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editoriale
Rottamare la classe politica cavese
Enrico Passaro
Li vorrei adesso qui, a Cava, i vari Piepoli, Pagnoncelli, Mannheimer, a realizzare un po’ di sondaggi seri sul gradimento dell’amministrazione comunale. Noi non siamo Mannheimer, Pagnoncelli o Piepoli, ma ci pare di cogliere, a lume di naso, che la popolarità sia vicina allo zero. Sì, sicuramente qualcuno ci redarguirà e ci dirà che siamo prevenuti e che con la nuova giunta Galdi, l’ennesima, le cose andranno per il meglio e che sarà portato a compimento un programma ricco di soddisfazioni per i cavesi. Se così fosse, ne saremmo veramente lieti, non per Galdi in sé, ma per i cavesi che proprio non meritano il pesante senso di frustrazione che oggi si respira in città. La vicenda Tares è il sintomo recente più vistoso del malcontento generale. Oltre al pasticcio dei conti, ai ripensamenti e alle marce indietro, va a toccare le tasche dei cittadini, che certo ne soffrono, specie in questo grave momento per i bilanci familiari. Ma il giudizio che nel tempo si è andato formando prescinde addirittura da puri argomenti legati al portafoglio e vanno a riferirsi ai contenuti, al merito e al metodo di questa maggioranza o delle svariate maggioranze che hanno accompagnato finora la gestione di Marco Galdi.
Son passati meno di quattro anni da quando l’attuale sindaco fu eletto al primo turno, con una maggioranza, mai registrata prima, di circa il 60%. Maggioranza solida, massiccia, che mai avrebbe dovuto frantumarsi come invece è accaduto in questi anni. Il buon Galdi si è visto sbriciolare il castello del suo ampio consenso e del sostegno dei partiti che lo hanno glorificato, più o meno come è accaduto ad Alfredo Messina e a Luigi Gravagnuolo prima di lui. Alla faccia del potere dei sindaci eletti direttamente dal popolo. Al di là quindi di tutte le dissertazioni su questa o quella legge elettorale, il problema sembra essere un altro e cioè, ahimé, che è la nostra democrazia ad essere malata. Cava ne costituisce un esempio lampante.
Da 12 anni il sistema locale dei partiti ha messo sulla griglia 3 sindaci: li ha prima osannati e poi li ha rosolati ben bene fino a bruciarli. I primi cittadini ci hanno messo la faccia, alle loro spalle e spesso con il loro contributo si sono consumati accordi, alleanze, trame, congiure, ritorni di fiamma. Spiace dirlo: tutto per il potere. Della politica, nel senso nobile del termine, nemmeno una traccia: nessun programma, nessuna prospettiva, nessuna pianificazione. Il sottopotere cittadino ha agito indisturbato. Più o meno sempre le stesse facce si sono riproposte in maggioranze di destra e di sinistra, hanno fatto il bello e il cattivo tempo e i loro comodi, hanno fatto credere di essere portatori di idee e di progetti per la città. In pratica, l’hanno affossata.
Non è giusto tutto questo. Cava deve liberarsi dei professionisti della politica, deve ritrovare stimoli ed ambizioni. Lo diciamo e lo scriviamo da qualche tempo. Lo ha affermato di recente anche il direttore di Cavanotizie, Mario Avagliano, in un editoriale che condividiamo e che punta l’indice accusatore su una classe dirigente politica e amministrativa che ha messo alle corde Cava de’ Tirreni e tutti i suoi cittadini, a questo punto davvero esasperati dal vuoto di tanti anni di governo inconcludente e clientelare.
Bisogna che i cittadini riconquistino il loro spazio e decidano di farsi rappresentare da persone perbene, motivate, che abbiano la voglia e la forza di portare avanti idee e programmi seri, concreti e realizzabili, che abbiano la coscienza e la capacità di convogliare risorse ed energie della parte migliore della città, per costruire razionalmente, per coordinare gli interessi e le iniziative, per incentivare le categorie e non le clientele, per avviare un progetto di città e per far sì che questo progetto o almeno le sue fasi di avanzamento giungano a conclusione e non rimangano monumenti irrealizzati per interminabili decenni.
E’ la parte migliore di Cava che deve smetterla di stare a guardare e cominciare a prendere iniziative. A Cava, direi più che altrove, è ora di rendere concreto un termine molto in voga: rottamazione. Rottamare il sottobosco della politica nostrana che ha fatto il bello e cattivo tempo per anni, raggiungendo un unico risultato, quello di sfiancare e mortificare la città.

Panorama Tirreno, gennaio 2014