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Perché proteggere il tifo violento?
Enrico Passaro
La Cavese è di nuovo in posizioni di vertice di un campionato di calcio. Il fatto di per sé è capace di riportare un certo entusiasmo in città. Non importa se il campionato in questione è quello di serie D; abbiamo già dimenticato che lì ci siamo finiti per un illecito sportivo, ennesima mortificazione per un ambiente che praticamente da 20 anni è passato da un’amarezza all’altra, dopo gli anni prodigiosi della serie B, ma non solo quelli. Nei dieci anni che avevano preceduto l’avventura tra i cadetti le soddisfazioni non erano mancate per i tifosi Aquilotti. Ce ne ricordiamo oggi che sono mancati in un breve lasso di tempo due personaggi cari al cuore biancoblu, Ramon Lojacono e Gianluca Signorini. Per una dozzina d’anni o poco più a Cava ci eravamo abituati a vivere il calcio con gioia e appagamento. Era il tempo dello stadio pieno, delle trasferte vissute come gite fuori porta, delle famiglie intere unite intorno alla squadra, marito, moglie e figli mobilitati nelle domeniche pomeriggio. Poi sono venute retrocessioni sul campo, illeciti sportivi, fallimenti societari, crisi finanziarie, frequenti avvicendamenti societari, salvataggi in extremis, fino all’inglorioso e stupido episodio dell’estate scorsa. Un bel collage di delusioni, disillusioni, dispiaceri, offese e prese in giro per un pubblico di sportivi che ancora non riesce a rimuovere dalla mente il ricordo di un pomeriggio di sogno a San Siro, quando la Real Cavese di Di Michele e Tivelli piegò il grande Milan.
Ora siamo di nuovo lì, nei quartieri alti, con una squadra che ha ritrovato la vittoria facile, tutti a sognare l’immediato riscatto alla figuraccia dello scorso anno.
Tutto bene, se non fosse per l’ennesima occasione di far parlare di noi in chiave negativa, offerta dall’infelice episodio di Delianuova. Ancora una volta un gruppo di scalmanati ha creduto di interpretare a modo suo la necessità di sostenere la squadra, non trovando nient’altro di meglio da fare che partecipare ad episodi di vera e propria guerriglia.  Esigenze di difesa di bandiera dovrebbero indurmi a dire che la vicenda è stata esasperata dai giornali, che i nostri tifosi hanno solo risposto alle provocazioni, che la Lega da un po’ di tempo a questa parte ha deciso di accanirsi nei confronti della Cavese. Sarebbe questa la difesa ufficiale che imporrebbe il gioco delle parti e di fatto su queste posizioni hanno trovato comodo attestarsi sindaco, società e stampa locale.
Una certa retorica e alcuni squallidi cerimoniali del mondo del calcio continuano a imporre indulgenza nei confronti di certi comportamenti delinquenziali, quasi che i teppisti fossero semplicemente dei figliuoli un po’ più vivaci ed esuberanti. E con questa indulgenza continuiamo a pagare tutti: la società, che accusa un danno economico in conseguenza di partite a porte chiuse e in campo neutro, di cui certo non ne ha bisogno; i giocatori, disorientati e penalizzati dal dover rinunciare a giocare sul terreno amico col supporto prezioso del proprio pubblico; la cittadinanza, che continua ad essere assimilata alla peggiore rappresentanza del suo tifo, quella più volgare e violenta.
Certamente molti sosterranno che le frange di tifo violento esistono dappertutto; che anche a Delianuova le colpe erano da distribuire tra entrambe le fazioni; che le cronache hanno esagerato e che, grazie a cronisti di parte, le colpe sono state scaricate tutte sui cavesi; che, infine, la Lega ce l’ha con noi (non saprei per quale misterioso motivo proprio con noi) e l’ha dimostrato più volte negli ultimi tempi con l’eccessiva severità di alcuni provvedimenti. Se ne potrebbe discutere fino all’inverosimile e, discutendo discutendo, può darsi che qualche fondo di ragione si possa pure trovare a giustificazione di quanto è accaduto, ma proprio se alcuni di questi motivi fossero veri sarebbe a maggior ragione necessaria una vera presa di coscienza, una profonda sensibilizzazione e assunzione di responsabilità per porre fine al presunto accanimento federale nei confronti della squadra biancoblu.
Non ho difficoltà, alla fine, a credere che le ultime decisioni della Lega siano state molto severe nei confronti della Cavese. Ma come avrebbero dovuto essere altrimenti, nei confronti di una società che non passa stagione senza che i suoi tifosi (d’accordo, non tutti, solo una minoranza, ma guardate i danni che vanno facendo in giro!) si rendano responsabili di incidenti che determinano regolarmente almeno una squalifica di campo; di una società che lo scorso anno in sede di play out è stata riconosciuta colpevole di un tentativo ingenuo di corruzione nei confronti di un calciatore avversario prima di una partita casalinga che con un semplice pareggio ci avrebbe assicurato la permanenza in C2; e che è altrettanto recidiva sul piano del comportamento illecito. Sinceramente non riesco a trovare altre spiegazioni al presunto accanimento della giustizia sportiva nei nostri riguardi.
E allora, forse, è il caso di fare un po’ di autocritica. È il momento di puntare su una scelta di stile definitiva, di rispondere alle “provocazioni” o alle “persecuzioni”, vere o presunte, con un comportamento inappuntabile, se non altro nel prendere una volta per tutte le distanze dal tifo violento e cafone. Sarà romanticismo, ma anche in questo caso vengono in soccorso i ricordi: di quando agli errori e sviste arbitrali il pubblico cavese rispondeva con sonori applausi che sommergevano e schiacciavano il malcapitato fischietto da tutti i settori dello stadio. Fu una risposta ironica, civile e destabilizzante che fu sperimentata nel corso di una stagione. Gli arbitri ne uscivano turbati e impotenti molto più che se fossero stati presi di mira da una sassaiola e l’effetto di immagine per la tifoseria fu notevole, considerata la curiosità e approvazione con cui tutti i gornali scrivevano di quel comportamento anomalo.
Forse è una pretesa eccessiva chiedere a tutti i tifosi di sperimentare di nuovo una risposta di questo tipo, ma forse sarebbe l’unico modo per recuperare stima e considerazione in Lega, stima e considerazione fortemente deteriorate dal comportamento di quei tifosi violenti che qualcuno vorrebbe continuare a difendere.

dicembre 2003