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Le tante favole della città incompiuta
Enrico Passaro
Aumentano i poveri a Cava de’ Tirreni: lo rileva un articolo del nostro Romanelli, su dati del servizio sociale del Comune. C’è poco da ridere e stare allegri. Si ha un bel dire sulle chiacchiere da portici relative al degrado e al lento appassirsi della città metelliana negli ultimi anni. Qualcuno sostiene che c’è del disfattismo o dell’ostentato pessimismo nelle tante analisi negative che da più parti vengono proposte alla discussione, ma poi giungono dei dati concreti a suffragare le impressioni evidentemente non superficiali e allora, altro che disfattismo! La verità è che quando i presupposti su cui si fonda il pessimismo sono fondati, purtroppo prima o poi arrivano le prove a rendere incontestabile la situazione. E i presupposti sono a tutti visibili: ridimensionamento della manifattura, scomparsa di un’importante banca cittadina, crisi della Di Mauro, sofferenza del commercio, edilizia ferma, grandi opere pubbliche impantanate nella melma della burocrazia e delle questioni giudiziarie, criminalità in aumento, politica stagnante. E volete che qualcuno, di fronte a questo panorama, possa essere ottimista?
Qui l’unica cosa che è riuscito a farci tornare il sorriso è stato finora il cammino della Cavese nell’ultimo campionato, riportandoci ad emozioni da fine anni 70 e inizio anni 80, roba di più di vent’anni fa.
E qui, prendendo spunto da un’altra notizia che pubblichiamo in questo numero, sovviene una riflessione particolare. Apprendiamo che sarà riconvertita l’area del velodromo e destinata ad area attrezzata con palestre, campi da tennis e mini calcio. Il velodromo? Cosa ne sa del velodromo un giovane cavese di 18/20 anni? Si è mai visto un velodromo a Cava? Bisognerebbe spiegargli che la storia del velodromo è stata una delle più grandi favole della storia recente di Cava, una delle tante incompiute di fine secolo lasciateci in eredità da Eugenio Abbro, come il trincerone, il sottovia, il palazzetto dello sport, il ponte di Pregiato, la piscina, il teatro, il disinquinamento del Bonea. Bisognerebbe spiegargli che nella seconda metà del Novecento Cava ha avuto un monarca, più che un sindaco, fra le cui opere vanno annoverati lo stadio e il palazzaccio che ha preso il posto di buona parte del palazzo vescovile; e fra le cui “incompiute” va ricordato tutto ciò che abbiamo elencato prima. Quelle incompiute sono rimaste tali fino ad oggi, fino a quando il palazzetto dello sport, la piscina e, forse, il trincerone stanno trovando con gran fatica la dovuta concretizzazione, mentre tutto il resto rimarrà nel ricordo e nei sorrisi sarcastici di chi ha ascoltato queste favole di fine secolo raccontate da colui a cui, alla morte, in gran fretta è stata dedicata una piazza dall’attuale sindaco.
Il nostro giovane ventenne conosce della storia della sua città di oltre vent’anni fa il racconto di una straordinaria vittoria a San Siro e di quando la terra tremò per un minuto e mezzo in una sera di novembre. Non sa, ad esempio, che quelle squallidissime baracche che vede a Pregiato, alla Maddalena, a San Pietro non dovevano essere un arredo urbano definitivo della città, ma solo una sistemazione provvisoria per terremotati e che avrebbero dovuto essere sostituiti nel giro di pochi anni con edilizia vera. Sa, o meglio sente parlare, di vocazione turistica della città, ma forse ignora che proprio a fianco alle baracche della Maddalena sorgeva un grande albergo elegante e pretenzioso, che è stato fatto andare alla malora senza riuscire a salvarlo o a farne cambiare gestione. Non sa che una volta il commercio era fatto da famiglie cavesi tradizionalmente dedide a questa attività, mentre oggi si affida agli investitori provenienti dal napoletano. Non capisce che cosa sia quella zona degradata alla periferia nord della città che un tempo venne chiamata “area industriale” sulla base di previsioni di trend economico del tutto sballate.
Quante cose non sanno i nostri giovani e dovrebbero sapere per capire la realtà attuale, per comprendere che Cava è ferma a vent’anni fa, a quella vittoria a San Siro, a un interminabile dopoterremoto e alle favole delle opere pubbliche annunciate, avviate e non portate a termine con gran spreco di denaro della collettività.
Ora le statistiche dicono che i poveri sono in aumento. Poteva andare diversamente?
Già a livello nazionale le statistiche rivelano che alla terza settimana del mese si comincia a risparmiare anche sulla spesa del latte, figuriamoci come possono andare le cose in una città del Mezzogiorno magnificamente ferma a più di vent’anni fa.

Panorama Tirreno, marzo 2005