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Pioggia di cenere e si temette l’evacuazione
30 cm di lapilli poi il “Gigante” si addormentò
Il 22 Marzo del 1944 di prima mattina il cielo stranamente
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continuò a rimanere scuro, ed un fenomeno mai visto si verificò: dalle 5 alle 10 ci fu pioggia di cenere. Poi presero a cader pietre di color nero dalle più piccole dimensioni alla grandezza di un uovo e forse più. Era il Vesuvio che aveva incominciato la sua ultima eruzione con emissione colossale di lapillo.
Poiché il fenomeno non accennava a cessare e già si era fatto mezzogiorno, furono prese delle misure per evacuare la popolazione; ma verso le ore 15 finalmente quella eccezionale pioggia cessò, e tutte le strade di Cava e le campagne e le montagne si trovarono sotto una coltre di oltre trenta centimetri di lapillo. Molti tetti sprofondarono, ma per fortuna non si lamentarono morti, mentre a Nocera Inferiore lo sprofondamento di tetti fece alcune vittime. L’agricoltura ebbe a soffrire il maggior danno, perché i poveri contadini, che già erano stati impegnati a dissodare i terreni dai bombardamenti bellici ed a seminarli, dovettero incominciare da capo, e ripulire le campagne dal lapillo raccogliendolo in fosse appositamente scavate o rovesciandolo col terreno, e quindi riseminare.
La popolazione fu soccorsa con generi alimentari dagli americani, i quali per la verità dovettero, a causa dello sconvolgimento prodotto dalla guerra, provvedere per molto e molto tempo a concorrere alla alimentazione del popolo italiano con quella miscela di cereali macinati, che andò famosa con il nome di “farinella”. I soli che beneficiarono della pioggia di lapillo furono i costruttori edili, i quali trovarono bello e pronto sul posto il materiale da impastare col cemento.
Fu quella l’ultima eruzione del Vesuvio: il vulcano scaricò tutto in una volta il gran quantitativo di materiale eruttivo che aveva accumulato nel suo stomaco gigantesco. Il cono di lapillo salì ad oltre duemila metri di altezza, e per fortuna trovò che a quella quota tirava un forte vento, il quale provvide a disperdere il materiale su una vasta estensione di terra. L’eruzione dovette essere simile a quella del 79 d. C. che sommerse Pompei ed altri paesi vicini: solo che questa volta non ci fu lava di fango, ed il lapillo non si concentrò in un punto ristretto. Cava si trovò ai margini dell’epicentro della caduta più intensa di lapillo, ma la pioggia si estese nientemeno che fino alla lontana Bari. Se quel cono fosse caduto a piombo su di un unico paese, certamente avrebbe creato una novella Pompei. Da allora il Vesuvio ha perduto il pennacchio di fumo che costantemente usciva dalla sua cima, e che costituiva nel panorama di Napoli una caratteristica tanto cara alla fantasia dei forestieri, oltre che un orgoglio per noi tutti della Campania.

Tratto da “Sommario storico-illustrativo della Città della Cava” di Domenico Apicella - Edizione Il Castello 1978

Pubblicato nell’inserto del numero 6 - giugno 2000 di Panorama Tirreno  (visualizza l’inserto)
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