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I versi “divini” del De Sio tra poesia e pettegolezzo
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Alfonso De Sio
La Divina Commedia Cavaiola
III edizione a cura di Arturo Infranzi
Di Mauro Editore 1994

Di una Divina Commedia cavaiola avevo sentito parlare spesso nella mia infanzia. E uno di quegli aneddoti ricorrenti, che servono a ricordare a tutti noi contemporanei alcuni gradevoli e curiosi aspetti della vita cavese del passato. Nel caso specifico chi raccontava certi dettagli legati a quest’opera tracciava un profilo anche della Cava del primo dopoguerra. I versi di Alfonso De Sio avevano messo a nudo pregi e difetti, vizi e virtù di una cittadina che, allora come ora, era viva e attiva, ma certamente allora più di ora era più sensibile agli effetti delle “chiacchiere”, dei “pettegolezzi” che si diffondevano sull’uno o sull’altro personaggio. De Sio non era autore di pettegolezzi; il suo pregio (o difetto, a seconda dei punti di vista) era di aver descritto il destino nell’aldilà di alcuni suoi contemporanei, vissuti fra la fine dell’800 e i primi del 900, in base a certi aspetti caratteriali, a certe vicende della loro vita che erano sulla bocca di tutti. E lo aveva fatto in versi, nel 1914, assecondando una sua vocazione irrefrenabile. Quei versi ebbero un effetto esplosivo nella valle metelliana. Qualcuno non gradì il trattamento riservato dal poeta ai propri cari, lo ritenne un mettere in piazza i panni sporchi della loro famiglia. Le proteste dovettero essere sonore, se nella seconda edizione del 1925, come fa rilevare anche Arturo Infranzi nell’attuale pubblicazione, alcuni personaggi che figuravano nella prima edizione non comparivano più e qualche nome di “dannato” era stato volutamente camuffato dall’autore stesso. Potenza dei pettegolezzi!
Ad ogni modo, Alfonso De Sio aveva già tenuto a precisare: “Tale opera ... risulta di tre cantiche; Inferno, Purgatorio e Paradiso, dove figurano anche nomi di spiccate personalità paesane, parecchie delle quali adombrate e travestite. Se qualcuna di queste sia stata malamente collocata e dipinta, me lo si perdoni, poiché non ho creduto mai di valermi del verso come mezzo e pretesto ad offesa, mirando solo che esso serbasse l’impronta della giovialità e del riso”.
E’ in questo spirito che vanno rilette anche oggi quelle quartine così piacevoli e delicate. Se possiamo farlo, il merito è tutto di Arturo Infranzi, nipote dell’autore, essendo nato dalla figlia del poeta, Aida, che sposò Gaetano Infranzi. Le due precedenti edizioni curate dall’autore stesso andarono esaurite in breve tempo e oggi solo i pochi fortunati che le hanno tramandate di padre in figlio se ne ritrovano una copia nella loro biblioteca. Infranzi ha voluto la terza edizione, pubblicata e commercializzata dalla Di Mauro, accompagnandola con una approfondita ricerca sulle discendenze fino ai giorni nostri delle famiglie dei vari personaggi citati. La fatica deve essere stata tanta, ma il risultato è senza dubbio interessante per chi è legato alla storia e la vita della nostra comunità.
Arturo Infranzi ci ha lavorato per circa un anno e alla fine si è dichiarato soddisfatto del risultato: «Era necessario farlo; dopo 70 anni l’opera di Alfonso De Sio sarebbe andata irrimediabilmente perduta».
Ha collaborato alla ricerca anche Salvatore Milano, che ha ricostruito l’albero genealogico della famiglia De Sio, a partire dal capostipite Ascanio (1540), fino a Roberto e Pasquale , figli di Massimo e di Licia Vallone, da un lato, e le artiste Teresa e Giuliana, figlie di un altro Alfonso e di Elvira Testa. La presentazione è di Agnello Baldi. Il volume di 272 pagine contiene ben 110 illustrazioni dei personaggi citati e della Cava di un tempo. Un’opera da leggere e conservare.
Enrico Passaro
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