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editoriale
In nome dell’Unità evviva il separatismo!
Enrico Passaro
E così il consiglio comunale di Cava, come hanno fatto e faranno altre assemblee cittadine della provincia, ha votato a favore della costituzione della nuova regione Principato di Salerno. La notizia è di quelle che, in tempi normali, provoca scalpore. In quest’epoca di equilibri alterati e di dibattito politico sopra le righe rientra quasi nella routine.
Siccome non ci rassegniamo all’attuale irrazionale esaltazione populista, vorremmo che, almeno in questo spazio, sia consentita una pacata riflessione.
Dunque, i buoni motivi per far nascere una nuova regione sono abbastanza chiari. Ne elenchiamo qualcuno: risorse economiche sacrificate soprattutto agli interessi di Napoli e del Napoletano; investimenti e interventi di carattere sociale concentrati nella stessa area; problemi endemici partenopei, quasi irrisolvibili (malavita organizzata, gestione dei rifiuti, disagi metropolitani), che incidono negativamente sulle prospettive di sviluppo di altre zone; squilibrio elettorale ed eccessivo peso della classe politica partenopea; posti di potere monopolizzati; scarso interesse per le realtà rurali, contadine ed artigiane; e così via.
Il Salernitano è un’area molto estesa (5.000 chilometri quadrati), con un bacino di oltre un milione di abitanti distribuiti in 158 comuni. E’ più grande del Molise ed ha più abitanti sia dell’Umbria che della Basilicata. Tanti buoni motivi che stanno inducendo gli esponenti di quasi tutti i partiti della provincia, in maniera trasversale, a schierarsi a favore del distacco. La scelta, di tutti, è ispirata (legittimamente) a motivi di interesse di parte, economico e politico.
Patrizia Reso, in altra parte del giornale ha espresso il suo sbigottimento per il fatto che sia stato riesumato il termine “Principato”, espressione desueta in una realtà repubblicana. A questo punto si potrebbe pensare di risuscitare anche il Marchesato di Verona, il Ducato di Spoleto, il Principato di Capua, il Ducato di Parma e Piacenza e, perché no, l’Emirato di Sicilia. Chissà che qualcun altro non si stia già muovendo in tal senso da quelle parti.
In questo spazio vorremmo permetterci di esprimere delle perplessità anche sull’aspetto dell’opportunità economica e sociale della divisione in Campania. E lo facciamo in nome di un interesse generale che oggi si vuole rendere sempre più anacronistico. La Campania intende separarsi a causa del “Napolicentrismo”. Lo invoca l’Avellinese e il Beneventano; sta muovendo i suoi passi, come abbiamo visto, il Salernitano. Gli argomenti sono molto simili a quelli che sostengono il “Roma ladrona” della criticatissima Lega Nord: non vogliamo che i nostri soldi vengano spesi (sperperati, se volete) per alimentare i vizi, i difetti, le lacune degli altri. E nelle altre regioni c’è allo stesso modo un “Milanocentrismo”, come un “Palermocentrismo” o un “Firenzecentrismo”, che alimentano le lamentele delle altre periferie geografiche. Vale per la provincia di Salerno come per quella di Rieti, per il Bellunese come per la Romagna, per il Salento come per alcune zone del Piemonte. La storia patria ha già testimoniato di altri casi eclatanti di separati in casa: Reggio Calabria e Catanzaro (ricordate i fatti del 1970?), Bolzano e Trento, L’Aquila e Pescara.
Insomma, su un territorio tutto sommato abbastanza concentrato come quello italiano, le antiche diversità e gli egoismi, in questa fase della storia, tendono a muovere verso la rottura e non verso la conciliazione. Oggi più che mai. Si sa che le soluzioni potrebbero essere trovate in un nuovo, serio impegno per una sana amministrazione, per oculate e condivise politiche di sviluppo, per affrontare sul serio, ad esempio dalle nostre parti, il problema rifiuti o la lotta alla criminalità. Soluzioni che recherebbero benefici moltiplicati per l’intera comunità regionale e nazionale. Si sa, ma si preferiscono le scorciatoie. E allora non resterebbe che dividersi. E in ciò neanche la sinistra riesce a proporre soluzioni alternative, basate sulla solidarietà, la cooperazione e l’integrazione. Questo potrebbe e dovrebbe essere il messaggio di una sinistra progressista. Diceva Tony Blair in una recente intervista televisiva: «La sinistra italiana dovrebbe imparare a puntare sulla politica», il che significa, sulle idee. Ma, per il momento, niente da fare, si continua inseguire la destra sugli stessi triti argomenti: liberismo, sicurezza del cittadino, immigrazione.
E allora andiamo avanti così. Intanto il Cilento e il Vallo di Diano mostrano già insofferenza verso il “Salernocentrismo”; Santa Lucia è intollerante verso il “Cavacentrismo” e anch’io, quasi quasi, vorrei staccarmi dal mio condominio per l’eccessivo “inquilino-del-terzo-piano-centrismo”. Viva l’Italia Unita!

Panorama Tirreno, ottobre 2010