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editoriale
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Le mille “Fabbriche di San Pietro”
Enrico Passaro
Non è la prima volta che su queste pagine ci occupiamo di opere pubbliche. Iniziammo
tra il 91 e il 92 con una panoramica sui lavori sospesi, per i quali si sperava
in una rapida soluzione. Parlammo di trincerone, di centro storico, di ex
pretura, di piscina, di prefabbricati, del ponte di Pregiato. Siamo nel 2003 e
continuiamo a parlare delle stesse cose e in più aggiungiamo, l’ex complesso di San Giovanni, l’ex Manifattura, l’ex Agenzia dei Tabacchi, il palazzetto dello sport, l’ex Onpi. Tante “Fabbriche di San Pietro”, come si usa dire, tante opere, cioè, che impiegano decenni e secoli per essere portate a termine. Che enorme
patrimonio edilizio potrebbe dare soddisfazione ad aspettative culturali,
sportive, abitative, turistiche della città! Ma perché mai, si chiede il cittadino, a Cava le opere pubbliche si arenano e non vedono
quasi mai la fine? Possiamo capire che talvolta possano capitare contenziosi,
problemi procedurali, grane giudiziarie, errori di progettazione, carenze
finanziarie; ma perché tutte insieme e perché mai sempre a Cava?
Chi scrive si è occupato per molti anni di appalti pubblici e sa bene come si possa incappare
negli intoppi delle procedure di gara, si possa soffrire di capitolati mal
fatti, si possa incorrere in ricorsi delle ditte, in sentenze ipergarantiste
della magistratura e nei rigori degli organi di controllo. Ma ciò non significa che sia impossibile arrivare al collaudo finale di una fornitura.
L’Italia e il mondo sono pieni di gare d’appalto, che sono uno dei motori più appetibili dell’economia, proprio perché si concludono con denaro contante dato alle imprese; e il denaro si dà al termine dei lavori, fatti salvi le ripartizioni in lotti e gli stati di
avanzamento. A Cava invece si verifica forse la più alta concentrazione di opere incompiute o inutilizzabili. Qualcosa di peggio è stato fatto probabilmente solo nelle città che hanno ospitato i mondiali di calcio del 90, ma quelli, come si sa, erano
altri tempi.
Provate un po’ a chiedere notizie sulla piscina. Da 12 anni a questa parte abbiamo sentito
sindaci e assessori di diverse amministrazioni, ma non siamo riusciti a capire
davvero quali siano i problemi insormontabili che ne impediscono la
conclusione. Si badi bene: nessuno dei responsabili ci ha mai risposto che l’opera è irrecuperabile, tutti ci hanno assicurato un intervento definitivo e
risolutore. Ciò vuol dire che non esistono problemi insormontabili, eppure in quella scatola di
mattoni e cemento alle spalle della curva sud dello stadio il cittadino non
riesce ancora a entrare con cuffia asciugamano e costume.
E il palazzetto dello sport a Pregiato? A parte l’obbrobrio estetico che ci tocca subire, pare che l’opera concepita sia già vecchia e inadeguata. Si può rimediare, in che tempi, con quali costi? Qualcuno dovrà dircelo! E dopo aver studiato la questione per un mese, non per dieci anni!
Che dire del centro storico? Mentre stiamo invecchiando abbiamo visto realizzata
una parte della pavimentazione. Sono state parzialmente rimosse dalla nostra
vista le ormai famose e fatidiche mattonelle color celestino, ma già il nostro buon Ferdinando Rispoli scrive su queste pagine che ci si è dimenticato di inserire nei sottoservizi le tubazioni del gas metano. Sui tempi
per pavimentare il resto del corso si accettano scommesse.
Per il trincerone e il sottovia non abbiamo più parole da spendere. La ripresa dei lavori del primo era stata annunciata in
pompa magna qualche mese fa: un po’ di immondizia e sterpaglia rimosse, qualche piccolo lavoro di scavo ed è di nuovo tutto fermo. Per il secondo sono stati cambiati tre progetti, una gara
è andata deserta e stiamo ancora tutti a fantasticare su quell’età felice in cui la Nazionale diventerà una strada sotterranea a scorrimento veloce che non turberà più il sonno e la veglia dei residenti.
Che ne sarà poi dell’ex pretura? Magari qualcuno potesse veramente prevederlo. E dell’ex Manifattura Tabacchi e dell’ex Agenzia, quando saranno definitivamente dismesse? Si gela il sangue al
pensiero di quello che potrà accadere solo per prendere una decisione e prima di mettere in piedi un vero e
proprio progetto per queste mastodontiche strutture. Se pensiamo agli anni che
abbiamo dovuto attendere solo per vedere riaperta Villa Rende, c’è da essere presi dallo sconforto.
Perché tutto questo? Ci chiediamo: è carente l’ufficio tecnico? C’è una incapacità di progettazione? Carenze professionali? Scarsa attitudine alle procedure
comunitarie? Paura delle responsabilità? Debolezza politica? Inadeguatezza alla soluzione dei problemi? Lassismo?
Menefreghismo? Dateci una risposta!
È proprio vero: i cavesi amano questa città perché per generazioni e generazioni l’hanno messa su, con il loro sacrificio e il loro sudore, mattone per mattone. E
già: negli ultimi tempi, ogni generazione… un mattone, uno solo! E avanti così, per decenni e decenni!
giugno 2003
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