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Panorama oltre il Tirreno
Panorama oltre il Tirreno
Perù, culla del mistero dove gli indios celebrano l’eros e i topi sono un cibo prelibato
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Elisabetta Muraglia
Arriviamo a Lima il 27 dicembre 1994 in serata; dopo cena passeggiata in città. Che squallore! Non ricordo di aver mai visto una città così sporca. È già passata la mezzanotte (quindi è il 28 dicembre) ed i resti dei vari mercatini ambulanti si fanno vedere. Qualche signora (sono le donne a gestire il commercio al minuto) spera ancora di vendere le sue magre mercanzie ed attende fiduciosa sul ciglio della strada.
Gli Incas e l’amore
Mi chiedo come sia stata la vita al tempo degli Incas: i fasti del loro impero mi riempiono gli occhi al museo antropologico. Tanti simboli fallici e scene di copula. L’eros doveva occupare un posto importante nella scala dei loro valori. Tutti questi oggetti ritrovati sono appartenuti sicuramente alla classe più abbiente, lo si denota dalla fattura delle ceramiche, dalle stoffe e dagli amuleti (orecchini da uomo grandi come tappi da damigiana).
E il popolino? Anche per la gente normale e più povera l’eros è importante? Forse ancor di più! La libido è l’impulso più violento e dirompente della vita e in un paese in cui la miseria la fa da padrona è l’unica cosa importante di cui si ha proprietà.
E l’amore? Come manifestava l’amore un indios alla sua donna? Qui l’amore è ancora visto come qualcosa di magico, a metà tra il terreno (i vari simboli sessuali) e l’irreale (gli amuleti, le credenze, i riti delle streghe). Nei vari mercatini c’è sempre qualcuno che vende fatture. Uno degli amuleti più usati è un feto di lama imbalsamato da usare per sortilegi particolari.
Anche a La Paz (Bolivia) la credenza magica è molto viva. Una delle vie del centro è conosciuta come “la via delle streghe” dove tranquille signore dall’aspetto di mamme di famiglia ti vendono simboli di tutti i tipi: quello dell’amore è una statuina con scolpiti due amanti vicini, mentre la tartaruga rappresenta lunga vita. Le ho comprate entrambe per 2 bolivar, sperando di avere una lunga vita d’amore.
Scheletri perfettamente conservati
Il Capodanno lo abbiamo festeggiato ad Arequipa, altra grande città del Perù. Da visitare c’è il monastero di Santa Catalina ormai in disuso, ma una volta punto di arrivo delle seconde figlie femmine delle famiglie nobili del paese che erano costrette a farsi monache di clausura. Chiaramente senza vocazione, trascorrevano la vita nel convento chiuse, ma gaudentemente invitando i loro amici ed organizzando festini. Sposando l’amor sacro e l’amor profano. È durato tutto fino all’arrivo di una madre superiora che indispettita ha chiuso i battenti del convento. Oggi è un luogo di visita con strade che hanno i nomi delle maggiori città spagnole. È una piccola città nella città.
Il nuovo anno ci ha portato a visitare invece le tombe Sillustani, luogo di culto per i morti, dove l’amore per gli avi si fonde con l’amore per la terra: la grande madre retta, la Pacha Mama a cui rendere omaggio. Ella ha regalato la terra per costruire delle torri, alcune ancora intatte, dove far riposare i morti per il loro sonno eterno.
Da Lima scendiamo verso sud, nella penisola di Paracas, lì ci sono le isole Ballestas, paradiso di elefanti marini e cormorani e, mentre su un gommone ci godiamo lo spettacolo, ci appare di fronte: eccolo è lui, il grande candelabro!
È scolpito sulla roccia della penisola e se ne può osservare tutta la sua bellezza dal mare. Qualcuno dice che deve la sua forma ad una pista di atterraggio extra-terrestre. Con un pulmino noleggiato localmente io ed altri undici connazionali, raggiungiamo Nazca. Dei piccoli “piper” ci porteranno quattro alla volta ad una quota sufficiente per osservare dall’alto il misterioso calendario di animali e figure: tra essi spicca la scimmia, il colibrì e, pensate un po’, anche l’astronauta! Come avranno fatto a disegnarlo se gli astronauti ce li siamo inventati noi negli anni ‘60? Sono scolpiti nella roccia del deserto e si possono osservare solo dall’alto, poiché date le loro notevoli dimensioni, si può avere una visione d’insieme solo dall’alto.
