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cultura & società
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La storia di Giovanni Passannante
il cuoco che attentò a Umberto I
In un libro di Giuseppe Galzerano
l’assurda vicenda del “sovversivo” che
tentò di uccidere Umberto I. Fu perseguitato fino alla
morte. Il suo paese natale, Salvia, fu addirittura privato del
nome
È nelle librerie la
seconda edizione del libro “Giovanni Passannante”,
di Giuseppe Galzerano edito dall’omonima casa editrice.
Il volume ricostruisce la drammatica vicenda del cuoco lucano,
vissuto quasi sempre a Salerno, che, per primo in Italia,
attentò al re Umberto I. «Questa vicenda - afferma
l’autore - è una ferita ancora aperta nella storia
sociale, politica e civile del nostro paese. Anche per questo
è motivo di legittima soddisfazione curare una nuova
edizione».
La prima edizione, pubblicata nel 1997,
era stata accolta con favore ed interesse dal pubblico e dagli
organi di informazione.
La pubblicazione, in particolare, ha
suscitato un notevole dibattito nel paese natale del mancato
regicida, il cui nome fu cancellato dalla geografia
dell’allora regno d’Italia. Nonostante la caduta
della monarchia, avvenuta nel 1946, il vecchio toponimo di
Salvia non è stato più ripristinato.
Giovanni Passannante, un cuoco lucano
ventinovenne, vissuto quasi sempre a Salerno, il 17 novembre
del 1878 a Napoli con un coltello di otto soldi, per protesta
ed in nome della “Repubblica universale”, attenta
alla vita del re d’Italia Umberto I senza colpirlo. Solo
il presidente del Consiglio, Benedetto Cairoli, riporta una
lieve ferita. ”L’attentatore che qualche ora prima
ha venduto al mercato dei panni vecchi la giacca per poter
acquistare il coltello, viene subito arrestato e sottoposto a
torture – continua Galzerano - perché sveli
un’inesistente congiura degli Internazionalisti
napoletani. Scatta in tutto il paese la repressione, ma non
mancano numerose testimonianze di solidarietà. Il grido
sovversivo di “Viva Passannante!” echeggia da un
capo all’altro della penisola: Giovanni Pascoli scrive
un’ “ode a Passannante” e subisce quattro
mesi di carcere. Il governo italiano che cadrà poco dopo
accusato di debolezza, ottiene la soppressione di un giornale,
che in Svizzera, si è occupato
dell’attentato”.
Il sindaco del paese natale di
Passannante deve recarsi dal re a Napoli per scusarsi, ma non
ha un abito adatto all’incontro e lo fitta. La piccola
comunità lucana deve espiare la inesistente
“colpa” di aver dato i natali all’attentatore
ed è costretta a cambiare denominazione al paese: cosi
Salvia diventa Savoia di Lucania, come continua a chiamarsi
ancora oggi ad oltre mezzo secolo dalla caduta della monarchia.
Repubblicano, anarchico, internazionalista con venature
religiose Passannante sorpreso a leggere i giornali
“rossi” del tempo (un’attività
ritenuta, nell’Italia unita abitata da milioni di
analfabeti, fortemente “sovversiva e pericolosa“),
era stato licenziato dal lavoro. “Figlio di miserrimi
contadini nullatenenti, partendo da una condizione di estrema
emarginazione sociale e culturale - prosegue Galzerano - da
solo impara, gravissimo reato, a leggere e a scrivere. Nel
1870, trovato nottetempo ad affiggere dei proclami repubblicani
per una rivolta popolare scoppiata in Calabria, viene arrestato
a Salerno, dove gestisce un’osteria, nella quale per lo
più si mangia gratuitamente. Definito mostro e
parricida, dopo che una perizia psichiatrica l’ha
riconosciuto inaspettatamente sano di mente, processato a
Napoli il 6 e il 7 marzo 1879, viene condannato a morte in
pochissimi minuti per aver avuto l’intenzione di ferire
re Umberto I”.
E’ una “mostruosità
giudiziaria”. Successivamente graziato dal re, che
commutò la pena nell’ergastolo, è rinchiuso
nel penitenziario di Portoferraio, in condizioni di incredibile
disumanità: nel buio totale incatenato ad una catena di
diciotto chilogrammi in una cella al di sotto del livello del
mare, isolato da ogni contatto umano, consumato dallo scorbuto
e dalla salsedine; è costretto a cibarsi dei propri
escrementi. L’ergastolo è peggiore della morte.
Ridotto a una larva, dopo dieci anni di patimenti, grazie alla
denunzia dell’on. Agostino Bertani e della giornalista
Anna Maria Mozzoni, viene trasferito nel manicomio criminale di
Montelupo Fiorentino, dove, grazie alla sua forte fibra di
contadino meridionale, muore nel 1910.
La crudeltà nei suoi confronti
registra una nuova raccapricciante atrocità e va oltre
la morte: in pieno secolo XX viene decapitato. Il cranio e il
cervello sono tuttora esposti in un museo criminologico di
Roma. “Questo libro, frutto di una minuziosa e attenta
ricerca su inediti fondi archivistici e sulla stampa
dell’epoca, italiana ed estera, ricostruisce e documenta
tutte le fasi della vicenda legata a Giovanni Passannante
solitario e coraggioso rappresentante dell’altra Italia -
conclude Galzerano - ed offre una panoramica
dell’anarchismo italiano e dei movimenti di protesta e di
rivolta di quegli anni. L’Italia repubblicana ritrova le
sue radici anche nel lontano gesto di Passannante, che per
primo ruppe l’incantesimo del mito monarchico e Garibaldi
lo definì “precursore dell’avvenire”.
Giuseppe Galzerano
Giovanni Passannante
Galzerano editore, seconda edizione 2005
Panorama Tirreno, marzo 2005
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