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In aumento rumeni e bulgari
Ecco gli stranieri di casa nostra
Negli ultimi 25 anni la presenza estera è cresciuto entro limiti
accettabili e oggi costituisce soltanto il 2% della popolazione
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Patrizia Reso
Agli inizi  degli anni Ottanta, l’Anagrafe di Cava inizia ad avere i suoi primi approcci con la registrazione di immigrati stranieri. All’epoca ne risultavano soltanto una decina di residenti sul territorio cavese, provenienti da Francia e Germania prevalentemente.
Il primo flusso migratorio è strettamente collegato ai viaggi turistici di concittadini in Brasile. Molti di loro rientrano in paese
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accompagnati da una donna brasiliana, di cui si sono innamorati e che, nel frattempo, è diventata la propria moglie. Quindi si tratta decisamente di un flusso migratorio dettato dall’amore.
Solo sulla fine del decennio si iniziano a registrare trasferimenti per ragioni di lavoro, cioè di persone straniere che  arrivano a Cava per svolgere un’attività. Si costituiscono le prime piccole comunità, dapprima filippina, quindi capoverdiana. Decisamente erano più numerosi di quanti ne sono oggi. A marzo 2015 ne risultano, infatti, 9 provenienti da Capo Verde e 17 dalle Filippine. Quindi, all’atto pratico, Cava ha rappresentato per loro un territorio di passaggio.
Questi sono gli anni corrispondenti prima alla legge Martelli, poi alla legge Turco-Napolitano. La 39/1990 (Martelli), disciplinava prevalentemente in materia di rifugiati e profughi, cui dedica tutta la prima e sostanziosa parte. Nella seconda parte si sofferma, in modo timido, su una programmazione dei flussi di ingresso, in particolare relativi ai cittadini definiti extracomunitari. Termine che ha subito un’evoluzione, dato che il concetto di Comunità Europea si è ampliato nel tempo con l’adesione di nuovi Stati alla crescente Unione Europea, soprattutto da parte dei Paesi dell’Est, esclusa la Russia.
Nel 1998 abbiamo la legge Turco-Napolitano, la n°40, che disciplina in genere l’immigrazione e stabilisce, successivamente, le norme sulle condizioni dello straniero in Italia, decreto legislativo 286/1998. Lo stesso tema è stato approfondito, snaturandolo, dalla successiva cosiddetta Bossi-Fini del 2002. Il testo precedente viene notevolmente modificato: si rende più difficoltoso l’ingresso allo straniero, ma anche lo stesso soggiorno già regolare, che rischia di diventare clandestino con un mancato rinnovo del contratto di lavoro. A tal proposito consiglio la simpatica  lettura di “Reato di clandestinità”, del senegalese Moussa Koita, in cui racconta la sua storia di vucumprà e di operaio in Italia, diventato, dopo anni di permanenza e residenza, automaticamente clandestino, nel momento in cui la fabbrica presso cui lavorava ha chiuso i battenti.  Entrambe le leggi comunque controllano il flusso migratorio definendo il numero di immigrati che, nel corso di un anno, possono accedere in Italia. Ovviamente nessuna regolamentazione di richiedenti asilo politico oppure profughi di guerre o territori in conflitto.
In seguito a questi cambiamenti sia del quadro europeo, sia delle normative vigenti, cambia anche il flusso migratorio nella stessa Cava. Nel 2007, a Cava, si ha il boom di immigrati provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria, che anche attualmente definiscono le comunità più numerose sul territorio, ma siamo sempre nell’ordine di qualche centinaio, e per la precisione 268 e 55 rispettivamente.
Se mettiamo in relazione i numeri di queste comunità con quelli di comunità proveniente dall’Africa, ci possiamo rendere conto come la percezione del fenomeno sia ben diversa dalla realtà. Dall’intera Africa sono arrivati a Cava solo 127 persone, di cui 47 dal Marocco e 20 dal Senegal. Gli immigrati delle rimanenti nazioni non arrivano alla decina, anzi il più delle volte si contano sulle dita di una mano. Cade automaticamente uno dei pregiudizi più diffusi e cavalcati dagli xenofobi locali. Permane, invece, una problematica di non poco conto, quella della contraffazione dei documenti d’identità, che favorisce il prosperare di  un fiorente mercato illegale specie nei Paesi che non rientrano nell’Unione Europea. Ovviamente  le forme di identificazione legali sono di  esclusiva competenza degli organi di polizia (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Polizia Municipale) e non rientrano nelle funzioni degli operatori o funzionari anagrafici, i quali, specie in questo periodo di panico terroristico, avvertono ancora più la responsabilità di pratiche di ricongiungimento familiare o di richieste di soggiorni turistici. Sarebbe, a tal uopo, opportuno coadiuvarli di strumenti o figure esperte per non incorrere in trabocchetti sapientemente architettati.
Attualmente il quadro degli immigrati a Cava vede le comunità continentali così distribuite: dall’Europa provengono 828 persone, dall’Africa 127, dall’Asia 95 e dall’America 82. In definitiva abbiamo una percentuale pari al 2% di presenza di immigrati rispetto alla popolazione cavese. Ancora un pregiudizio che cade irrimediabilmente con i numeri: è infatti quasi impercettibile la presenza degli immigrati, che non può allarmare né i concittadini né la forza pubblica. Il controllo e la prevenzione comunque si operano a prescindere dalla quantità di stranieri. Anzi, in relazione al fenomeno si dovrebbe operare uno screening dei contratti di lavoro, delle registrazioni degli affitti, poiché  sono in molti ormai a sfruttare fobie diffuse ad arte per lucrare sullo Stato italiano e spolpare la manodopera. Non dimentichiamo il recente scandalo scoppiato quando la Polizia ha individuato una associazione di persone che operava matrimoni combinati (ovviamente dietro lauto pagamento), con cavesi residenti d’origine, per favorire permessi di soggiorno. Il campo Immigrazione offre un’infinità di sfaccettature che persone prive di scrupoli, italiane, possono serenamente cavalcare, diffondendo  falsità di proposito, per copertura ai propri illeciti.

Panorama Tirreno, marzo 2016