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storia
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Abbro e Virtuoso, due amministratori
regionali per Cava
All’inizio dell’estate del
1970 il Governo italiano dette finalmente attuazione al dettato
costituzionale, per cui il popolo fu chiamato ad eleggere i
consigli regionali delle Regioni a statuto ordinario. In quella
prima tornata elettorale regionale Cava de’ Tirreni ebbe
il privilegio di portare in Consiglio, e poi addirittura nella
Giunta Regionale della Campania, ben due suoi rappresentanti,
entrambi eletti nelle file della Democrazia Cristiana, Eugenio
Abbro, che in pratica dal 1952 controllava il Comune, e Roberto
Virtuoso, anch’egli con un passato di amministratore al
Comune di Salerno, città nella quale si era trasferito
dal natio Casale del Corpo di Cava dopo il matrimonio con
Teresa Buonocore, figlia di un grande e rimpianto
amministratore salernitano.
I due politici cavesi, già
avversari per formazione e per cultura, l’uno laico, uomo
di destra più che cattolico, ed insegnante di Educazione
Fisica, l’altro cattolico convinto e praticante,
ordinario di Lettere Classiche nei Licei, con alle spalle una
solida formazione cristiana e sociale, maturata
nell’ambito del Cenobio benedettino prima, e delle
lezioni dei sacerdoti Trezza e Violante poi, a loro volta
convinti seguaci di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito
Popolare, finirono per accentuare le personali divaricazioni
ideologiche, pur all’ombra del medesimo Scudo Crociato.
Abbro, sulla scia di Carmine De Martino, aveva scelto di essere
fedele a Bernardo D’Arezzo, fanfaniano; Virtuoso, dal
canto suo, si collocò nel solco della corrente del
Ministro Paolo EmilioTaviani, “Iniziativa 70”, che
in provincia di Salerno aveva il suo leader
nell’onorevole Mario Valiante, legato a Virtuoso da
vincoli di parentela. Paradossalmente, il dualismo
Abbro-Virtuoso arrecò solo benefici a Cava de’
Tirreni. Infatti, sia Abbro che Virtuoso ebbero incarichi di
assessore nella prima Giunta regionale della Campania;
l’ex Sindaco di Cava fu eletto Vicepresidente della
Giunta ed assessore al personale ed allo sport; Virtuoso, per
non essere da meno del suo concittadino, si batté da
leone ed ebbe in riconoscimento dei suoi notevoli trascorsi di
capogruppo al Comune di Salerno l’incarico di assessore
al turismo, al commercio ed all’artigianato.
L’intensa attività politica
che Roberto Virtuoso sviluppò negli anni successivi,
orientando la crescita civile e turistica di Cava, fu
però bruscamente interrotta dalla morte, che lo colse a
soli 50 anni il 22 marzo del 1977.
Quella lista DC con 39 candidati
Nei primi anni ’70 il Comune di Cava
de’ Tirreni fu per lunghi periodi retto da valenti ed
attivi Commissari Prefettizi, che venivano inviati a Cava per
la perdurante impossibilità a costituire una maggioranza
consiliare, nonostante la DC potesse contare ben 22 consiglieri
su 40. Tale situazione d’ingovernabilità era
provocata dalla protervia politica di Abbro, che intendeva
mantenere il controllo dell’amministrazione a tutti i
costi, facendo affidamento solo ed esclusivamente sui suoi
uomini della corrente darezziana e sui seguaci di Scarlato, i
basisti. Quella strategia, ovviamente, creava scontento fra i
consiglieri comunali democristiani delle correnti di minoranza,
i quali, appena ne avevano l’opportunità, la
facevano pagare cara ad Abbro. In quella situazione di
confusione all’interno della DC cavese grande merito
conquistò il Sindaco, l’avvocato Vincenzo
Giannattasio, il quale non esitò a palesare apertamente
di non avere alcuna intenzione di andare a prendere ordini da
Eugenio Abbro, all’epoca Vicepresidente della Campania ed
Assessore al Personale. Fu per questa sua indole autonomistica
e libertaria che Vincenzo Giannattasio, nelle ultime ore della
notte che precedeva il deposito delle liste dei candidati della
DC, partecipanti alle elezioni amministrative del 1975, alle
quali la DC si presentava come partito detentore della
maggioranza assoluta, si vide brutalmente e con metodi di
stampo sovietico, estromettere dalla lista dei candidati.
