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storia
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Enrico Salsano, Presidente colto e gentile
È stato a capo dell’Azienda di soggiorno negli stessi anni in cui ha “regnato” il professore Abbro. Grazie al suo operato furono recuperati angoli cittadini e
importanti momenti di aggregazione
Enrico Passaro
Era il mese di giugno 1977 (o 1978). Al cinema Alambra veniva presentato il
cortometraggio su Cava
A ripensare a quei 21 anni in cui, dall’età di 37, ricoprì la seconda carica istituzionale della città, una considerazione forte mi viene di farla: fu lui l’unico, il presidente “colto e gentile”, a contrastare lo strapotere di Eugenio Abbro. E non lo fece per gusto della
lotta politica o del potere, anzi. È riuscito ad essere al vertice dell’ente turistico per così tanto tempo proprio perché aveva l’enorme dote di non essere uomo di potere, di saper prendere, anzi, con ironia il
suo ruolo, di sdrammatizzare e scansare le insidie della politica, spesso
portate da altri a livelli di meschinità e cattiveria che non rientravano nel suo patrimonio genetico. Non sto
esagerando. Se avete avuto modo di leggere l’interessante libro di Raffaele Senatore “Cava de’ Tirreni stazione di soggiorno” vi sarete resi conto di come negli anni la “poltrona” di presidente di una delle più antiche stazioni di soggiorno d’Italia, sia stata sempre al centro di manovre, colpi bassi e tranelli nell’ambito di una lotta politica fatta di invidie e rivalse tra il “Palazzo” municipale e la più defilata sede dell’Azienda.
Dirò di più: a mio avviso Enrico Salsano è uscito oggettivamente e indiscutibilmente vincente dal confronto con “Re Abbro”. Vediamo perché. Abbro è stato sempre alla guida del Comune cavese, direttamente o indirettamente.
Quando non c’era lui sulla poltrona più alta ci metteva un suo uomo di fiducia; se appena appena quest’ultimo tradiva le consegne del sovrano (nel senso che prendeva qualche
iniziativa di suo per cercare di dare una impronta personale alla sua fugace
funzione di sindaco pro tempore) veniva estromesso dal gioco (ricordate il caso
Giannattasio?). Abbro quindi è il responsabile dell’amministrazione cittadina del dopoguerra. Cosa oggi possiamo dire che ci ha
lasciato? Personalmente ritengo: uno stadio, una zona industriale andata in
malora, un obbrobrio architettonico in piazza Duomo, un mancato velodromo, un
palazzetto incompleto, una piscina mai finita, un trincerone che ancora ci fa
patire. E Abbro aveva mezzi e risorse, non solo come sindaco, ma anche come
assessore regionale.
Sull’altro fronte abbiamo Salsano a capo di un ente non dotato di risorse proprie,
con esiguo personale e che non aveva come missione precipua l’intervento urbanistico. Ebbene: ha restituito alla dignità dovuta l’angolo più bello, antico e suggestivo del centro storico, il Borgo Scacciaventi; ha
recuperato piazza San Francesco (salvo poi a vedersela colpire a morte dalla
mano comunale per farne un volgare parcheggio); ha rilanciato la Festa di Monte
Castello, valorizzando la felice variante della Disfida dei Trombonieri, che è stata sul serio per qualche anno una delle più belle manifestazioni del folclore nazionale (oggi non più, oggi è ritornata ad essere una malinconica espressione di presunzione paesana); ha
ridato splendore al Corpo di Cava, forse la più struggente frazione cittadina; ha dialogato senza tregua con albergatori,
ristoratori e operatori culturali; ha avuto l’arguzia di usare le potenzialità del Piccolo Teatro al Borgo (una sua creatura) per promuovere il nome della
città in Italia e all’estero; ha portato il Giro d’Italia due volte a Cava (cosa tutt’altro che facile); ha istituito il premio “Cavesi nel mondo”, che ha ricondotto all’abbraccio della città (e alla conoscenza e all’esempio per i più giovani) persone di grande prestigio e capacità che se ne erano allontanate, come Gino Palumbo, Rocco Moccia, Mario Amabile e
tutti gli altri; e tanti, tanti altri piccoli interventi, che banali non
furono, come la collocazione (per la prima volta dopo anni di abbandono) dei
cestini per la raccolta dei rifiuti o la partecipazione della città a trasmissioni televisive di grande audience come (“Fantastico” o “Mille e una luce”).
Non crediate che sia poco tutto questo per un ente che istituzionalmente ha il
compito di fare un po’ di informazione e promozione turistica. Confrontatelo con il vuoto di oggi, ad
esempio.
Enrico è stato un presidente a tutto campo, spesso vulcanico nelle sue intuizioni.
Sapeva creare e gestire eventi e lo faceva con stile ed eleganza, secondo la
reale vocazione della città di Cava.
Ecco perché ritengo che Enrico Salsano sia stato vincente nel confronto con Eugenio Abbro.
Perché è riuscito a tenergli testa (e forse è stato l’unico a riuscirci), perché ha resistito ai suoi tentativi di ostacolarlo e di rendergli la vita difficile,
perché in definitiva il suo operato ha lasciato più segni positivi di quanto abbia fatto il professore.
Forse su una sola cosa non è riuscito a scardinare quella che è ormai diventata un’atavica resistenza del potere nostrano: quella di realizzare un teatro a Cava.
Ci ha provato fino alla fine, ma non ha avuto la possibilità di portare a termine la missione. Se dall’aldilà gli avessero dato un po’ di tempo in più, sono certo che ci sarebbe riuscito.
Grazie Enrico.
Panorama Tirreno, marzo 2004
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