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Quei 160 rifugiati che fanno agitare i cavesi
Enrico Passaro
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E così Cava ha scoperto che esiste l’immigrazione. Quel fenomeno, cioè, per cui milioni di persone, sfortunatamente nate in aree del mondo poverissime, in guerra e sotto regimi violenti e prevaricatori, cercano un futuro migliore per se stessi e per i propri figli in altre aree del mondo dove il tenore di vita è altissimo, c’è possibilità di trovare lavoro, assistenza e rispetto dei diritti umani. L’ha scoperto da quando il prefetto ha stabilito che fino a 160 rifugiati dovranno essere ospitati nella valle metelliana. Fino a ieri eravamo semplici osservatori: in altre città d’Italia, specialmente al nord, queste colonie di extracomunitari crescevano e si moltiplicavano da anni, alimentando fastidio, insofferenza, ribellioni, ma qui a Cava si riteneva che il fenomeno non ci appartenesse, anzi, qualcuno sorrideva con sussiego o si indignava di fronte all’intolleranza razzista diffusa. Adesso che si prospetta la violazione dei confini della Piccola Svizzera molti si strappano i capelli e gridano allo scandalo.
Buon giorno a voi,cavesi in ritardo. Avete capito che siamo in un mondo globale, dove siamo coinvolti in tutto e non si rimane miracolosamente esenti da ciò che accade sul pianeta? O pensavate che la razza cavajola era destinata a non mischiarsi con il resto dell’umanità pressante ai nostri confini?
Chi è stato più attento in questi mesi e non si è volutamente perso le ultime puntate della vicenda immigrazione, si sarà accorto che non c’è sindaco, al nord come al sud, di destra o di sinistra o pentastellato, che non si sia voltato dall’altra parte per non affrontare il problema dell’ospitalità. Dal categorico “respingiamoli”, alla classica frase “aiutiamoli a casa loro”, al più comprensivo e tollerante “non possiamo esimerci, qualcuno faccia qualcosa” (“qualcuno”, non “io”), tutti, dico tutti, facevano sì qualcosa, ma per evitare che il problema dovesse ricadere sul proprio comune. Quelli di destra, per convinzioni ideologiche e convenienza elettorale; quelli di sinistra, che ideologicamente non possono accampare motivazioni di questo tipo, ma sempre per convenienza elettorale, perché quale sindaco potrebbe spiegare alla propria comunità che è giusto accogliere lo straniero, quale sindaco non sceglie di mostrarsi fermo e indisponibile, arma migliore per guadagnare consenso?
È in sostanza il fallimento della politica, quella sana delle origini, quella che, dall’alto di profonde fondamenta filosofiche e ideologiche, dovrebbe tentare di governare i fenomeni, di guidare le masse e non subirle col ricatto del consenso e della ricerca della popolarità. La politica dovrebbe capire (è suo compito) che siamo di fronte ad un fenomeno epocale, in cui la globalizzazione economica va di pari passo con la globalizzazione delle razze e delle culture e che gli abitanti di immensi territori dove si vive male, anzi malissimo, e si fanno nascere molti figli, tendono a cercare in altre aree del pianeta, dove si vive meglio e la crescita demografica è pressoché pari a zero, le loro prospettive di vita dignitosa.
E allora di fronte all’opportunismo furbo della politica, sono stati i prefetti a dover rimboccarsi le maniche.  Ci ho parlato con alcuni Prefetti: da mesi il loro lavoro più estenuante è quello di trovare soluzioni alla collocazione degli immigrati. Sono stremati. E devono confrontarsi con i sindaci, dai più intolleranti ai più possibilisti, i quali ultimi dicono in confidenza: “Prefetto, ci pensi lei, se prendo io iniziative, i miei elettori mi massacrano”. E i prefetti devono fare il cosiddetto “lavoro sporco”: con ordinanza ti assegno un po’ di immigrati e tu non puoi rifiutarti. Ho un po’ semplificato, ma funziona più o meno così.
È come per le discariche e i sistemi di trattamento dei rifiuti: nessuno li vuole, ma da qualche parte dovrà pure andare a finire la monnezza. Chiedo scusa per l’infelice accostamento fra spazzatura ed esseri umani, ma così viene trattata la materia.
E allora, è arrivato il momento di smettere di sguazzare nell’ignoranza e nel populismo più bieco e di fare i conti con la realtà da adulti, con freddezza e senso pratico. Bisogna trasformare le imposizioni in opportunità. Proprio come avviene per la spazzatura in altri Paesi europei. Da Napoli e da altre parti d’Italia, con costi enormi, si mandano all’estero tonnellate e tonnellate di rifiuti da smaltire e lì le accolgono di buon grado e le trasformano in opportunità economiche ed energetiche. Fanno affari sulla nostra spazzatura, mentre noi paghiamo fior di milioni.
Tornando agli esseri umani, convinciamoci che, piuttosto che invocare inutili e vergognosi muri, bisogna educarsi a gestire i fenomeni globali che si prospettano. I rifugiati, oltre ad essere carne e sensibilità umana (potremmo chiamarli fratelli, senza essere tacciati di buonismo dal solito imbecille di turno?), sono menti e braccia, sono risorse, sono possibilità, che possono contribuire ad affrontare e risolvere i problemi endemici delle nostre società opulente, da un welfare boccheggiante alla manutenzione delle nostre città ridotta ai minimi termini; dall’assistenza ai bambini, ai malati e agli anziani, al rafforzamento del nostro sistema pensionistico; per non escludere che spesso si tratta di cervelli dotati di adeguata cultura o che potrebbero incrementare ed affinare le loro conoscenze, per diventare bravi medici, professori, chimici, scienziati, e fare del bene, loro sì, alla nostra società.
Eh sì, qualcuno di voi non ci aveva mai pensato, vero? Non è detto che siano tutti delinquenti o terroristi. Anzi: delinquente forse qualcuno (e probabilmente meno dei nostri connazionali), terrorista quasi nessuno, perché il terrorismo si alimenta per altri canali.
Direte: chiacchiere! Belle parole! Non siamo in grado di risolvere i problemi nostri, possiamo affrontare quelli degli immigrati? Certo che sì. Innanzitutto perché non c’è alternativa; e poi perché risolvendo i loro problemi risolveremo anche un po’ i nostri. E’ ovvio che non è facile, come non è facile risolvere una crisi societaria della Cavese o la questione delle case abusive o il debito derivante dall’acquisto dell’ex Cofima. Ma con un po’ di applicazione, intelligenza e lungimiranza si può e si deve tentare. Chiamiamola opportunità!
Allora, amici cavesi, non c’è da aver paura o meglio, non facciamoci condizionare da chi vuole a tutti i costi inculcare la paura. Disponiamoci piuttosto ad affrontare la contemporaneità con dignità e cognizione di causa. Non abbiamo il privilegio di vivere fuori dal nostro tempo, un tempo che può regalarci ben altri pericoli, a cominciare dalle piccole complicazioni che potrebbero riservarci un tale Trump e un tale Kim Jong-un.

Panorama Tirreno, 2 maggio 2017