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cultura & società
Il ricordo
Intere famiglie scomparse, fabbricati sbriciolati
Nella disgrazia emersero tante iniziative di autentica umana solidarietà
Nino Maiorino
Fu un evento disastroso quello che, nella notte tra lunedì 25 e martedì 26 ottobre del 1954, colpì le città di Salerno, Vietri sul Mare, Cetara, Maiori, Minori e Cava de’ Tirreni: 316 persone persero la vita,  intere famiglie scomparvero, molti fabbricati si sbriciolarono, dighe crollarono, Chiese furono distrutte, interi quartieri vennero sconvolti, strade e ponti vennero annientati, il sistema idrico saltò, il sistema viario subì conseguenze pari solo a quelle derivanti da eventi bellici. L’Italia si fermò quando, la mattina di martedì 26, incominciarono a diffondersi le notizie del cataclisma che si era abbattuto su questa parte della provincia di Salerno, e gli italiani videro le prime, raccapriccianti immagini dei morti, delle distruzioni, del fango che, defluite le acque, tutto sommergeva, uomini, animali, abitazioni. Tutti fummo colpiti, sia dall’orrore di quella alluvione, sia dai lutti che essa portò, lutti che vivemmo in prima persona, perché quelle famiglie annientate, quelle zone distrutte, erano nei nostri cuori e nelle nostre menti, nella nostra quotidianità.
Ricordiamo Salerno, meta quotidiana di studenti, commercianti, turisti, sconvolta nella parte storica, dal rione Canalone in giù, distrutto il lungomare e la villa comunale che costituì il primo “obitorio” dove furono allineati i corpi dei morti che venivano estratti dal fango, le stradine e le abitazioni del centro storico invase da fango e detriti, il tratto della SS.18 proveniente da Vietri danneggiato al punto che occorsero mesi per ripristinarne l’uso.
Ricordiamo Vietri sul Mare: chi non la frequentava per i bagni e il sole estivi, chi non conosceva i proprietari delle abitazioni che si fittavano in estate, quelli degli stabilimenti balneari che frequentavamo, i proprietari delle salumerie, delle macellerie, dei panifici,  dove i bagnanti si approvvigionavano?
E cosa dire della frazione di Molina di Vietri? Quella collina, ora piena di verde, venne totalmente “rasa” dalla furia degli elementi scatenati della natura; a chi la osservò dopo, sembrò che un malefico “barbiere” gli avesse “fatta” la barba… E le altre montagne furono scorticate…
Ricordiamo  Maiori e Minori, cittadine che, come adesso, venivano frequentate, non solo in estate, da tanti nocerini, paganesi, e da tanti provenienti dall’ intero Agro Nocerino.
Ricordiamo  Cava de’ Tirreni, la cui Abbazia Benedettina fu duramente colpita: quanti la frequentavano non solo per motivo di culto e devozione, ma anche per motivi di studio?
Furono 316 le vittime, inghiottite dal fango, schiacciate dalle macerie, affogate dalla furia delle acque dei fiumi, poveri cadaveri galleggianti sulle onde del mare sporche da detriti e fango, corpi impastati nel fango che tutto aveva coperto.
Quella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1954 la furia degli elementi si accanì sulla ignara popolazioni senza alcun preavviso; la pioggia, consueta in tale periodo, sembrava un evento normale, e solo in serata essa aumentò di intensità, fino a divenire una vera tempesta di acqua, che ingrossò i torrenti Fusandola, Rafastia, Conca, Pelmentieri, le cui acque fuoriuscirono, allagando strade, cantine, case, e distruggendo quello che trovavano sulla loro strada; frattanto dalle colline e montagne sovrastanti incominciarono a venire giù frane, alberi e terreno.
Gli inermi cittadini si trovarono stretti nella morsa dell’acqua dei torrenti che saliva e delle frane che scendevano dall’alto: una catastrofe inimmaginabile, della quale, nelle commemorazioni che i Comuni colpiti stanno facendo in questi giorni, vi è una vasta e raccapricciante documentazione.
Nella disgrazia, com’è costume, emersero tante iniziative di autentica umana solidarietà: ospitalità dei più fortunati, che avevano avuta risparmiata la casa, in favore dei superstiti che avevano perso tutto; impegno da parte delle forze dell’ordine, dell’esercito, dei volontari, di un gruppo di minatori abruzzesi che, in zona, stavano lavorando ad una galleria; solidarietà da parte di medici, infermieri, farmacisti, in una gara senza risparmio per lenire le sofferenze fisiche dei sopravvissuti.  
La solidarietà non fu soltanto locale, l’intera nazione si mobilitò, e anche dall’estero, in una gara di solidarietà che non dobbiamo mai dimenticare, giunsero soccorsi di ogni genere, non solo tende, letti, lenzuola, ciotole, persino, dagli Usa, i “gianduiotti”.
In quel periodo storico e sociale, a un decennio dalla fine della 2ª guerra mondiale, dalla quale l’Italia era uscita completamente distrutta fisicamente ed economicamente, non esistevano strutture di protezione civile: c’era l’Esercito, i Vigili del Fuoco, le Forze dell’ordine, ma non si era attrezzati, come oggi, per fronteggiare un evento tanto vasto e calamitoso.
Ma esistevano le organizzazioni cattoliche che si mobilitarono sopportando il peso della prima assistenza e dei primi interventi. La protezione, allora, era costituita dalla Pontificia Opera Assistenza, dal Centro Italiano Femminile, dalle Dame di San Vincenzo, dalle Parrocchie, dai Vescovadi, che affiancarono la Prefettura e quel che rimaneva delle amministrazioni comunali (tra l’altro il Comune di Salerno, in quel periodo, era retto da un Commissario).
In quella Italia ancora povera,  a metà strada tra la ricostruzione postbellica e l’avvio della ripresa economica, solo il volontariato e la Chiesa cattolica costituirono i punti di riferimento dei soccorsi.
E solo la Chiesa cattolica a denunciò i responsabili di quello che era accaduto: «Non si speculi sulla tragedia – disse l’Arcivescovo di Salerno Mons. Demetrio Moscati nell’ omelia dei funerali – non si invochi la tragedia mandata da Dio per dimenticare i peccati degli uomini».
Il ricordo di quella tragedia, anche a cinquant’anni di distanza, rimane vivissimo nelle nostre menti e nei nostri cuori, specialmente quando si pensa al dolore di quei genitori che, nel prestare soccorso, scavando nel fango, trovarono i corpi senza vita dei loro congiunti:  l’Agente di P.S. Andrea Santaniello che trovò improvvisamente  i corpi senza vita dei due figli; Pasqualina Nappo, una inserviente di pronto soccorso, che pure inaspettatamente trovò il corpo del figlioletto, e alla quale verrà dedicata una cartolina con annullo postale per il suo “urlo di dolore”.
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