amico, figlio del compianto Raffaele, giornalista e redattore dei primissimi anni di vita di Panorama Tirreno, con questo documentato, incisivo e competente articolo torna a scrivere sul nostro giornale. È per noi motivo di gioia e soddisfazione. Bentornato tra noi, caro Enzo. (e.p.)
Vincenzo Senatore
L’autentico tornado giudiziario abbattutosi su Juventus, Milan, Lazio e Fiorentina alla metà del mese di luglio per effetto della sentenza della CAF, poi ricondotto al rango di un semplice temporale estivo, in conseguenza della più mite pronunzia della Corte Federale, fornisce l’occasione per una rilettura, a distanza di anni, della decisione 263/1027 adottata dalla Disciplinare il 22.7.2002.
Per chi ha minore dimestichezza con date e numeri, si tratta del provvedimento con il quale i giudici sportivi di primo grado, in accoglimento delle richieste della Procura Federale (anche allora rappresentata dal dottor Stefano Palazzi), inflissero a Cosimo D’Eboli - tesserato per la Cavese nella stagione 2001-2002 quale allenatore delle giovanili - la squalifica di anni tre, a De Sio Francesco - tesserato della Cavese quale socio - la squalifica di anni due ed alla società biancoblu la sanzione della esclusione dal campionato di serie C/2 per responsabilità oggettiva nelle violazioni ascritte ai summenzionati tesserati, ai sensi dell’art. 6 commi 1 e 2 del Codice di Giustizia Sportiva.
Dai play out alla vergogna
I fatti risalgono al maggio del 2002: la Cavese, dopo un deludente campionato, fu impegnata nella coda dei play-out contro il Nardò per salvarsi dalla retrocessione.
In ragione del miglior piazzamento in classifica (che avrebbe garantito la permanenza in C agli aquilotti anche in caso di pareggio nei due confronti) la gara dell’andata si disputò in Puglia e si concluse a reti inviolate, domenica 19 maggio.
Il 26 maggio si disputò il match di ritorno che la Cavese si aggiudicò, al termine di una prestazione finalmente convincente, con il classico risultato di 2-0.
L’attenzione dell’ufficio indagini, tuttavia, si concentrò su quanto sarebbe accaduto nei giorni 20, 21, 22 maggio, vale a dire nel corso della settimana che precedette la decisiva partita in programma al Lamberti.
Versioni dei fatti contraddittorie
Alla base dell’ intervento degli investigatori federali vi era una segnalazione di un dirigente del Nardò, che, in data 22 maggio 2002, telefonicamente informava questi ultimi di comportamenti antiregolamentari posti in essere da tesserati della Cavese ai danni della sua società. Seguì un fax contenente la formale denunzia il cui contenuto era il seguente: “Facendo seguito ai colloqui telefonici intercorsi, confermiamo che il nostro calciatore Ragazzo Antonio è stato avvicinato da persone che con offerte varie lo hanno invitato ad agevolare la vittoria della Cavese sulla Nuova Nardò Calcio in occasione della gara valevole per i play out del Campionato Nazionale di serie C/2 in programma domenica 26 maggio p.v. a Cava dei Tirreni. Il calciatore ha comunicato l’avvenuto al capitano Passalacqua Carmine, il quale ha informato il signor Dell’Abate Eugenio, direttore generale della società”.
La fase investigativa, condotta dall’Ufficio Indagini, fu caratterizzata da contraddittorie versioni dei fatti rese dal Rogazzo (il quale, peraltro, nella precedente stagione e fino al gennaio 2002 aveva militato con alterna fortuna proprio nelle fila della Cavese). Questi, in particolare, negò agli investigatori di aver mai ricevuto una offerta di un contratto triennale da D’Eboli e negò di aver mai ricevuto un’offerta di trenta milioni dal De Sio; affermò, di contro, di essere stato avvicinato il 20 maggio, nel mentre si trovava a Cava per motivi personali, da un tifoso a nome Franco che gli aveva offerto 30 milioni, precisando che quest’ultimo non si identificava con il De Sio che, invece, ben conosceva per essere un dirigente della Cavese. Ammetteva il Rogazzo di aver ricevuto una telefonata il martedì 21 maggio dal D’Eboli; nel corso del colloquio questi si era complimentato per la sua prestazione nella partita di andata, si era informato sulle sue condizioni fisiche e gli aveva detto che a Cava vedevano bene un suo ritorno perché volevano allestire una buona squadra.
A questo punto il Rogazzo aggiungeva all’ufficio indagini: “Si trattava di un avvicinamento sospetto e gli ho detto di non proseguire”, negando decisamente di aver ricevuto dal D’Eboli una proposta di un contratto triennale e l’offerta di trenta milioni.
Ad affermare tale ultima circostanza vi erano altri due calciatori, il capitano Passalacqua e tale Chichella, i quali sostenevano di aver ricevuto la rivelazione dallo stesso Ragazzo nel corso del ritiro prepartita.
