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editoriale
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La delusione e il trionfo
Enrico Passaro
In poco meno di tre mesi è cambiato tutto a Palazzo di Città. Luigi Gravagnuolo, che sembrava destinato ad essere sindaco di lungo corso,
con le dimissioni ha innescato a gennaio la miccia che avrebbe portato alla sua
successione anticipata ad opera di Marco Galdi e oggi dichiara esplicitamente
dai banchi dell’opposizione di non essere più eleggibile a niente. In politica non c’è il tempo di annoiarsi!
E’ passato circa un mese dal risultato delle urne e già in molti, compreso il sindaco uscente, si sono dilungati in analisi del voto.
Dovrete ora sorbirvi l’ennesimo intervento per cercare di capire i perché di una vittoria o i perché di una sconfitta così eclatanti…
Nella sue spiegazioni via Facebook, Gravagnuolo ha individuato quelle che lui
ritiene le cause principali della debacle: la lotta all’abusivismo, l’approccio alla soluzione dei problemi, l’insofferenza di categorie professionali (medici), l’isolamento istituzionale, il trasformismo e le ostilità nella sua maggioranza, la guerra col frate di San Francesco.
Ora, preferiremmo tralasciare quest’ultimo aspetto, su cui fin troppo i media si sono sbizzarriti e lo stesso
neo-sindaco si è precipitato a esprimere parole di solidarietà (al frate, naturalmente). L’argomento non ci pare che possa costituire il cardine della questione, ma solo
una polemica di costume che, forse, non era il caso neanche di sollevare, perché l’attenzione spropositata alla vicenda, sul genere “Peppone e don Camillo”, ha oscurato tutti gli altri spunti di discussione posti da Gravagnuolo nel suo
interminabile, ma pungente, documento affidato alla rete.
Il complesso delle motivazioni sopra elencate, insieme ai tempi della crisi e
all’esito delle elezioni, fateci caso, propone un parallelo in scala ridotta con la
fine dell’ultimo Governo Prodi. Anche lì lotta all’illegalità, ostilità delle lobby professionali, isolamento, trasformismo, sgambetti tra gli alleati,
dialogo difficoltoso con la Chiesa. Anche l’estrema decisione di dimettersi fa ricordare, a parti invertite, la solenne
affermazione di Mastella rivolta a Prodi all’atto di metterlo in minoranza: “Prima che mi fottete voi, fotto io a voi!”. Gravagnuolo deve aver pensato qualcosa del genere, naturalmente usando un
linguaggio più elegante e animato da più nobili sentimenti, nei confronti degli uomini e dei partiti della sua
maggioranza. E decise di riportare i cavesi alle urne. Poi è andata come è andata.
Il sindaco uscente doveva essere consapevole già in quel momento dei fattori di precarietà che lui stesso ha adesso esposto. Nella vicenda dell’ospedale il suo ruolo era stato valutato, in buona o cattiva fede, come
insufficiente, finendo poi egli inopportunamente col maltrattare la classe dei
medici; la posizione assunta sull’abusivismo aveva alimentato pietistiche e populistiche retoriche trasversali (da
destra a sinistra) e minacciosi messaggi violenti come l’ordino nel Palazzo di Città; il panorama istituzionale della provincia, della regione e nazionale erano
mutati rispetto al momento della sua elezione con una decisa svolta a destra;
nella sua coalizione si erano susseguite defezioni e defenestramenti anche
eclatanti che lasciavano presagire qualche reazione vendicativa; i numeri della
maggioranza si erano minacciosamente assottigliati. Nonostante tutto ha creduto
di poter rafforzare la sua leadership e la spiegazione può essere una sola, come lui stesso ha ammesso: l’enorme fiducia nel proprio carisma, da lui descritta come “sopravvalutazione del mio consenso personale”. Gravagnuolo era convinto di vincere chiunque fosse stato il suo avversario,
perché pensava che i cavesi avrebbero abbracciato con maggiore entusiasmo il suo stile
e il suo progetto di città. L’amarezza del giorno dopo gli fa dire che il popolo cavese “voleva il mio volto perbene a coperchio e imbellettamento della realtà” e il giudizio appare troppo severo e drastico. Non si può apprezzare la maturità degli elettori quando le cose vanno bene e parlare di “olezzo dello sterco” quando tutto va male. E’ questa una sgradevole tentazione della recente politica nella quale
evidentemente anche il nostro Gravagnuolo è caduto. Al di là di questo, l’ampio e complesso documento dell’ex primo cittadino, di cui pubblichiamo ampi stralci all’interno del giornale, presenta comunque spunti critici e di riflessione che non
devono essere dimenticati da chi ha a cuore le sorti della città.
I tempi di un’incondizionata fiducia a un leader sono definitivamente terminati a Cava da
quando gli elettori hanno deciso di rinunciare ad Eugenio Abbro, al quale hanno
creduto ininterrottamente per 40 anni. La fine di quell’innamoramento fu considerata un bene e non un male. Dopo il Professore si sono
alternati altri sindaci. Quando hanno raccolto un giudizio negativo sono stati
puniti, come è accaduto ad Alfredo Messina, quando hanno dato l’impressione di operare bene sono stati premiati e riconfermati, come con
Raffaele Fiorillo e oggi forse, alla luce di queste considerazioni, l’immagine dell’ex “sindaco col codino”, come Abbro definì Fiorillo, ne esce rafforzata.
Il caso di Gravagnuolo resta anomalo. In molti, anche tra gli avversari, gli
hanno riconosciuto di aver lavorato bene dando impulso allo sviluppo della città, ma nei fatti evidentemente le sue dimissioni sono state interpretate come atto
di debolezza e non una dimostrazione di forza, come lui aveva ritenuto.
Ora non resta che prender atto dei fatti e continuare a lavorare per il bene
della città, come lui stesso ha promesso al popolo dei fedelissimi della rete.
* * *
Auguri a Marco Galdi. Gli si deve riconoscere serietà e coraggio. Ha preso in mano le redini del centrodestra, dicono, sulla base di
un sondaggio. Le premesse non erano delle migliori, essendo presenti al momento
della sua candidatura delle divisioni interne riconducibili ancora all’epoca della sfiducia a Messina. Il fronte si è prodigiosamente compattato in campagna elettorale, e i suoi effetti si sono
prolungati addirittura (dico addirittura, visti i numerosi precedenti poco
edificanti) fino alla nomina pressoché pacifica degli assessori e ai primi atti amministrativi. Per ora, la nave va! E’ il primo sindaco eletto al primo turno, in ciò favorito anche dal numero limitato di candidati (solo tre contro i 4/7 delle
precedenti elezioni). Ha superato l’avversario del centrosinistra in 53 sezioni su 55, con punte anche superiori all’80%. Il suo successo è più che legittimo. La delusione della sconfitta induce gli avversari a diffidenze e
sospetti sul futuro operato della nuova giunta. Sono tutti da dimostrare.
Per ora ci limiteremmo ad un’accorata richiesta ai nuovi amministratori: per favore, evitate la solita
cantilena riferita alla ipotetica “disastrosa situazione che abbiamo ereditato”. Qualcuno ha fatto già proprio questo consolidato malcostume nazionale, spesso usato per mettere le
mani avanti e scaricare le responsabilità.
Poche chiacchiere, rispetto reciproco e fatti concreti. Sarebbe una legittima
richiesta in un Paese civile. Deve esserlo per una città civile.
Panorama Tirreno, aprile 2010
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