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Ma i cavesi sono contenti della loro città?
Enrico Passaro
Andando a spasso per le vie cittadine, osservandone i cambiamenti, nel bene e nel male, viene da chiedersi: ma i cavesi si riconoscono ancora in questa città?
Le modalità di sviluppo urbanistico, economico e sociale delle città sono ormai comuni e consolidati in qualsiasi parte d’Italia: periferie e sobborghi seguono un modello globalizzato, mentre i centri storici sono alla ricerca della valorizzazione delle proprie caratteristiche storiche e architettoniche. Dovunque andiamo ci imbattiamo, quindi, in quartieri periferici del tutto simili fra loro (tanto da non capire se ci troviamo a Mercatello, a Monaco o a Shangai) sia per l’assetto urbano, che per l’abbigliamento e il comportamento dei giovani, che per il livello di degrado più o meno camuffato; man mano che ci si inoltra verso il centro, si riscontrano i diversi tentativi, più o meno riusciti, di recupero dei borghi antichi. È così, grosso modo, dappertutto, e anche Cava non si sottrae a questo modello di sviluppo. La domanda da porsi è se la città metelliana si sta muovendo bene e con coerenza lungo questo tracciato. Non è domanda da poco, perché significa chiedersi se la Cava del ventunesimo secolo stia conservando o perdendo la sua identità e se, nel contempo, possa definirsi una città moderna, al passo con i tempi.
Torniamo alla questione iniziale: i cittadini cavesi si riconoscono ancora e vivono a loro agio nella propria città oppure no? A questa domanda micidiale vorremmo che siano i nostri lettori a fornire le loro risposte; noi ci limiteremo a fare alcune modeste considerazioni, in attesa di conoscere altre opinioni.
Molti ricorderanno la Cava di trent’anni fa, una cittadina in cui non si riusciva ad aprire non dico un supermercato, ma neanche un minimarket. L’accordo tra il Palazzo e la categoria dei commercianti era talmente solido e inattaccabile che nessuna impresa della grande distribuzione poteva minimamente sognarsi di mettere piede all’ombra dei portici. Il primo segnale di cambiamento della Cava contemporanea sono proprio i centri commerciali. Niente di diverso da quelli di qualsiasi altra città, ma proprio per questo espressione della modernità globalizzata di cui parlavamo. Ma, oltre a far arrabbiare i vecchi commercianti, sono sufficienti quattro supermercati a testimoniare uno sviluppo equilibrato della periferia metelliana? Certamente no, se si tiene conto dei problemi antichi ancora irrisolti, come quello del traffico e della carenza di parcheggi, che la recente apertura dell’ipermercato di viale Mazzini ha messo rocambolescamente in evidenza.
E non possiamo certo limitarci a denunciare ingorghi, caos e stress da automobile nel parlare delle periferie. Altre situazioni versano da anni in condizioni decisamente infelici, senza che ci sia un approccio alla soluzione. Ad esempio: che trent’anni fa le persone si incamminassero verso il borgo a piedi senza l’ombra di un marciapiede poteva anche essere un disagio sopportabile; non è concepibile oggi che una mamma tenti di scendere da S. Lorenzo verso la piazza, senza avere un minimo di protezione dalle auto che sfrecciano impazzite. Fateci caso: da via Carlo Santoro fino all’imbocco di via della Repubblica è un percorso a ostacoli senza marciapiedi ed esposto a pericoli costanti. Né i percorsi alternativi attraverso via Atenolfi o via Sala offrono soluzioni più tranquille.
È solo un esempio, ma emblematico di una scarsa cura della sicurezza pubblica Un giro per le frazioni consente di riscontrare analoghe carenze. Uno degli indicatori di un corretto sviluppo urbano è dato proprio dalla vivibilità delle periferie. La gente alla lunga si rassegna, si adegua, ma non per questo deve rinunciare alle aspettative del vivere civile.
Per quanto riguarda il recupero del centro storico (ma si dovrebbe parlare dei “centri storici”, considerando anche i Pianesi e le frazioni) il dibattito a Cava è antico, ma la soluzione completa è ancora lontana. Altrove, anche nei dintorni di Cava, si è lavorato sodo e i vari borghi, anche meno pregiati del nostro, hanno raggiunto il dovuto decoro. Da noi, lungo il corso, a gran fatica si è arrivati ad una parziale pavimentazione; chissà quando se ne vedrà la fine.
In questo sviluppo faticoso e disordinato è rispettata la vocazione della valle metelliana? È riconoscibile l’antica dignità di una città orgogliosa della sua diversità? Sull’argomento i pareri saranno senz’altro discordi e noi in queste poche righe a disposizione non possiamo che fornirvi pochi spunti, forse neanche i più significativi, per sviscerare l’argomento. Vorremmo però mettere questo giornale al servizio di un ampio dibattito. Lo chiediamo ai nostri lettori, lo chiediamo ad amministratori e cittadini che di tanto in tanto hanno voglia di mettere a fuoco i problemi che ci accomunano e riflettere sul futuro della nostra città, che è un patrimonio di cui per decenni siamo andati fieri, ma che oggi (mi auguro che sia solo un’impressione sbagliata) ci lascia un po’ perplessi.

ottobre 2003