Quell’irresponsabile e vendicativo gesto ai danni di
colui che era stato apprezzato Sindaco della città,
costrinse la D.C. a presentarsi agli elettori cavesi con soli
39 candidati. Ed il risultato penalizzò
l’inconsulta decisione di Abbro: la DC raccolse solo 17
seggi, perdendo, quindi, di fatto, la maggioranza assoluta in
Consiglio Comunale. Per obiettività di cronaca
sarà utile che qui si riporti almeno un passaggio dei
lunghi e veementi articoli, scritti dall’avvocato
Mimì Apicella, all’epoca consigliere comunale, e
pubblicati sul suo “Castello”. Apicella così
si esprimeva a proposito di Eugenio Abbro: “...Eugenio Abbro, certamente più piccolo
di Benito Mussolini, ma maestro e domino della democrazia e
quindi di tutta la città di Cava...ha avuto il punto
nero quando ha creduto nel suo potere illimitato e si è
incaponito nel pensare di poter imporre come Sindaco di Cava
l’avv. Andrea Angrisani che tutti i cavesi, esclusi
soltanto lui ed il Segretario della locale Sezione DC non
volevano...”
Salsano presidente dell’Azienda di
Soggiorno
Il 16 febbraio del 1972 veniva nominato
Presidente dell’Azienda di Soggiorno e Turismo di Cava
de’ Tirreni il trentasettenne avvocato Errico Salsano, su
designazione dell’assessore regionale Roberto Virtuoso.
Salsano ereditava un Consiglio di amministrazione litigioso,
spaccato politicamente, e arroccato su posizioni
personalistiche, che poco o nulla rispondevano alle aspettative
turistiche della città. Il giovane presidente, pur
consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato
nell’attività innovativa che si riprometteva di
attuare alla guida dell’Azienda di Soggiorno nel solco
delle nuove direttive turistico-politiche impostate a Napoli da
Virtuoso, non ebbe un solo momento di esitazione e, dopo una
breve fase di pratico apprendimento diretto delle tecniche
gestionali dell’Azienda, avviò la sua gestione
presidenziale, destinata a durare moltissimo, assistito con
amorevole affetto, quasi paterno, da don Ciccio Avagliano,
antica istituzione del turismo cavese e coscienza critica di
tutta l’attività dell’Azienda di Soggiorno.
Rinasce il Borgo Scacciaventi
Nel 1973 partì all’Azienda di
Soggiorno il progetto per la valorizzazione della parte
più antica del centro storico ed il rilancio delle
attività culturali, che fino a qualche anno prima
costituivano una nota di grande distinzione per la città
di Cava. Salsano mirava a rinverdire l’antica rinomanza
di città d’arte e cultura, elegante e ricercata.
Egli ufficializzò la precisa volontà di
“riscoprire” la parte più vecchia ed
abbandonata del Corso Umberto, quella racchiusa fra la Chiesa
del Purgatorio e la piazza San Francesco. Con il determinante
sostegno di Virtuoso, ottenne che la Giunta Regionale
finanziasse l’Azienda di Soggiorno per il pagamento dei
canoni di affitto per un anno di quei tanti magazzini, ivi
esistenti, ma da tempo chiusi, in quanto adibiti a depositi di
merci o a rimesse di automezzi. Quell’anomala e riduttiva
destinazione d’uso aveva provocato la progressiva
desertificazione di quel tratto di corso, di certo il
più caratteristico e suggestivo, oltre che il più
antico della città, favorendo l’abbandono da parte
dei residenti, che in quella zona negletta della città
non rinvenivano più le condizioni minime di
vivibilità. Salsano, perciò, pensò ad un
intervento di rivitalizzazione e di incentivazione,
affinché fossero restituite agli scambi commerciali e
alle antiche attività artigianali le tante botteghe da
tempo rinserrate. S’impegnò, quindi, di coprire le
spese di fitto per il primo anno, incoraggiando concretamente
quanti, soprattutto artigiani, ma anche antiquari, avessero
avuto intenzione di aprire o trasferire la loro attività
al “Borgo Scacciaventi”.
