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Scuola, tra continue riforme
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e sperimentazioni
Patrizia Reso
Ho lasciato la scuola sul finire degli anni Settanta, per poi riprendere a frequentarla dopo circa un decennio, però come mamma. Da quel momento in poi ho assistito, devo ammettere non passivamente, al lento, graduale, a volte impercettibile, degradare della realtà scolastica. Altre volte invece questo pianeta ha subito degli scossoni traumatici.
Per compendiare quelli che sono stati i mille e più cambiamenti a cui è stata sottoposta la Pubblica Istruzione, che nel frattempo ha perso anche l’aggettivo che la precedeva, basti dire che il mio primogenito, oggi trentenne, e quindi anche i suoi coetanei, si autodefinisce “studente sperimentale”. Non a caso, ovviamente. Si è trovato infatti ad attraversare tutti i periodi di transizione da un sistema ad un altro, in attesa che il cambiamento diventasse definitivo, quindi ha frequentato sempre corsi cosiddetti sperimentali. La sua “sperimentazione” ha avuto inizio alle elementari per concludersi all’Università. Ha vissuto infatti il passaggio dalla maestra unica al modulo a tre, l’introduzione dell’inglese, la ridefinizione dei programmi scolastici.
Alle scuole medie invece fu introdotto il bilinguismo e un nuovo orario scolastico, ampliato. Il liceo è proseguito sempre in modo sperimentale: confermato il bilinguismo, l’introduzione dello studio della scienze sin dal primo anno e quello dell’autonomia scolastica (torneremo su questo concetto). Infine l’Università: dai famosi quattro o cinque anni di corso per accedere alla laurea, si è passati ai tre più due, che avrebbero dovuto dare all’Italia tecnici specializzati da introdurre subito nel mondo del lavoro.
Certi cambiamenti nel tempo sono stati confermati, altri sono stati modificati, nel frattempo la progettualità è aumentata a dismisura per accedere ai finanziamenti, sì, perché in effetti l’autonomia scolastica, introdotta con un decreto del governo di centrosinistra (n°300, 30/7/1999), altro non era che rendere finanziariamente libere le comunità scolastiche, cioè lo Stato non si sarebbe fatto più carico di un’offerta per tutti. Quindi la fregola di elaborare progetti e compilare scartoffie da parte degli insegnanti, li ha indotti a perdere di vista, per forza di causa maggiore, gli utenti basilari del fu servizio, cioè scolari e studenti. Inoltre sono state letteralmente cancellate le ore di Educazione Civica, cioè le uniche ore in cui si insegnavano i principi fondamentali dello Stato, un approccio al rispetto delle regole, che un tempo vedevano le origini dapprima nell’ambiente familiare, quindi il prosieguo nella scuola. Ora le regole non le insegna più nessuno. Si cresce con l’idea che tutto è possibile, basta che hai soldi.
Oggi c’è un timido tentativo di  reintrodurla, di fronte al dilagare di fenomeni come il bullismo, uno dei mali peggiori che ha prodotto la scuola trasformata in azienda dell’immagine, per non affrontare altri fenomeni più penosi. Ovviamente il cambiamento introdotto dal centrosinistra è stato gestito anche dai governi del centrodestra, che hanno cavalcato l’equiparazione del sistema di istruzione pubblico a quello privato, aprendo sempre più spazi all’iniziativa privatistica. Si è quindi iniziato a vociferare che attività didattiche come l’educazione alla musica o l’educazione del corpo non sarebbero più rientrate nel pacchetto d’offerta, ma sarebbero diventate attività extrascolastiche. Inoltre sono state variate le ore di insegnamento di particolari materie, tipo il latino, determinando un drastico calo di iscrizioni ad esempio al liceo classico. Per contro si è avuto un aumento di iscritti al liceo scientifico, con conseguente aumento dei diplomati, strettamente collegato anche al calo di iscritti registratosi presso gli istituti tecnici.
Negli ultimi 25 anni, secondo il Rapporto sull’istruzione tecnica secondaria e terziaria, curata dall’associazione Treelle (sostenuta dalla Compagnia San Paolo) per il 2014, gli studenti degli istituti tecnici sono scesi del 45%, mentre i diplomati liceali sono passati dal 29,5% del 1991 al 44,8% nel 2014.  Questi sono dati nazionali, ma a Cava ad esempio abbiamo registrato il dimezzamento del classico che è stato accorpato al liceo pedagogico e, di nuovo, l’accorpamento del geometra col ragioneria.
Se invece vogliamo dare uno sguardo al corpo insegnante, un semplice colpo d’occhio ci permette di constatare la scomparsa della figura maschile. Il maestro, quello di deamicisiana memoria oppure quella associata all’immagine televisiva del maestro Manzo, non esiste più. Quest’affermazione è confermata, a livello regionale, da una ricerca curata dal prof. Natale Ammaturo, “Una sofferenza senza fallimento. Indagine sugli insegnanti in Campania”, in cui delinea il quadro degli insegnanti nella scuola contemporanea. Dall’indagine emerge innanzi tutto l’invecchiamento della classe insegnante. Negli anni non vi sono stati i ricambi necessari e, in particolare, i docenti meno giovani si concentrano nella scuola secondaria. Infine la presenza di insegnanti uomini è ancora riscontrabile tra i docenti di maggiore anzianità, il che conferma  la sempre maggiore scelta di  altre professioni da parte degli uomini.
Il tutto si associa, specie in alcuni quartieri delle metropoli oppure in paesini di provincia, al degradare nella fatiscenza delle strutture. Nella maggior parte delle scuole i genitori hanno iniziato ad organizzarsi per l’acquisto di cancelleria, carta igienica o altro.
Gradualmente siamo passati dalla Pubblica Istruzione al MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; dalla scuola pubblica all’azienda scolastica. Il cambiamento non è solo nelle definizioni, ma nei fatti. Non abbiamo più il direttore scolastico o il preside d’istituto, ma il dirigente scolastico, perché nei fatti concreti la scuola deve essere gestita come un’azienda, Tant’è che uno degli ultimi cambiamenti introdotti, anche questa volta da un governo che si definisce di centrosinistra, riguarda addirittura l’assunzione degli insegnanti, non più per graduatorie presso i vari Provveditorati, ma per chiamata diretta da parte del dirigente scolastico.

Panorama Tirreno, marzo 2016
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