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Panorama oltre il Tirreno
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“Mi batte il corazon ho visto l’Argentina”
Buenos Aires, una città che vive di nostalgia
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Elisabetta Muraglia
È piacevole andare in Argentina quando in Italia è inverno e a Buenos Aires splende un sole estivo di oltre 30 gradi. Avenida Florida è la via principale, isola pedonale, piena di centri commerciali e bei negozi. Ho trovato una cordialità spiccata nei negozianti. “Parliamo italiano?”, mi ha detto sorridendo una commerciante impietosita dal mio pessimo spagnolo. Mi ha spiegato poi che era di Bari e viveva lì da ben 32 anni, perfettamente ambientata  e senza nessuna voglia di ritornare in patria.
Com’è buffo, pensavo, camminare in questa città e trovare nomi italiani nelle insegne dei negozi e riscontrare però che quasi nessuno parla più italiano. Mi è venuta in mente una frase dello scrittore Bruce Chatwin, letta in uno dei suoi tanti diari di viaggio: “La storia di Buenos Aires sta scritta nel suo elenco telefonico”. Nomi familiari che di italiano hanno mantenuto solo la musicalità della pronuncia. La loro lingua ormai è il castigliano, il portegno, cioè l’idioma della gente del porto.
Dalla valigia con lo spago…
La città è famosa per il suo porto commerciale (porto fluviale, tra l’ altro), perché è attraversata dal Rio della Plata, che di fiume ha solo il nome. È talmente grande che con lo sguardo non si vede la sponda opposta.
Proprio per lavorare al porto sono partiti tanti nostri connazionali (moltissimi dalla Campania) dal secolo scorso fino al secondo dopoguerra.
Dopo giorni e giorni di viaggio con in testa il sogno di un futuro migliore in America, sono arrivati alla Boca, il quartiere italiano, dove navi nuove e rottami in disuso, fanno bella mostra di sé sulla banchina. Ho ripercorso mentalmente il loro cammino e mi sono ritrovata al “Caminito”, oggi trasformata in strada vetrina, dove gli artisti espongono le loro opere. Le case hanno colori violenti, solari, come solo nell’America del Sud si sanno dipingere. Sono costruzioni ricoperte di lamiera. Questa è un’altra caratteristica dell’Argentina! Mi hanno spiegato che protegge dal vento, che in questo stato, spira fortissimo. In inverno poi, la lamiera evita il congelamento se viene isolata con del legno all’interno.
…alla casa nei quartieri residenziali
Oggi alla “Boca” ci sono i nuovi poveri: gli immigrati brasiliani e gli argentini meno fortunati. Gli italiani se ne sono andati. Abitano in quartieri residenziali ed hanno cercato di dimenticare il più presto possibile la loro lingua d’origine. Non l’hanno insegnata ai loro figli. Questa constatazione mi ha lasciato molto perplessa. Ho cercato di chiedere, di sapere, ma non mi è stata fornita una spiegazione esauriente di questo fenomeno. Ho pensato che l’unica plausibile era quella  di dimenticare da dove erano venuti per rincominciare da capo e che era impellente la necessità di adattarsi, anche alla lingua.
Nel resto d’Europa, gli emigranti tra loro mantenevano l’idioma natale e in famiglia cercavano di trasmetterlo alle nuove generazioni. In Argentina no! In Argentina si parla il castigliano! Ora, i figli od i nipoti alla riscoperta delle proprie radici vanno a scuola di lingue per imparare l’italiano.
Non sono state tramandate le parole, ma il buon gusto e la buona tavola sì. Buenos Aires è uno spaccato d’Italia: i quartieri hanno il nostro stile, la gente ha i nostri tratti somatici, il loro abbigliamento  è come  il  nostro e tutta la città ha un non so che di familiare. Ti senti a casa e invece sei nell’altra parte del mondo!
Ricordo dei desaparecidos
C’ è un amore  squisito per gli oggetti d’antiquariato ed a San Telmo, altro quartiere della città, si possono trovare negozietti con ogni raffinatezza d’epoca. E poi Palermo, il quartiere più nuovo e più ricco con i grattacieli e l’orto botanico. È come l’EUR a Roma, nuovo ed asettico, con dei centri commerciali architettonicamente superbi, ma con prezzi da élite sulla merce esposta.
“Barrio” (quartiere) della Regoleta, l’ho visitato per ultimo. Il suo cimitero monumentale, inaugurato nel 1822 con sepolcri reati da artisti italiani e francesi, oggi è considerato monumento nazionale.
Al centro della città c’è la “Casa Rosada”, dove il presidente Menem ha la sede politica.
Di fronte, la tristemente nota Plaza de Majo, con al centro la Piramide de Majo che conserva al suo interno la primitiva piramide inaugurata nel 1811 per commemorare il primo anniversario della rivoluzione di maggio del 1810. Tutt’intorno alla piazza, sono disegnati in bianco su mattonato rosso, corpi di uomini caduti a terra alternati a foulard da donna. Rappresentano il triste percorso di madri, sorelle, figlie, fidanzate, mogli dei “desaparecidos”, che mostravano le foto dei dispersi. Giravano intorno alla piramide, sperando che qualche passante sapesse dove fossero i loro cari.
E’ un’immagine del periodo di terrore dell’Argentina degli anni ‘70, un periodo ancora velato di lacrime e disperazione.
Le tentazioni della gola
Dalla disperazione seria a quella faceta, quella che per una penitente di gola, si placa solo dopo aver consumato qualche fetta di ottima torta o assaggiato il “doulce di leche”, una specie di caramella “Mou” squagliata, l’equivalente della nostra “Nutella”, che si trova su tutte le tavole imbandite per la colazione; oppure il dolce di Batata, da assaporare unicamente su del formaggio tipo provolone dolce e poi... il gelato più buono che abbia mai assaggiato. L’ho mangiato a Buenos Aires, una mousse di limone da leccarsi i baffi. Non dimenticherò mai il suo sapore, sapore di nostalgia. Nostalgia di una città che vive di nostalgia.