Nuovo look per piazza S. Francesco
Nel corso dei primi mesi di quel 1973
l’Azienda di Soggiorno avviò anche i lavori per
arredare degnamente la piazza San Francesco, rimasta sconvolta
qualche anno addietro per un improvvido intervento di
rimaneggiamento dovuto agli interventi di alcuni
“cantieri-scuola”, voluti
dall’Amministrazione Abbro. Fu recuperata, ricostruita e
ripristinata la funzionalità di un’antichissima
fontana, che negli atti consiliari dell’Azienda, si vuole
risalga al 1200, fu restaurata la colonna di marmo cipollino,
che giaceva quasi abbandonata in un angolo della piazza e fu
ricostruita, pezzo per pezzo, la stupenda croce secentesca, che
poi fu collocata alla sommità della colonna, entrambe,
infine, protette da una robusta inferriata circolare per
evitare saccheggi e atti di gratuito vandalismo. Furono
illuminate sia la fontana che la colonna, sicché
l’intera piazza, sormontata dalla monumentale facciata
della Chiesa di San Francesco e contornata da storiche dimore
aristocratiche, ritrovò dignità e splendore
smarriti da tempo.
I cestini dei rifiuti distrutti
Altri interventi di abbellimento e di
arredo furono ideati e realizzati da Salsano, come ad esempio
la posa in opera di ben 50 artistici cestini in ferro battuto
per la raccolta dei rifiuti. Essi furono collocati lungo tutto
il Borgo, con grande soddisfazione di don Antonio Medolla, un
maestro dell’arte del ferro battuto, che aprì
anche una meravigliosa ed ammirata bottega proprio accanto alla
tuttora esistente Taverna Scacciaventi, anch’essa aperta
ed inaugurata in quel fortunato 1973.
Anche contro quegli artistici e ben
modellati cestini in ferro battuto si scatenarono la
rappresaglia e la rabbia degli ignoti oppositori politici di
Salsano, ai quali proprio non andava giù che quel
frenetico avvocato spendesse la maggior parte del suo tempo per
ingentilire la città e rilanciarla nei circuiti
turistici nazionali.
Le ville d’epoca aprono alla cultura
Anche la cultura, nella sua più
pregnante accezione, fu oggetto delle attenzioni del nuovo
Presidente dell’Azienda, il quale avviò la
politica dell’apertura di spazi inediti alla musica, al
teatro, al folclore. Si ebbero concerti dell’Orchestra e
Coro del Teatro di San Carlo alla Badia benedettina e nel
Chiostro del Convento di San Francesco; nacque il Piccolo
Teatro al Borgo, con il suo caratteristico teatrino collocato
proprio al Borgo Scacciaventi. Finanche privati cittadini,
conquistati dal dinamismo di Salsano e dall’importanza
degli spettacoli proposti, aprirono, per la prima volta dopo
molti decenni, le loro eleganti dimore, le antiche e celebrate
ville di un’epoca ormai passata, per ospitare
rappresentazioni musicali e teatrali. Villa Cardinale a
Castagneto, Villa Avellino al Corpo di Cava, Palazzo Salsano in
piazza San Francesco, Palazzo Genoino e Palazzo Talamo al
Borgo, furono teatro di altrettanti affollati ed apprezzati
spettacoli promossi dall’Assessorato regionale al Turismo
ed organizzati dall’Azienda di Soggiorno.
