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Con gli Aquilotti retrocede l’imprenditoria di Cava
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Enrico Passaro
Si è dunque conclusa una delle stagioni più drammatiche per il calcio cavese. E dire che la casacca biancoblu ne ha passate tante di disavventure nella sua storia: retrocessioni, fallimenti, illeciti sportivi, mancate promozioni, tragici lutti. Quella di quest’anno si è però caratterizzata per la tensione continua che l’ha accompagnata, per lo stillicidio delle penalizzazioni propinate di mese in mese, per il mancato salto di qualità del gioco atteso e mai arrivato, per la girandola delle panchine e, soprattutto, per l’anomala e irrisolta crisi societaria. Alla fine è giunta l’inappellabile retrocessione, senza una reazione, un moto d’orgoglio, un solo vero motivo di rimpianto o di rivalsa. E’ vero i 6 punti tolti a tavolino ci hanno condannato all’ultima posizione, ma senza penalità oggi staremmo comunque a combattere nei play out e probabilmente, visto il potenziale espresso nel corso dell’intero campionato, avremmo avuto scarse possibilità di salvarci. E, comunque, quei punti sottratti sono stati la logica, inevitabile e doverosa conseguenza di una vicenda che è stata troppo burrascosa per non provocare danni.
La Cavese è retrocessa sul campo perché ha realizzato solo 11 punti fuori casa, ma soprattutto perché al “Lamberti” ha subito ben cinque sconfitte. Non era mai accaduto, almeno nei cinque anni precedenti. Lo stadio di Cava è stato sempre una roccaforte, rimasta in qualche stagione inespugnata. In questa stagione sono stati racimolati, con gran fatica, soltanto 24 punti. Togliamone 6 sul totale ed ecco che la frittata è stata fatta.
Lasciamo ad altri, comunque, le valutazioni tecniche, che non ci competono e facciamo per un attimo mente locale su tutto il contesto. Ricordate lo scorso giugno? La mobilitazione cittadina, la colletta, la cifra raggiunta, l’iscrizione in extremis? Non tutti fummo pienamente convinti di quella operazione, ci furono delle perplessità sul metodo e sul merito. Era giusto mobilitarsi così per la squadra di calcio? Era corretta la pretesa di far sborsare quattrini alla gente? Era legittimo il ruolo dell’amministrazione comunale? Era lecito credere che senza un vero padrone si potesse gestire una società e andare avanti? Molti hanno storto il muso, sebbene tutti, poi, abbiamo gioito per la conquistata iscrizione al campionato. E quasi tutti hanno manifestato legittimo orgoglio per la volontà e la capacità popolare di salvare una delle espressioni cittadine a cui siamo più affezionati, la Cavese.
Alcuni hanno voluto però puntualizzare (me compreso) che sarebbe auspicabile una uguale capacità di mobilitazione anche per altre dolorose questioni che affliggono il contesto sociale ed economico cittadino.
Ad esempio: la chiusura di aziende, i licenziamenti, la crisi occupazionale, la mancanza di una politica di sviluppo, la minacciata chiusura dell’ospedale, l’infinita attesa di un teatro, le propaggini della malavita organizzata, il crescente isolamento economico, urbanistico e dei collegamenti.
Riconosco che si è trattata di una puntualizzazione - come dire? - doverosa, forse politicamente corretta, ma di scarsa presa e di quasi nulla possibilità di realizzazione. Sono le grandi passioni a muovere gli animi e non si può negare che il calcio e la Cavese sono capaci di far questo; dubito che la stessa impresa si possa ripetere per tutte le altre, seppur gravi, questioni che ho elencato. Certo, sarebbe giusto e bello che si ripetesse altrettanto volenteroso impegno, ma non illudiamoci. Comunque, credo che valga la pena sperarlo.
Tornando alla vicenda calcistica, è andata com’è andata e, ad un anno esatto, ci ritroviamo a dover meditare non solo su una retrocessione sul campo, ma sulle stesse problematiche di 12 mesi fa. E’ iniziata la rincorsa al rafforzamento societario, alla ricerca di nuovi soci e fonti di finanziamento, a cercare di dare un sostegno al quasi eroico “forestiero” Spatola, che da solo proprio non se la sente di continuare l’avventura. Come dargli torto! E’ di nuovo fortemente a rischio l’iscrizione al prossimo campionato e si guarda con apprensione al termine ultimo fissato per fine giugno. Proprio come l’anno scorso! Con la differenza che allora era per partecipare alla Prima Categoria, stavolta speriamo nella Seconda. Con la certezza di partire già con uno o due punti di penalizzazione per il mancato pagamento degli ultimi stipendi nei tempi stabiliti. Mancano cifre considerevoli a far quadrare i conti. Insomma, stiamo messi quasi peggio dello scorso anno. Altro che speranze di ripescaggio!
Si continua a ripetere che servono energie locali, risorse, insomma denaro fresco e voglia di partecipare da parte di un’imprenditoria cittadina che è sempre nascosta e preferisce non esporsi. E’ vero che questo argomento affligge anche altre città vicine ed è più che mai comprensibile in questo particolare momento storico di crisi. Ma, insomma, per questa Cavese si può rimodellare lo stesso bel discorso che facemmo un anno fa. E’ dentro di sé che la città deve trovare la forza e la capacità di sostenere le proprie imprese, che in questo caso sono nello stesso tempo imprese sportive, ma anche attività economiche. L’azienda Cavese Calcio deve esistere perché ci sono cavesi in grado di farla funzionare, senza patemi e improvvisazione, ma con programmazione e competenza. Non servono le collette popolari, ma qualcuno che abbia voglia, risorse e capacità di fare Impresa. Se funzionerà la Cavese Calcio si potrà sperare anche di veder funzionare allo stesso modo il resto del tessuto economico. Aspettiamo una prova. Da troppi anni non abbiamo più il piacere di vedere a Cava una best practice aziendale, qualcosa di reale e veramente solido e non un castello di sabbia che si disfa all’improvviso al sole lasciando per strada centinaia di lavoratori.

Panorama Tirreno, maggio 2011