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storia
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Filippo D’Ursi, la voce di un uomo onesto
Non avrei mai immaginato di dover scrivere così presto il primo necrologio su questo giornale. Né tantomeno avrei creduto di doverlo fare per l’avvocato Filippo D’Ursi. Lo conoscevo praticamente da quando sono nato e sono cresciuto vedendo
sempre dentro casa qualche copia de Il Pungolo, il suo giornale: avevo 4 anni
nel 1962, quando lui iniziava la sua appassionata realizzazione di un periodico
cavese d’opinione.
Non mi piace la retorica e non sarei capace di usare espressioni che potrebbero
apparire vuote e di circostanza per descrivere Filippo D’Ursi. Posso condensare in un unico giudizio I tanti pensieri su di lui: era un
uomo onesto. In questo mondo contemporaneo, in cui il grado di onestà della gente viene ormai misurato con aggettivi che consentono di far apparire
virtuosi anche coloro che lo sono solo abbastanza o sufficientemente o, peggio
ancora, quel tanto che basta, in modo da giustificare Ie infinite bassezze o
azioni a disprezzo dell’umana convivenza, l’avvocato D’Ursi era onesto e basta, senza mezze misure, concessioni, cedimenti,
compromessi. E lo era sia nella sua attività professionale, che pure concede spregiudicati arricchimenti ad altri suoi
colleghi, che nella vita familiare, nel rapporto con gli amici e, perché no. con gli avversari.
Filippo D’Ursi era stato arrestato come antifascista negli anni bui, ma non se ne menava
vanto, come tanti altri; fu vice-pretore onorario, assessore comunale,
civilista affermato, possedeva e dirigeva un giornale da 29 anni: tutte attività che, in mano ad altri costituirebbero ghiotte occasioni per I’esercizio del potere, quello becero, che provoca ricchezza ed arroganza. Filippo
D’Ursi ci ha insegnato invece che si può essere giusti e onesti anche nelle circostanze in cui qualcuno inevitabilmente
direbbe, a giustificazione delle malefatte, che I’occasione fa l’uomo ladro.
L’ho incontrato I’ultima volta il 29 dicembre 1990 nella biblioteca comunale, in occasione dell’incontro di presentazione alla stampa di Panorama Tirreno. Mi ha rivolto auguri
sinceri ed affettuosi per il successo di questo giornale e mi ha detto che era
stanco e sfiduciato. Ha atteso che finisse I’anno, poi, nel primo giorno del 1991, rapidamente, con discrezione e, mi auguro,
senza soffrire, ci ha lasciato.
Enrico Passaro
Panorama Tirreno, gennaio 1991
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