Vita e morte dell’Hotel Due Torri
L’attività programmatica
dell’instancabile presidente Salsano non mancò di
prendere in considerazione l’espansione del mercato
turistico privato di Cava de’ Tirreni, ipotizzando la
nascita di nuovi esercizi alberghieri, nuovi ristoranti e nuove
attività del tempo libero in genere. Era questo un
settore dell’imprenditoria locale che per lunghi decenni
era rimasto estraneo alle iniziative e finanche alle
programmazioni urbanistiche pubbliche. Una specie di riserva,
alla quale era stato interdetto l’accesso.
Un notevole incoraggiamento politico fu
assicurato al compianto Domenico Pisapia nel momento in cui si
accinse alla progettazione di un nuovo, moderno, elegante e
panoramico albergo, che sarebbe sorto nella verdeggiante zona
delle colline orientali di Cava, alla Maddalena di Rotolo, in
spregio ai mille pretestuosi ostacoli e vincoli di comodo,
disseminati lungo il tortuoso iter amministrativo da chi mirava a frustrare, o
quanto meno a rallentare l’espansione
turistico-alberghiera di Cava de’ Tirreni, per
accreditare la più lucrosa, ma fallace “vocazione
industriale”.
Molti anni, in realtà, sarebbero
passati, molti ostacoli, spesso strumentali, sarebbero stati
posti sul cammino delle approvazioni da parte dei vari Enti e
soprattutto da parte del Comune, per cui solo sul finire degli
anni 70 l’Hotel “Due Torri” si sarebbe
proposto a turisti, villeggianti e forestieri in tutta la sua
panoramica bellezza, con la sua moderna efficienza, supportata
dalla professionalità di un selezionato personale,
egregiamente coordinato da un esperto e dinamico direttore, al
quale non faceva mai mancare il conforto della sua discreta, ma
assidua, presenza Mimì Pisapia.
Purtroppo, dopo una breve stagione di
soddisfazioni e di successi ed una rapida escalation nel settore del
turismo italiano ed internazionale, l’Hotel Due Torri,
che era stato anche vilipeso dalla sciagurata collocazione a
ridosso della sua area attrezzata di prefabbricati per
terremotati, avrebbe conosciuto tristissime pagine di
disgraziati e ferali eventi, come la immatura morte del suo
proprietario, la cui repentina, inattesa e tragica scomparsa si
abbatté come una catastrofe sulla vita
dell’albergo, provocandone in breve tempo la rovina
totale.
Chiude la Ceramica CAVA
Il Tribunale di Salerno di chiara nel
febbraio del 1978 fallita la Ceramica CAVA. La vicenda dei
ceramisti cavesi, protrattasi per lunghi mesi, anche a causa
del disinteresse degli amministratori, è giunta ad un
triste epilogo. Centinaia di operai perdono il posto di lavoro.
Ai licenziamenti della Harris Mode e della Ceramica Pisapia fa
seguito la drammatica situazione dei lavoratori della CAVA.
L’economia cavese rischia il collasso.
Pro Cavese in C e poi in C1
La Pro Cavese in due anni si rende
artefice di due importanti successi. Nel 1977 ottiene la
promozione in C grazie ai gol di Scarano e Devastato e
l’anno successivo, sotto la guida del teorico del
“gioco corto” Corrado Viciani, beneficia della
ristrutturazione dei campionati, conquistando un posto utile
fra le prime 12 per poter far parte del nuovo campionato di C1.
È festa grande in città.
Lo scandalo di Minnie Minoprio
È del 1978 lo “scandalo in
piazza Duomo”, che fece parlare giornali e rotocalchi
nazionali. La cantante e ballerina Minnie Minoprio si esibisce
in abiti succinti in occasione dei festeggiamenti per la
Madonna dell’Olmo. Si indigna il vescovo Alfredo Vozzi,
che in un pubblico manifesto “denuncia il tradimento
fatto dal Comitato dei festeggiamenti alla fiducia e alla stima
dell’autorità ecclesiastica”. La
città si divide in due fra i sostenitori della show girl
e coloro che condividono l’indignazione del vescovo.
