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cultura & società
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Lettera per lettera, sillaba per sillaba
il libro dettato con un battito di ciglia
Apollonia D’Arienzo, per gli amici Lola o anche Lolita, insegnante di danza classica, ha
frequentato la facoltà di Sociologia dell’Università di Salerno. Oggi ha 48 anni e da 13 è affetta da S.L.A. (Sclerosi Laterale Amiotrofica), una malattia
neurodegenerativa, che interessa i motoneuroni, le cellule nervose che
controllano il movimento muscolare. Questa è una patologia che giorno dopo giorno fa perdere ogni autonomia: non si riesce
più a parlare, a deglutire, a muoversi, a respirare. Lolita a poco a poco ha
trovato la forza di “dettare” con il movimento delle palpebre, e poi con l’aiuto di un computer, le pagine raccolte in questo libro: il suo modo personale
di vivere la malattia come un’opportunità e fare della sofferenza un’esperienza unica, che le permette di affrontare con coraggio la vita di ogni
giorno.
“Parole tra le ciglia”
Marlin editore 2008
Gli occhi di Lolita
Tommaso Avagliano
Confesso di aver provato una certa riluttanza a farle visita quando, saputo che
avrei curato l’edizione del suo libro, ha espresso il desiderio di vedermi. Come per un moto
istintivo di difesa, in molti di noi il primo impulso è quello di rifuggire – sia pure con una punta di rimorso – dallo spettacolo della sofferenza e della malattia. Non sapere, non assistere e
non partecipare ci aiutano a restare a galla in un limbo di apparente normalità, a crogiolarci nelle nostre piccole beghe quotidiane, a voltolarci nei nostri
meschini tormenti. “Perché farmi coinvolgere?” pensiamo. “La vita è già così difficile.” Ma non è così, e l’ho verificato quando mi sono deciso ad accogliere il suo invito. Avvicinare
coloro che patiscono – nel corpo o nell’anima, o in entrambi, come spesso accade – ci fa capire quali sono i veri valori e quanto grande può essere il nostro egoismo. È una lezione salutare di umiltà, che infonde in ognuno sentimenti di fratellanza e di altruismo. E così sono salito alla casa di Lolita in via Onofrio di Giordano, sono entrato nella
sua stanza, l’ho vista distesa sul suo lettino d’inferma, attorniata da persone delicate e premurose che l’assistono ventiquattr’ore su ventiquattro. Giaceva con la testa reclinata leggermente da un lato, i
bei capelli dai riflessi dorati sparsi a onde sul cuscino, il corpo
imprigionato dalla gola in giù in un groviglio di fili e di tubi che le consentono di respirare e di nutrirsi.
Ho visto soprattutto i suoi occhi, così vivi e penetranti, e sulle labbra l’ombra di un sorriso.
Aiutato da uno dei suoi angeli custodi, Chiara D’Amato, bravissima in ogni evenienza ad assisterla, ho scambiato con lei poche
battute, rassicurandola sull’andamento dei lavori di preparazione del libro e sottoponendole una rosa di
titoli fra cui scegliere quello più idoneo. Ma ero attratto ed emozionato soprattutto dai suoi occhi, che non
pareva ma mi seguivano anche quando mi volgevo altrove a parlare con gli
astanti. Quando mi sono congedato, mentre scendevo le scale e prendevo la via
di casa, quegli occhi me li sentivo addosso, mi turbavano e mi quietavano ad un
tempo. Era una sensazione dolce e straziante, che mi dura ancora oggi e mi
durerà chissà quanto. Ora che li abbiamo impressi a stampa sulla copertina di questo libro,
gli occhi di Lolita continueranno a guardare me e tutti coloro che lo
prenderanno in mano e lo sfoglieranno. Non possiamo restare indifferenti
davanti al dramma di questa donna, e a quello dei milioni di esseri che
soffrono nel mondo a causa della fame, della guerra, delle malattie. Gli occhi
di Lolita ci guardano e ci ammoniscono. Ci dicono che quegli infelici hanno
bisogno di noi, del nostro aiuto, della nostra amicizia. Ora non possiamo più fingere che sia tutto come prima. Grazie a quello sguardo, qualcosa in noi è cambiato.
La malattia che mi ha cambiato
Apollonia D’Arienzo
La malattia sento che mi ha cambiato non solo il corpo ma anche il cuore. Così, spesso, mi chiedo chi veramente sono oggi. Sono una libellula alla quale un
dispettoso bimbo ha strappato le ali o, piuttosto, un leone pronto a ruggire
contro la sorte? Sono una mano privata delle sue dita o, piuttosto, un pugno
chiuso contro la vita stessa? Sono una vetusta Penelope, capace solo di sfilare
le trame della sua vita o, piuttosto, una nuova e fiera Medea? Sono una
semplice margherita senza più i suoi petali o, piuttosto, una tenace edera avvinghiata al muro della vita?
Sono soltanto un pallido fantasma, l’ombra di me stessa o, piuttosto, una bellicosa valchiria? Sono ancora un essere
umano o, piuttosto, un corpo privato della propria anima?
Panorama Tirreno, dicembre 2008
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