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Questo potere candidamente arrogante
Enrico Passaro
Diciamo la verità, se non ci fosse qualcosa di profondamente indegno e immorale, se non fossero esemplari manifestazioni del degrado etico della politica, ci sarebbe quasi da divertirsi ad ascoltare o leggere certe dichiarazioni dei nostri rappresentanti nei parlamenti piccoli e grandi del Paese. Un segnale preciso dei tempi che viviamo è che molti di questi esponenti politici hanno rimosso ogni forma di pudore o di vergogna a pensare o affermare cose che fino a qualche tempo fa erano impensabili o indichiarabili. Ne abbiamo sentito o lette di cose da far accapponare la pelle: dal parlamentare che in occasione della bocciatura delle cosiddette “quote rosa” nelle liste elettorali ha candidamente cercato un microfono per dichiarare: «queste donne non ci devono rompere i coglioni»; al ministro che (tanto per rimanere in tema di attributi maschili) definì il povero Marco Biagi, ucciso dalle Brigate Rosse, un “rompicoglioni” in cerca di incarichi di consulenza dal Governo. Quello stesso personaggio per la verità fu costretto a dimettersi a causa dell’infame dichiarazione, ma oggi (qualcuno se ne è ricordato?) è di nuovo ministro nello stesso governo. Per non parlare delle mille esternazioni del premier, di cui ci limitiamo a ricordare  solo una delle ultime, neanche la più significativa, quella secondo cui non si sogna di fare regali sul TFR a dei sindacati politicizzati, riconducendo il riconoscimento di diritti a elargizioni del principe.
L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Quante belle risate, se non fossero penose dimostrazioni di arroganza e mancanza di senso delle istituzioni.
Neanche a livello locale su questo fronte la politica si risparmia. È dell’estate scorsa il pubblico manifesto con cui Cirielli ha accusato Giovanni Baldi e Marco Galdi di opportunismo, trasformismo, tradimento. Secondo l’accusatore i due avrebbero approfittato dell’aiuto di padrini politici al potere per accumulare incarichi e prebende.
Ma che, si fa così? Davvero non esiste più un minimo di pudore e i panni sporchi non si lavano più in famiglia ma nella pubblica piazza? Qualcuno potrebbe dire: “Bene, è caduta ogni forma di ipocrisia, tanto è sempre stato così”. E no! Qui non si tratta di una crisi di coscienza e di una pubblica espiazione davanti ai cittadini per ritrovare una dignità perduta. Se così fosse ci sarebbe effettivamente da cogliere un segnale positivo.
Purtroppo è stata invece l’ennesima spudorata puntata di una lotta di potere senza esclusione di colpi, in cui, nell’ambito della stessa “coalizione” (il termine suona grottesco per la verità) di centrodestra, si tirano fuori candidamente argomenti e pratiche interne normalmente irriferibili. Il tutto con sommo disprezzo di ciò che può pensare il cittadino: “Che fai, ti scandalizzi? Non lo sai che funziona così? Non lo sai che i parlamentari fanno avere ai loro amici incarichi professionali ottimamente retribuiti con denaro pubblico? Gli schifosi non siamo noi che dispensiamo incarichi, ma questi altri traditori irriconoscenti che al momento opportuno ci voltano le spalle”.
Ora, non siamo nati ieri e non cadiamo del tutto dalle nuvole. Ma come pensate che possa prenderla questa situazione la maggioranza della cittadinanza che con difficoltà riesce ad arrivare a fine mese? Non è il fatto che ci scandalizza, ma la disinvoltura con cui questa logica (come la vogliamo definire? Clientelare? Partitica? Feudale? Massonica? Mafiosa?) viene brutalmente spiattellata in faccia alla gente per puro spirito di vendetta e nessun senso di colpa.
È la follia di questi anni, la totale mancanza di ragionevolezza, con cui sono stati coinvolti il Paese e le singole realtà locali in un vortice assolutamente illogico, in cui si è teso a confutare la storia, le istituzioni, l’etica. Dopo “mani pulite” i processi sono stati fatti ai giudici e non ai corrotti; dopo oltre cinquant’anni di repubblica e democrazia si mira a smantellare la Costituzione e, forse, lo Stato unitario; dopo un “comune sentire” nato dal Risorgimento e dall’antifascismo, si tenta di affermare che Garibaldi era un imbecille e i partigiani degli assassini sanguinari.
Potremmo continuare ad elencare gli inaccettabili paradossi che il conformismo attuale ha cercato di imporre, ma il discorso sarebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano.
Bisogna aver pazienza, il vento cambierà e forse sta già cambiando. Prima o poi si potrà di nuovo definire stupidaggini le assurde tesi e gli incredibili comportamenti di questi anni in cui la ragione è rimasta sospesa, narcotizzata. Ma quante macerie rimarranno! Bisognerà ricostruire, non solo economicamente, ma anche moralmente e culturalmente. Anche a Cava, dove bisognerà ritrovare un’identità una prospettiva, un progetto. È un durissimo lavoro, ma da qualche parte si deve pur ricominciare.

Panorama Tirreno, novembre 2005