Sulla base di tali elementi e, cioè, con un teste diretto che negava il comportamento illecito di tesserati della Cavese e con due testi indiretti che affermavano il contrario e, pertanto, su basi probatorie assolutamente insussistenti, in quanto palesemente contrastanti, la Procura Federale deferì i due tesserati (D’Eboli e De Sio) e la Cavese per responsabilità oggettiva innanzi alla Disciplinare ipotizzando la fattispecie dell’illecito sportivo.
Il dibattimento si aprì e si concluse in un solo giorno, il 22 luglio 2002.
In quella stessa giornata furono affrontate le eccezioni preliminari (fra le quali, quella rigettata dal collegio, relativa alla costituzione in giudizio del Nardò, quale terzo interessato); furono sentiti Passalacqua, Chichella e Rogazzo; furono illustrate le richieste delle parti e, intorno, alle 20,00 fu letto il dispositivo.
Processo risolto in dodici ore
Circa dodici ore per la definizione di un processo, un tempo record, indubbiamente;
un record, tuttavia, certamente negativo, realizzato solo grazie alla compressione ed alla compromissione dei diritti della difesa, con buona pace dell’art.111 della Costituzione nel testo novellato (cosiddetto giusto processo) dalla Legge Costituzionale n.2 del 23 novembre 1999.
A nulla valsero le argomentazioni della difesa della Cavese, secondo cui “tutte le denunce, tutte le accuse, tutte le illazioni, tutti i sospetti nascono dopo la gara di andata terminata con il punteggio di 0-0 con la conseguenza che solo con un miracolo sportivo il Nardò, in trasferta a Cava de’ Tirreni, avrebbe potuto capovolgere l’esito di uno spareggio oramai irrimediabilmente compromesso”, con la conseguenza “di un logico ed inevitabile sospetto che determina l’inevitabile convinzione per la quale una volta sconfitta sul campo di gioco, la società pugliese abbia posto in essere tutta una serie di iniziative volte ad acquisire, a tavolino, la permanenza in serie C/2 perduta con i risultati squisitamente sportivi”.
Ma tant’è, evidentemente quel collegio giudicante, presieduto dall’avv.Rodolfo Lena, e composto fra gli altri da un membro avente il titolo di ragioniere, dissentiva dal principio normativo, espressamente recepito dal codice di procedura penale, secondo cui gli indizi (tali sono gli elementi inidonei a provare in maniera diretta un fatto, quali, ad esempio, una testimonianza) per avere valenza probatoria devono essere gravi, precisi e concordanti.
Stupisce che tale principio non fosse tenuto in debita considerazione dalla Caf, all’epoca molto autorevolmente presieduta dal dottor Martellino, che il primo agosto del 2002, con altrettanta speditezza respinse il ricorso presentato dalla Cavese.
Incredibilmente entrambi i collegi giudicanti ritennero sussistente il tentativo di illecito sportivo, benché l’istruttoria dibattimentale, e la precedente fase investigativa, non avessero assolutamente portato in luce quegli “atti idonei diretti in modo non equivoco” che costituiscono di un qualsivoglia delitto tentato.
Camere di conciliazioni, arbitrati e tribunali amministrativi avrebbero fatto ingresso in pompa magna l’estate successiva, quella del 2003, e per la Cavese si spalancarono le porte dell’inferno della serie D.
Le analogie con il caso Milan
E’ importante evidenziare che alcuna sanzione fu inflitta al presidente o ad altri dirigenti di primo piano; la responsabilità oggettiva della società fu, insomma, conseguenza della responsabilità, a dir il vero, molto presunta di un allenatore delle giovanili e di un socio privo di specifiche mansioni.
Quattro anni dopo, nel luglio 2006, la Corte Federale molto più magnanimamente ha ritenuto che i colloqui telefonici intercorsi fra il dirigente addetto agli arbitri del Milan ed esponenti del mondo arbitrale configurassero una ipotesi, attenuata, di slealtà e non di illecito e che, in definitiva, il summenzionato dirigente non rappresentava il club rossonero; di conseguenza la sanzione comminata si è limitata ad una penalizzazione di punti nella stagione 2005-06 e ad una ulteriore penalizzazione di otto punti da scontare in questa stagione.
E’ significativo sottolineare, per tornare alla triste vicenda di casa nostra, che entrambi i collegi giudicanti respinsero la richiesta del Nardò di essere inserito nell’organico della serie C/2 al posto della Cavese.
Quel posto, infatti, fu assegnato dalla F.I.G.C., il giorno dopo, 2 agosto 2002, alla neonata Florentia, la Fiorentina di Diego Della Valle, che, in quel modo, entrava nella scena calcistica direttamente dalla C/2, ricevendo l’estate successiva l’ulteriore regalo della serie B, saltando a pie’ pari la serie C/1. Ma delle vicende del 2003 e dei discutibili provvedimenti legislativi adottati in quella occasione scriveremo la prossima volta.

Panorama Tirreno, novembre 2006
PT5_2.pdf
Testata-1oltre.jpg
logocavese.jpg
Cava storica 12.jpg