Terremoto: solo un ricordo?
Chi può dimenticare quel famoso 23
novembre 1980: in 90 secondi furono sconvolte due regioni. Cava
pagò anch’essa il suo pesante tributo di vittime e
di danni; e lo sta ancora pagando.
Chi può dimenticare l’ultimo
piano del palazzo Palumbo che crollava sugli ignari passanti
dediti allo struscio in piazza; l’Istituto Tecnico
tagliato a metà ed i palazzi di via Vittorio Veneto e
Prolungamento Marconi sventrati più
dall’irresponsabilità di qualche costruttore che
dalle bizzarrie del sisma; il Duomo e le tante altre chiese
distrutte; e poi gli accampamenti notturni dei giorni
successivi; le affannose opere di soccorso e di assistenza; la
distribuzione di tende, coperte, cibo e vestiario; le
requisizioni di locali pubblici e privati; le perizie tecniche,
i prefabbricati e i fondi vanamente attesi; insomma, in una
parola, la “ricostruzione”, quella confusa miscela di promesse progetti,
interventi, inadempienze, illegalità, speculazioni ed
altro che ha trascinato il dopo-terremoto per tutto il decennio
e che ha lasciato il segno anche sugli anni ‘90. Chi
può dimenticare tutto questo?
Un volto nuovo, anzi vecchio!
Dopo gli anni ‘70, caratterizzati
politicamente da amministrazioni comunali elette con i voti del
Movimento Sociale, maggioranze assolute democristiane incapaci
di amministrare, al punto di far nominare un Commissario
prefettizio, sindaci che si servivano del timbro del Comune per
gli inviti di nozze del proprio figlio ed, addirittura,
un’amministrazione di sinistra, unica nella storia di
Cava, gli anni ‘80 ci hanno riservato, al contrario,
un’insolita stabilità, con un unico sindaco e
l’asse di ferro Dc-Psi, almeno fino a quando il partito
di maggioranza non ha deciso di cambiare partner nella
quadriglia delle alleanze, scegliendo il Pri.
Il volto nuovo degli anni ‘80
è stato... Eugenio Abbro, alla guida della città
dal trauma del terremoto fino al nuovo decennio. Leader
assoluto ed indiscusso era anche prima, negli anni ‘70
(ma anche ‘60 e ‘50), primo responsabile del bene e
del male della nostra valle, ma un seggio alla Regione lo aveva
costretto ad essere fisicamente meno presente. Negli anni
‘80 ha preferito rinunciare alla poltrona napoletana,
ancorandosi saldamente a quella del Palazzo di città.
Non è stato un atto di estremo coraggio: per un posto di
sindaco, c’è chi è disposto a lasciare
quello di Ministro.
Piani triennali: dal palazzetto al
velodromo
Le Amministrazioni comunali degli anni
‘80 hanno redatto faraonici piani triennali, che, se
fossero stati realizzati, avrebbero fatto di Cava una cittadina
esemplare. I libri dei sogni prevedevano, tra l’altro: la
realizzazione del trincerone, la pavimentazione, il recupero e
la chiusura al traffico del centro storico, una strada che
isolasse il centro di Cava dall’insostenibile traffico
tra Nocera e Salerno, attraverso un tunnel sotterraneo dal
bivio per Pregiato al ponte del vecchio mattatoio, e che
proseguisse attraverso un nuovo viadotto che allontanasse le
auto dall’ospedale; e poi ancora, parcheggi sotterranei
in piazza S. Francesco e piazza Roma, la costruzione
dell’ormai fantomatico palazzetto dello sport, di una
piscina coperta, di tante palestre polivalenti e di un
velodromo, quest’ultimo in località Passiano.