Riprendiamo il cammino e ci troviamo lo stupefacente ed anche macabro paesaggio di un cimitero tardo-inca, in cui degli scheletri perfettamente conservati (con tanto di pelle essiccata e di capelli ancora uniti alla cute), fanno bella mostra di sé completamente abbandonati su un altro territorio desertico. Il caldo ci sfianca, siamo in gennaio, ma in Perù è praticamente estate, il clima e molto secco. Chissà che non sia questo il motivo per cui questi resti sono arrivati così ben conservati fino a noi.
Qualche chilometro più in là il Lago Titicata, il lago sacro degli Incas, da cui la leggenda narra siano nati il primo uomo e la prima donna. È un lago molto vasto: 8000 chilometri quadrati, situato a 4000 metri di altezza, ha trenta isole e onde come il mare. La curiosità è che una parte delle isole, abitate dalla popolazione Uro, sono galleggianti ed ottenute posando più strati di totora, una specie di giunco, che loro usano anche per costruire capanne e barche. Su una di queste capanne c’erano dei topi spellati e messi ad essiccare al sole; pare sia un cibo pregiato in Perù; infatti nella famosa cattedrale di Cuzco, l’ultima cena è illustrata con 12 apostoli che si dividono un vassoio su cui fa bella mostra di sé un topone.
Il mercato sui binari del treno
A Puno, famosa località turistica, compro uno dei loro cappelli per illudermi di poter essere come la gente del posto sul posto, ma che al ritorno a casa getto in un cassetto e lì rimane. A Puno salgo sul “trenino delle ande” in direzione Cuzco. Grossa delusione: mi aspettavo un trenino nero ammantato di fumo, perché nella mia fantasia l’avevo immaginato tante volte così ed invece no: il treno è uguale ai nostri, solo l’attesa è maggiore: ben cinque ore di ritardo per un deragliamento al treno precedente. Un attentato di Sendero Luminoso o una semplice disgrazia? Quando abbiamo raggiunto il luogo, il treno era ancora lì, spostato di lato, e degli affaccendati macchinisti ci lavoravano sopra alacremente.
Il viaggio Puno-Cuzco dura un tempo interminabile, ad ogni stazione si ferma circa mezz’ ora perché le donne vendono mercanzia e cibo e gli uomini suonano nenie dolci con il flauto a più canne. “El Condor Pasa” ha accompagnato tutte le mie giornate peruviane. Ma la stazione non è solo un luogo di transito, per la gente locale è un luogo di smercio, di vita, di gioco. I bimbi giocano tranquillamente a palla sui binari e le donne vi espongono i maglioni fatti a mano. Il treno lo sa, arriva in stazione lentamente, suona per avvertire, la gente si sposta, lo lascia passare e appena se ne intravede la coda, ri-piazzano subito la loro merce e la vita sui binari riprende allegramente.
Cuzco (che vuol dire ombelico del mondo) è tappa obbligata per organizzare la visita a Machu Picchu e il 24 giugno ci si svolge la famosa “festa del Sole”. La città è stata rasa al suolo da più terremoti nel corso degli anni, ma le mura incaiche che fanno da basamento alle costruzioni più recenti hanno sempre retto, quasi a monito della grandezza della loro civiltà. Machu Picchu si trova a 2280 metri, quasi mille in meno di Cuzco e questo influisce sulla vegetazione locale. Forse è così svelato il mistero che mi attanagliava: come facevano a sopravvivere specie vegetali diverse, il lichene con la felce e con il cactus o il fico d’ india a così alte quote? Per arrivare si attraversa un canyon, costeggiato dal fiume Urubamba, “il fiume sacro” che rende le terre limitrofe fertili, sia nelle zone pianeggianti e sia sulle numerose piccole terrazze, tipiche dell’agricoltura incaica. La patata è la regina degli ortaggi: gli incas erano riusciti a riprodurre 250 varietà diverse, oggi se ne coltivano “solo” 150. Come faranno? Il chilometro 88 della strada ferrata è mitico per gli appassionati di scalate; da lì parte il Cammino Inca, che dopo tre giorni porta in cima alla montagna. Quel giorno mi sono arrivate le mestruazioni, inattese. E’ stata l’aria della montagna stregata? All’entrata della cittadina nascosta dalle montagne, c’è Francisco, un vecchio indio che mi ha fatto tornare con le sue parole al tempo in cui Manco Capac, re incas, regnava sulla zona.