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storia
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Peppe Muoio, decano di vita e di giornalismo
Enrico Passaro
Non sono stato suo allievo al liceo e ho avuto la “fortuna” di lasciare lo scientifico prima che lui arrivasse. Mi permetto affettuosamente
una battuta - per il gusto solo della battuta - che forse lo avrebbe un po’ indispettito, come qualche volta capitava su certe mie affermazioni o commenti
giornalistici che lui non condivideva, non tanto nei contenuti, quanto nella
forma, credo, perché lui era un mediatore nato e io spesso non mi sono trovato sulla sua stessa
lunghezza d’onda. In verità, tornando alla scuola, ho constatato più volte quanto fosse benvoluto tra i suoi studenti e glie lo riconosco senza
remore, anzi, con gioia e ammirazione.
Per anni ha preso sulle sue spalle la responsabilità di continuare l’esperienza de “Il Castello”, altrimenti destinata a concludersi dopo la scomparsa di Mimì Apicella. Sono certo che lo ha fatto come atto d’amore, verso il vecchio direttore e verso la sua città, ai quali, entrambi, era legato da un legame profondissimo e impossibile da
scalfire.
Non serve che sia io a scriverlo, perché era palese a tutti, ma Peppe Muoio, col suo modo di essere, di scrivere, di
pensare, di insegnare, è riuscito in un’opera che è comune a pochi: quella di lasciare su questa terra il ricordo di una persona a
cui tutti, in un modo o nell’altro, sentono di poter dedicare un pensiero di affetto.
Panorama Tirreno, marzo 2016
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