Trascorso il decennio, di questi
pretenziosi progetti abbiamo visti realizzati solo mezzo
trincerone, tra l’atro non finito, e le mura di una
piscina coperta che non verrà mai aperta.
Niente male come risultato.
Ma che c’entrava Simonetta?
Nei dieci anni da ricordare,
c’è purtroppo anche il tragico omicidio di
Simonetta, figlia del giudice Lamberti. Era il 29 maggio 1982
ed, intorno alle 15, Simonetta tornava a casa dal mare insieme
al padre. Gli assassini si affiancarono all’auto del
giudice mentre questi transitava sulla Nazionale
all’altezza di via della Repubblica, e spararono. Il
giudice rimase ferito, ma la breve vita di Simonetta
finì lì.
La città rimase sconvolta. Cava,
fino a quel momento si era sempre dichiarata fuori dai traffici
di camorra che insanguinano la nostra regione.
L’attentato di quel giorno provocò l’unanime
reazione di sdegno della cittadinanza. Gli esecutori
dell’infame gesto furono poi arrestati.
Di Simonetta oggi rimane
l’intitolazione dello stadio e di un’aula della
Pretura e tanti premi e trofei istituiti in suo ricordo. E
rimane una domanda angosciante che tutti ci poniamo:
perché Simonetta?.
Non rimane più la lapide fatta
erigere, su iniziativa di “Il Pungolo” e con i
contributi dei lettori, nel punto dove la sua vita è
stata spezzata: i lavori del trincerone l’hanno spazzata
via e non è inutile oggi appellarsi alla
sensibilità civile per far sì che venga
ripristinata la scultura che il direttore Filippo D’Ursi
aveva fortemente voluto, affinché la città non
dimenticasse.
Cavese: il sogno e l’incubo di una
vittoria a S. Siro
Mai decennio fu più movimentato.
Era cominciato nel migliore dei modi: nel campionato 1980-81 la
Cavese conquistava la serie B. Fu un avvenimento storico, che
coinvolse tutti, sportivi e non, in un sogno bello ed
eccitante. Ci abbandonammo a quel sogno che però,
realisticamente, credevamo sarebbe durato l’arco di un
solo campionato. Invece la Cavese si comportò benissimo
e nell’anno successivo ancora meglio. Gli aquilotti
sfiorarono addirittura il balzo in Serie A, in un campionato
esaltante e per niente facile, nel quale la squadra biancoblu
si confrontò con Lazio, Bologna e Milan. Il trionfo a S.
Siro è ancora davanti ai nostri occhi. E quel ricordo
abbagliante ci ha accompagnato negli anni successivi del
declino, dal ritorno in C1, fino al baratro del totonero e alla
mortificazione della retrocessione in C2 per illecito sportivo,
al rischio di scioglimento della società, alle illusioni
della riscossa, alla rifondazione con l’adozione del nome
dei momenti difficili: Pro Cavese.
Al di la dell’evento calcistico, tre
anni di serie B hanno giovato molto a questa città, sia
a livello economico, che promozionale, di immagine e di
crescita civile.
Quel bel sogno è finito ed è
diventato un incubo. Gli sportivi oggi si chiedono: torneremo
grandi? Occorrono denaro, organizzazione e pazienza. Oggi
mancano tutti e tre gli elementi essenziali; ma oggi basterebbe
un po’ di fortuna e alcuni risultati positivi, per
ritrovarli.
La città dice loro: grazie!
Occorre ricordare quattro concittadini che
hanno lasciato il segno nella nostra città nel corso
della loro vita, quattro persone scomparse nel corso del
decennio.
Il primo è Gino Palumbo, giornalista.
