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Tra crisi e speranze future
Enrico Passaro
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In 25 anni abbiamo utilizzato fiumi di inchiostro e qualche gigabyte di spazio web per raccontare frammenti di storia e di cronaca cavese. Ma quanto è cambiata Cava de’ Tirreni in 25 anni? Apparentemente poco. Abbiamo un trincerone aperto alla viabilità, e alcune visibili operazioni di restyling urbanistico, come in piazza Duomo (datato 1997) e recentemente in piazza Roma, intanto diventata piazza Abbro, oltre a pavimentazioni e illuminazioni varie. Da un rapido censimento possiamo constatare una lunga serie di situazioni rimaste però irrisolte, dal sottovia ancora incompiuto, al recupero del patrimonio immobiliare inutilizzato, dal teatro, vera e propria chimera, alla questione ospedale.
Ma non è sul suo aspetto esteriore che vogliamo dilungarci, quanto piuttosto sulla sua natura interiore, quasi che la nostra “Piccola Svizzera” sia una persona in carne ed ossa come tutti noi. Gli ultimi 5 lustri sono stati indubbiamente anni duri e difficili, che ci hanno, chi più chi meno, un po’ incupiti e intristiti. E così immagino la nostra città com’è diventata oggi rispetto all’epoca degli inizi di Panorama Tirreno: cupa e triste. La città del grande orgoglio e delle grandi ambizioni del passato sembra essere stata attraversata da un rullo che ne ha appiattito e compresso tutte le aspirazioni e la fierezza. Non che non ci siano giustificazioni. Cava, come tutto il nostro Paese, è stata aggredita dalla crisi economica e finanziaria che ha investito tutto l’Occidente e che ha peggiorato ulteriormente le già precarie condizioni del nostro Mezzogiorno. Ma ha subito anche una sua crisi economica specifica. Ne parliamo ampiamente in queste pagine, ricordando le vicende della banca citttadina, della Manifattura e delle principali altre aziende scomparse.
Più in generale, non di una singola crisi si è trattato, ma di molteplici crisi, in diversi settori e a più riprese: crisi globale, nazionale e locale; crisi economica, finanziaria, occupazionale, sociale, culturale; crisi ideologica, dei partiti e delle istituzioni; crisi morale e dell’ordine pubblico. Ognuna di queste è andata a scalfire tutte le solide certezze degli abitanti della valle metelliana negli anni passati. Che erano: un soddisfacente livello di occupazione, un florido commercio, elevati e diffusi stimoli culturali, attività politiche e istituzionali affidate a figure esperte e carismatiche, sicurezza e ordine pubblico invidiabili. Le crisi di questi anni hanno sfigurato tutti gli idilliaci ricordi del nostro passato. Sorprende che la città si sia incupita?
Abbiamo raccontato in questi anni di cantieri sempre chiusi, di progetti e di varianti che non hanno fatto altro che rimaneggiare e ritardare i lavori; abbiamo apprezzato sì il recupero di Santa Maria del Rifugio a San Francesco, ma abbiamo anche battuto con insistenza sul destino di San Giovanni, dell’ex Manifattura, dell’ex Onpi, dell’ex mercato coperto e di tutti gli altri ex rimasti pressoché inutilizzati; abbiamo insistito fino all’ossessione sulla richiesta di un teatro cittadino, sulla scia di un grande presidente dell’Azienda di Soggiorno come Enrico Salsano e di un sempre agguerrito Mimmo Venditti, ricevendo in cambio lusinghe, promesse e puntuali delusioni ad ogni cambio di amministrazione; abbiamo riscontrato la debolezza di queste amministrazioni e della politica locale, in balia di personaggi buoni per tutte le stagioni e per tutte le maggioranze; abbiamo saputo del ripetuto via vai di corpi di polizia e investigativi per sequestrare atti amministrativi nel Palazzo di Città; abbiamo seguito l’interminabile vicenda di un ospedale sempre più vecchio, sempre più obsoleto, sempre meno efficiente, minacciato di chiusura o di drastico ridimensionamento, con furiosi comitati spontanei di resistenza apparentemente animati soltanto dalla volontà di mantenere in vita il reparto maternità per orgoglioso sentimento di patria legato alla denominazione di cavese doc sulla carta d’identità; abbiamo sofferto tanto e gioito poco sulle altalenanti vicende della squadra di calcio aquilotta e del suo assetto proprietario, con avvicendamenti continui, litigi, ripicche, divisioni, cessioni di quote societarie, collette di tifosi, fallimenti e rinascite; abbiamo assistito  al progressivo assottigliarsi dell’impegno e delle energie giovanili nelle pratiche sportive e nelle attività culturali.
Abbiamo in definitiva cercato di informare e tener viva l’attenzione e il dibattito intorno ai temi più scottanti della realtà cittadina, rivolgendoci a lettori sempre più disincantati e incupiti. Abbiamo più volte provato a farci portatori di stimoli e motivazioni per ripartire e ricostruire un disegno coerente di città, come quando la suggestione della ricorrenza del Millennio della Badia di Cava (ricordate?) doveva costituire l’occasione unica per un progetto complessivo di sviluppo. Tante ambizioni e aspettative in quella circostanza, che andarono sostanzialmente deluse.
L’occasione dei 25 anni di vita di un giornale cittadino non può però tradursi in un’elencazione di fallimenti senza appello. Cava ha oggi l’opportunità e la speranza di una ripresa vera, partendo dalla sua coscienza di città orgogliosa e diversa. Bisogna che la politica, l’imprenditoria locale e la bella gioventù che anima i portici ne acquisiscano la consapevolezza.
Sarà stata un’illusione, ma il bellissimo clima delle ultime feste natalizie, l’arredo urbano, gli addobbi, le luminarie, la cura e la pulizia delle strade, le tante iniziative, la gente vociante e festosa che ha affollato la piazza, le vie e i negozi, ci ha riportato ha un clima d’altri tempi. Dobbiamo ripartire da qui, tutti insieme e con fiducia.

Panorama Tirreno, marzo 2016