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Quando a Cava non scarseggiavano
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le occasioni di lavoro
Banca, assicurazione, produzione tipografica, sigari
e servizi informatici: quel che (non) resta degli anni 90
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Enrico Passaro
“Abbiamo visto cose che i giovani cavesi non possono neanche immaginare”, parafrasiamo, per alleggerire e non per enfatizzare. Sì, i giovani cavesi non sanno che quando è nato Panorama Tirreno nel 1991, le opportunità di lavoro per i neo diplomati e laureati, ma anche per chi non godeva di titoli di studio elevati, erano a Cava abbastanza soddisfacenti. C’era una fiorente Arti Grafiche Di Mauro, c’era il Credito Commerciale Tirreno, c’era la Metelliana società di informatica, c’era lo sbocco della Tirrena Assicurazione, di proprietà della famiglia Amabile, c’erano svariate e avviate aziende di ceramica, c’era la Manifattura Tabacchi e l’annessa Agenzia. Per una cittadina di cinquantamila abitanti non era poco, anzi, molto di più delle scarse risorse del territorio circostante. Un’oasi felice? Quasi, anche se non ci si rendeva troppo conto della fortuna. Poi la fortuna si è andata rapidamente esaurendo e da allora i giovani cavesi non sanno più che strade intraprendere per trovare lavoro senza dover lasciare l’amata valle metelliana.

Si dissolve l’impero degli Amabile
La scomparsa dell’avvocato Mario Amabile, figlio del capostipite Antonio, una famiglia che aveva creato un impero economico fra banche, assicurazioni e società collegate, all’inizio degli anni Novanta induce i discendenti Giovanni, Paolo e Giulio a vendere il Credito Commerciale Tirreno (uno dei primi cinquanta istituti ordinari di credito in Italia e una delle aziende più solide del Mezzogiorno) ad un gruppo di origine pugliese, la Parfin. I fratelli Amabile sperano così di salvare il gruppo Tirrena, gioiello di famiglia. Le cose non andranno così. I fratelli cavesi dopo qualche mese saranno costretti a rinunciare anche al potentissimo gruppo assicurativo. In breve sparirà anche il marchio CCT e gli sportelli della banca saranno acquisiti dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna.
Dell’impero economico cittadino che ruotava intorno alla famiglia Amabile, si dissolve infine anche l’ultima appendice, la società Metelliana. Era una società di assistenza informatica che si occupava, fra l’altro, della gestione dei servizi dell’ex Credito Commerciale Tirreno. Nei tempi d’oro contava circa 100 dipendenti. Dopo la clamorosa vendita del CCT nel ‘97, nel 2000 la Metelliana viene frammentata e distribuita in tante piccole società, facenti capo alla Data Service di Milano. Dell’azienda cavese restano 20 dipendenti: 12 con sede operativa a Nocera Superiore ceduti al GSI (Gestione Servizi Informatici) di Roma, e 8 con sede operativa a Cava, ceduti all’INFOLAB, società di Lanciano (Ch). Con la decisione di quest’ultima di trasferire la sede operativa a Lanciano gli 8 dipendenti sono costretti a fare i bagagli e trasferirsi in Abruzzo.
In pochi anni Cava perde un punto di riferimento unico in tutto il Mezzogiorno nel settore assicurativo-bancario e dei servizi avanzati. Enorme danno occupazionale, ma anche finanziario: i risparmi dei cavesi non verranno più reinvestiti sul territorio, ma indirizzati verso i grandi canali nazionali del credito.

La triste fine delle “Arti Grafiche”
Altra vicenda non a lieto fine: Di Mauro. La “Emilio Di Mauro” SpA operava da circa cento anni nel settore della carta stampata, da quando il “capostipite” Emilio aveva aperto una piccola tipografia a Cava nel 1899. Da più di quaranta anni era diventata leader nel settore tipografico. La via crucis inizia nel 1993, con 17 lettere di mobilità e 11 di pre-pensionamento, tagli occupazionali per ristrutturare l’azienda. Comincia a traballare una delle più solide certezze economiche e occupazionali della città, che vanta 100 anni di vita ed è considerata fra le prime 50 aziende della provincia. Qualche anno dopo, nel ‘97 si lancerà un nuovo allarme: la perdita di grosse commesse determina in tre anni la riduzione dell’organico di 46 persone, mentre si parla di 51 altri esuberi. Nella primavera del 2005 la Di Mauro giunge addirittura alla chiusura del suo stabilimento più rappresentativo, quello delle Arti Grafiche. La notizia crea lo sconforto per 120 famiglie che si ritrovano senza più un reddito da lavoro. Inutile la mobilitazione, con l’occupazione della fabbrica e blocchi stradali sulla Statale 18. Anche la speranza di realizzare un grande centro commerciale nell’area dello stabilimento storico per dare occupazione ai lavoratori rimasti senza lavoro rimarrà irrealizzato.

La privatizzazione del Sigaro Toscano
Il calvario della Manifattura Tabacchi inizia nel 1991 e si protrae per tutti gli anni Novanta. Il Ministero delle Finanze annuncia che lo stabilimento di Cava rientra tra i cosiddetti “rami secchi”, destinati ad essere soppressi in mancanza di una sana ristrutturazione. Con la privatizzazione dell’Ente Tabacchi e la ristrutturazione della produzione, per la Manifattura e per l’Agenzia, è annunciata la chiusura. 450 lavoratori in esubero da ricollocare in altri stabilimenti o in uffici finanziari, ma il problema per Cava è la perdita dell’indotto collegato alla presenza dello stabilimento e le prospettive occupazionali negate per le future generazioni. Negli anni Duemila la Manifattura passa a privati e la multinazionale British American Tobacco, in seguito incorporata in BAT Italia, diviene proprietaria dell’opificio cavese. Nel 2006 la Bat decide di concentrare il suo business sulle sigarette e cede la manifattura di Cava al gruppo Maccaferri, insieme agli stabilimenti di Lucca e Foiano della Chiana, per 95 milioni di euro. Nascono le “Manifatture Sigaro Toscano”. Il passaggio dal pubblico al privato del comparto ha comportato la perdita di molti posti di lavoro.

* * *
Oggi Cava de’ Tirreni ha definitivamente smarrito i suoi più solidi punti di riferimento del secolo scorso. Tutto ciò si è tradotto in una profonda crisi economica e occupazionale resa ancora più acuta dalla crisi generale del Paese. Il danno non è solo economico, ma anche culturale, di identità, di consapevolezza. Cava ha bisogno di ritrovare i suoi punti di riferimento. Il commercio non basta e il turismo è ben al di sotto di uno standard accettabile. La sfida per gli amministratori attuali e futuri è molto impegnativa. Per gli imprenditori è quasi sovrumana.

Panorama Tirreno, marzo 2016