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editoriale
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“Facite ammuina”
Enrico Passaro
Un aspetto preoccupante della politica di questi ultimi tempi è la convinzione che si possa e si debba stabilire le regole a colpi di
maggioranza. E’ avvenuto ed avviene a livello di governo, con le modifiche già apportate alla Costituzione e lo sfiancante dibattito degli ultimi tempi che ha
assunto toni e dimensioni pericolosi, se non minacciosi, per la stabilità dell’intero sistema. E’ esclusa quasi a priori, al di là delle dichiarazioni di facciata, ogni forma di collaborazione o di dialogo o di
confronto con le opposizioni. Allo stesso modo si legifera: in ogni legislatura
si procede a modificare o cancellare leggi e regolamenti approvati dal
precedente governo.
A essere pessimisti, questo sistema potrebbe essere definito crepuscolo della
democrazia. Che a livello locale si riverbera nel costume ormai consolidato di
intervenire nei primi cento giorni con provvedimenti tesi a dimostrare che
quelli che c’erano prima avevano sbagliato tutto o quasi tutto e che “noi sì che abbiamo veramente le idee chiare sulle cose da fare”!
E’ un fatto che le istituzioni, per decenni espressione di certezza, stabilità e continuità, anche nei peggiori momenti di instabilità delle maggioranze, sono tutt’a un tratto divenute strumenti di discontinuità e di drastiche inversioni di rotta. Sembra che la politica, laddove non è più supportata dall’ideologia, si rivolga sempre più spesso all’improvvisazione e al coup de théâtre per dimostrare decisionismo, capacità manageriali e per lasciare segni visibili del proprio passaggio.
Prendiamo ad esempio Cava de’ Tirreni. Negli ultimi anni si sono alternate amministrazioni di destra e di
sinistra. Ognuna ha puntualmente ridisegnato il progetto del sottovia e del
trincerone. Chi lo voleva più lungo, chi più corto, chi con un boulevard in superficie, chi con un collegamento alla
Caserta-Salerno; domani magari ci sarà qualcuno che penserà a spiaggia, battigia e porticciolo oppure a un piccolo aeroporto. Ora, è bene sapere che ogni volta che si propongono cambiamenti in corso d’opera, oltre a lievitare i costi, si rallentano sensibilmente i tempi di
realizzazione per non parlare di rischi di ricorsi, pareri e sospensive.
Non è un caso che, come hanno ricordato i giornali nei giorni scorsi, il progetto
risalga agli anni 70, nato da un’idea di Abbro, passato attraverso una complessa vicenda giudiziaria e sottoposto
alle cure di ben cinque sindaci. E’ trascorso circa un quarantennio e siamo, a occhio e croce, a metà dell’opera. Vi sembrano tempi ragionevoli? E non credete che le tentazioni di
protagonismo delle varie amministrazioni comunali non abbiano fatto altro che
rallentare i tempi, piuttosto che accelerarli, come sarebbe doveroso da parte
di un potere esecutivo?
Passiamo ad altro. I parcheggi e la viabilità in centro: cosa pensa la nuova amministrazione appena insediata? Di creare
posti macchina serali in piazza Abbro davanti al monumento e di rimuovere delle
aiuole per aumentare lo spazio di sosta. Perché? Se ne avvertiva veramente il bisogno? Era una scelta così prioritaria? E il cordolo in corso Mazzini? Prima rimosso poi, scusate tanto,
ripristinato! Poi c’è la vicenda della Metellia Servizi. Tutto sbagliato, tutto da rifare, gestione
fallimentare. Eppure fino a pochi mesi fa era uno strumento operativo quasi
onnipresente della precedente amministrazione.
Vogliamo parlare dell’illuminazione al borgo? Voluti dalla passata amministrazione nell’ambito di un progetto complesso di riqualificazione dell’impianto di luci lungo il corso, i nuovi lampioni erano stati definiti “frullatori”, per la loro forma particolare. Dopo polemiche e lavori sospesi, la
Soprintendenza aveva dato il proprio parere favorevole alla realizzazione dell’opera. Da piazza Duomo al Purgatorio ora le luci sono accese e l’effetto serale è di indubbia suggestione. Si dovrebbe procedere al completamento dell’opera su tutto il corso. La nuova giunta, appena insediata, ha proposto un
sondaggio alla cittadinanza: preferite lampioni di stile moderno o antico?
Quasi a sorpresa il risultato ha dato ragione a chi aveva voluto l’impianto moderno. Ora, forti del consenso popolare, si dovrebbe completare l’installazione (ancora non sono giunte conferme). Ma se ci fosse stato il
risultato opposto, cosa avrebbe fatto l’amministrazione, avrebbe smantellato tutto? Sarebbe gradita una risposta.
Finiamo con il teatro. La vicenda è a tutti nota: dopo un settantennio si ottengono dei finanziamenti per un nuovo
teatro comunale in piazza Amabile. Pochi mesi e la struttura potrebbe essere
realizzata. No, dice il sindaco entrante, un teatro di 450 posti? Per carità, gli esperti ci dicono che sarebbe un’impresa fallimentare. In quel posto meglio un albergo per disabili. Per il
teatro ci pensiamo noi, daremo un’aggiustatina alla sala comunale nell’ex Eca e utilizzeremo alla grande il futuro palazzetto dello sport di Pregiato
da 1.600 posti. Come dire: per il teatro a Cava mettetevi l’animo in pace per i prossimi 70 anni!
A questo punto ci chiediamo: cos’è più producente per la città, la continuità dell’azione politico-amministrativa o la puntuale, sistematica sconfessione dell’operato degli altri. E’ indubbio che ogni maggioranza ha il diritto di portare avanti le proprie idee e
realizzare i propri progetti. Ma è sempre così scontato dover dimostrare a tutti i costi che i predecessori siano stati degli
incapaci? E soprattutto: è strategicamente opportuno, per il bene della città, dover ricominciare sempre daccapo?
Di fronte al confuso agitarsi successivo ad ogni cambio di amministrazione torna
alla mente lo stralcio di regolamento del 1841 della Real Marina del Regno
delle due Sicilie (non so se vero o, come si dice, diffuso dai Savoia per
screditare i Borboni), a tutti noto con l’appellativo di “Facite ammuina”: «All’ordine “Facite ammuina” tutti chilli che stanno a prora, vann’a poppa e chilli che stann’a poppa vann’a prora; chilli che stann’a dritta vann’a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’a dritta; tutti chilli che stanno abbascio vann ’ncoppa e chilli che stanno ’ncoppa vann’abbascio, passann’ tutti p’o stesso pertuso; chi nun tien nient’a ffa, s’aremeni a’cca e a ’lla». Pare che il comando fosse da usare in occasione di visite a bordo delle Alte
Autorità del Regno, per dimostrare quanto ci si desse da fare per svolgere al meglio il
proprio compito. Il Comune come una nave borbonica? Speriamo di no!
Panorama Tirreno, agosto 2010
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