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editoriale
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Quei 160 rifugiati che fanno agitare i cavesi
Enrico Passaro
Buon giorno a voi,cavesi in ritardo. Avete capito che siamo in un mondo globale,
dove siamo coinvolti in tutto e non si rimane miracolosamente esenti da ciò che accade sul pianeta? O pensavate che la razza cavajola era destinata a non
mischiarsi con il resto dell’umanità pressante ai nostri confini?
Chi è stato più attento in questi mesi e non si è volutamente perso le ultime puntate della vicenda immigrazione, si sarà accorto che non c’è sindaco, al nord come al sud, di destra o di sinistra o pentastellato, che non
si sia voltato dall’altra parte per non affrontare il problema dell’ospitalità. Dal categorico “respingiamoli”, alla classica frase “aiutiamoli a casa loro”, al più comprensivo e tollerante “non possiamo esimerci, qualcuno faccia qualcosa” (“qualcuno”, non “io”), tutti, dico tutti, facevano sì qualcosa, ma per evitare che il problema dovesse ricadere sul proprio comune.
Quelli di destra, per convinzioni ideologiche e convenienza elettorale; quelli
di sinistra, che ideologicamente non possono accampare motivazioni di questo
tipo, ma sempre per convenienza elettorale, perché quale sindaco potrebbe spiegare alla propria comunità che è giusto accogliere lo straniero, quale sindaco non sceglie di mostrarsi fermo e
indisponibile, arma migliore per guadagnare consenso?
È in sostanza il fallimento della politica, quella sana delle origini, quella
che, dall’alto di profonde fondamenta filosofiche e ideologiche, dovrebbe tentare di
governare i fenomeni, di guidare le masse e non subirle col ricatto del
consenso e della ricerca della popolarità. La politica dovrebbe capire (è suo compito) che siamo di fronte ad un fenomeno epocale, in cui la
globalizzazione economica va di pari passo con la globalizzazione delle razze e
delle culture e che gli abitanti di immensi territori dove si vive male, anzi
malissimo, e si fanno nascere molti figli, tendono a cercare in altre aree del
pianeta, dove si vive meglio e la crescita demografica è pressoché pari a zero, le loro prospettive di vita dignitosa.
E allora di fronte all’opportunismo furbo della politica, sono stati i prefetti a dover rimboccarsi le
maniche. Ci ho parlato con alcuni Prefetti: da mesi il loro lavoro più estenuante è quello di trovare soluzioni alla collocazione degli immigrati. Sono stremati. E
devono confrontarsi con i sindaci, dai più intolleranti ai più possibilisti, i quali ultimi dicono in confidenza: “Prefetto, ci pensi lei, se prendo io iniziative, i miei elettori mi massacrano”. E i prefetti devono fare il cosiddetto “lavoro sporco”: con ordinanza ti assegno un po’ di immigrati e tu non puoi rifiutarti. Ho un po’ semplificato, ma funziona più o meno così.
È come per le discariche e i sistemi di trattamento dei rifiuti: nessuno li
vuole, ma da qualche parte dovrà pure andare a finire la monnezza. Chiedo scusa per l’infelice accostamento fra spazzatura ed esseri umani, ma così viene trattata la materia.
E allora, è arrivato il momento di smettere di sguazzare nell’ignoranza e nel populismo più bieco e di fare i conti con la realtà da adulti, con freddezza e senso pratico. Bisogna trasformare le imposizioni in
opportunità. Proprio come avviene per la spazzatura in altri Paesi europei. Da Napoli e da
altre parti d’Italia, con costi enormi, si mandano all’estero tonnellate e tonnellate di rifiuti da smaltire e lì le accolgono di buon grado e le trasformano in opportunità economiche ed energetiche. Fanno affari sulla nostra spazzatura, mentre noi
paghiamo fior di milioni.
Tornando agli esseri umani, convinciamoci che, piuttosto che invocare inutili e
vergognosi muri, bisogna educarsi a gestire i fenomeni globali che si
prospettano. I rifugiati, oltre ad essere carne e sensibilità umana (potremmo chiamarli fratelli, senza essere tacciati di buonismo dal
solito imbecille di turno?), sono menti e braccia, sono risorse, sono
possibilità, che possono contribuire ad affrontare e risolvere i problemi endemici delle
nostre società opulente, da un welfare boccheggiante alla manutenzione delle nostre città ridotta ai minimi termini; dall’assistenza ai bambini, ai malati e agli anziani, al rafforzamento del nostro
sistema pensionistico; per non escludere che spesso si tratta di cervelli
dotati di adeguata cultura o che potrebbero incrementare ed affinare le loro
conoscenze, per diventare bravi medici, professori, chimici, scienziati, e fare
del bene, loro sì, alla nostra società.
Eh sì, qualcuno di voi non ci aveva mai pensato, vero? Non è detto che siano tutti delinquenti o terroristi. Anzi: delinquente forse
qualcuno (e probabilmente meno dei nostri connazionali), terrorista quasi
nessuno, perché il terrorismo si alimenta per altri canali.
Direte: chiacchiere! Belle parole! Non siamo in grado di risolvere i problemi
nostri, possiamo affrontare quelli degli immigrati? Certo che sì. Innanzitutto perché non c’è alternativa; e poi perché risolvendo i loro problemi risolveremo anche un po’ i nostri. E’ ovvio che non è facile, come non è facile risolvere una crisi societaria della Cavese o la questione delle case
abusive o il debito derivante dall’acquisto dell’ex Cofima. Ma con un po’ di applicazione, intelligenza e lungimiranza si può e si deve tentare. Chiamiamola opportunità!
Allora, amici cavesi, non c’è da aver paura o meglio, non facciamoci condizionare da chi vuole a tutti i
costi inculcare la paura. Disponiamoci piuttosto ad affrontare la
contemporaneità con dignità e cognizione di causa. Non abbiamo il privilegio di vivere fuori dal nostro
tempo, un tempo che può regalarci ben altri pericoli, a cominciare dalle piccole complicazioni che
potrebbero riservarci un tale Trump e un tale Kim Jong-un.
Panorama Tirreno, 2 maggio 2017
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