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cultura
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L’impegno per il bene comune, da Marx
a San Benedetto
Le esperienze di vita, politiche e di coscienza
Luigi Gravagnuolo intervistato da Alfonso Schiavino
“Ma i cieli non si assaltano”
Gli anni del ’68, i tempi post-ideologici, la mia Cava,
la Badia. Fatti e persone lungo una vita della generazione inquieta
Con i commenti del filosofo Aldo Masullo
Areablu Edizioni - 2018
Enrico Passaro
Bene ha fatto Alfonso Schiavino, abile ed esperto giornalista salernitano, a
dare ampio spazio, vincendo qualche remora, all’esperienza da sindaco di Luigi Gravagnuolo, nella redazione del volume “Ma i cieli non si assaltano”, un libro-intervista che ripercorre i trascorsi di gioventù dell’ex primo cittadino cavese fino alla recente sua adesione fra gli oblati
benedettini dell’abbazia di Cava de’ Tirreni. Dico questo perché nell’introduzione Schiavino spiega di aver proposto lui a Gravagnuolo di raccontare
la sua vita, ma di avere avuto un momento di perplessità quando il buon Gigino, aderendo al progetto, ha chiesto uno specifico
approfondimento sugli anni passati a Palazzo di Città.
Mi pare di capire che l’idea di questo libro parte dalla curiosità verso un’esperienza di vita partita significativamente dal Sessantotto, dal trotzkismo,
dal miraggio della rivoluzione ed approdata fra le braccia della regola di San
Benedetto. Non c’è conflitto, non c’è contraddizione, sostiene Gravagnuolo; c’è un percorso, ci sono le esperienze maturate, c’è la consapevolezza, c’è infine la disillusione, anzi, precisa Gigino, il disorientamento. La politica
nel mondo gira come gira, ma è pur vero, sostiene sempre l’intervistato, che San Benedetto, 800 anni prima di Marx, affermava che una
società sana distribuisce “a ciascuno secondo il bisogno”. E in questo il credo di Gravagnuolo non è mai cambiato. Restano la differenza filosofica e le implicazioni sociologiche
fra collettivismo e individualismo, ma l’approfondimento di queste delicate dissertazioni non meritano le mie
superficiali semplificazioni, per cui andiamo oltre.
Di certo, Gravagnuolo ha avuto modo di sperimentare il conflitto metodologico e
strategico tra i principi ispiratori dell’ideale rivoluzionario e l’urgenza pragmatica del governare, tra l’obiettivo di perseguire la libertà dal bisogno per tutti e la necessità di gestire le pulsioni individuali per indirizzarle verso un orizzonte di
interesse comune.
Per questi motivi è di particolare interesse seguire il racconto che descrive gli anni dal giugno
2006 al dicembre 2009, cioè dal giorno della sua elezione a sindaco con più di 18.000 voti, al giorno delle dimissioni anticipate e improvvise, sulla base
del calcolo, rivelatosi fallace, di un nuovo e più forte mandato popolare che prevedeva di poter ricevere dalle urne. Invece il 28
e 29 marzo 2010, al primo turno Marco Galdi e il centrodestra conquistarono la
maggioranza al Comune con 21.000 preferenze contro i 12.600 di Gravagnuolo.
Schiavino e Gigino alternano, col gioco di domanda e risposta, pagine di
biografia e un focus più stringente sul periodo alla guida della città. Partono dai furori giovanili del periodo studentesco, passando attraverso l’adesione alla Quarta Internazionale, l’approccio al PCI, poi al PDS, ai DS, al PD. Dalla laurea in filosofia all’insegnamento, dal giornalismo, alle docenze in materia di comunicazione. Poi le
forgianti esperienze amministrative al Comune di Baronissi, al fianco di
Vincenzo De Luca e come capo staff del sindaco De Biase a Salerno.
L’analisi dell’avventura politica cavese descrive la meditata, ben costruita, preparazione
della candidatura e l’approccio meritorio verso le frazioni; poi la faticosa adesione delle forze di
centrosinistra intorno al suo nominativo, il trionfo elettorale del 2006, le
dure esperienze della crisi dei rifiuti in Campania, del traballante ospedale
cittadino, delle opere pubbliche, della perdita dei veri e propri colossi
economici ed occupazionali della città; e ancora, la grande e incompiuta idea del millennio della Badia, l’ambizione di città di qualità, la questione sicurezza. Su tutte emerge l’amara esperienza, e fatale questione nei rapporti con l’opinione pubblica cittadina, dell’abusivismo e degli abbattimenti di edifici fuorilegge.
Su queste pagine ci si abbandona ad una lettura interessante, interessantissima,
direi formativa. Si apprezzano la qualità della persona, il bagaglio culturale e professionale messo a disposizione della
città. Si prova amarezza di fronte ad un’occasione perduta per il bene della comunità, al corto circuito con gli interessi sparsi e con le logiche della politica,
che non è solo, ahinoi, scialba espressione di politicuccia locale, ma demone della
Politica con la P maiuscola a livello nazionale e internazionale.
Sì, resta l’amarezza, riassunta da un’espressione usata dallo stesso Gravagnuolo nelle ultime pagine del libro: «Facciamo finta che (la politica) sia una cosa nobile». Pronunciata da un uomo con una formazione intrisa di impegno politico, che ha
creduto nella presenza attiva nella vita pubblica, ci ha messo la faccia, la
volontà e tutte le sue migliori intenzioni.
Sembra non essere un lieto fine per questo che potrebbe apparire come un bel
romanzo. Ma si può credere e interpretare che la scelta di oggi di entrare a far parte degli
oblati benedettini non sia un ripiegamento nel privato e nell’intimo, ma un nuovo inizio per il perseguimento del bene comune, come predicava
San Benedetto e come qualche centinaio di anni dopo ribadiva Marx.
Per Gigino Gravagnuolo tuttora, come cantava Gaber, la libertà è partecipazione.
Panorama Tirreno, marzo 2020
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