Lasciò Cava giovanissimo, scrisse per “Il
Mattino”, fondò e diresse “Sport Sud”,
fu direttore responsabile ed editoriale de “La Gazzetta
dello Sport”, diresse “Il Corriere della
Sera”. E’ rimasto di lui il ricordo, non solo a
Cava, ma anche e soprattutto nel resto d’Italia, come una
delle maggiori figure del giornalismo italiano di tutti i
tempi.
Il secondo è Armando Di Mauro.
Fondò le Arti Grafiche Di Mauro e le rese uno delle
maggiori aziende del settore a livello nazionale. Le sue
referenze: centinaia di dipendenti, due grossi stabilimenti a
Cava e uno a Reggio Emilia; commesse da tutta Italia; altissimi
livelli di produttività, tanto che in più di
un’ occasione negli anni ‘80 è stato
rilevato un assenteismo pari a zero.
Il terzo è Mario Amabile, figlio
dell’avv. Antonio che a Mario lasciò il grave
compito di portare avanti il Credito Commerciale Tirreno e il
Gruppo Tirrena Assicurazioni. E Mario fu degno della fiducia in
lui riposta e portò avanti con grande, intelligente
impegno entrambe le istituzioni.
Il primo è stata a lungo la
principale banca cittadina ed una delle più solide fonti
di occupazione locale. Il secondo è stato uno dei
maggiori gruppi assicurativi nazionali.
Infine, l’ultimo dei quattro
personaggi scomparsi è il più vicino al cuore di
tutti i cavesi, senza nulla togliere ai tre precedenti: Mamma Lucia.
Andò pressoché da sola a
cercare, prima nelle campagne intorno a Cava e poi in tutta la
provincia, i corpi di tanti “figli di mamma” morti
in guerra e lì abbandonati. Ne recuperò a
centinaia. Quasi tutti furono identificati e restituiti ai loro
cari. Si recò ella stessa, su invito del governo
tedesco, a consegnare alle famiglie gli oggetti personali che
aveva ritrovato sui corpi delle giovani vittime della guerra.
Il coraggio, l’amore verso il
prossimo, la carità cristiana furono in lei immensi,
all’indomani di una guerra nella quale il sentimento
imperante era quello dell’odio, che distrusse
l’intera Europa.
Su di lei hanno scritto ed hanno parlato
in tanti, da tutto il mondo. Giuseppe Marotta, l’autore
de L’ oro di Napoli, ha descritto un suo incontro con
lei, con emozione e partecipazione, e le ha dedicato un
capitolo nel suo libro “Le madri”.
Alla morte, la sua salma è stata
esposta in Municipio ed i cavesi si sono accostati
rispettosamente a lei per rivolgerle l’ultimo saluto e
ringraziamento. Nella bara Mamma Lucia ha portato con sé
i resti mortali dell unico «figlio di mamma» che
aveva voluto conservare, non avendone potuto individuare le
origini.
Mamma Lucia fu e sarà sempre un
esempio di amore che la città ed il mondo intero non
dovranno mai dimenticare.
Cava capitale della musica
Nell’arco di dieci anni, sul palco
del nostro stadio comunale, tra l’entusiasmo dei giovani
e le proteste dei benpensanti, ha fatto la passerella il meglio
della musica contemporanea di tutto il mondo. Basta citare
alcuni nomi, a cominciare dai nostrani: i Pooh, Bennato,
Battiato, Baglioni, Pino Daniele, Lucio Dalla, Cocciante,
Teresa De Sio, Vasco Rossi, Zucchero, Antonello Venditti; fino
alle più grandi star internazionali, quali Pink Floyd,
Bob Dylan, Duran Duran, Spandau Ballet, U2, Dire Straits e
tanti altri ancora.
Una banca in espansione
Anche per il Credito Commerciale Tirreno,
gli anni ‘80 sono stati importanti e segnati da una
sensibile espansione. Oltre agli uffici di Nocera Superiore e
Marina d’Ascea, che hanno inaugurato nel decennio nuove e
più confortevoli sedi, e allo sportello estivo di
Acciaroli, ne sono stati aperti altri a Solofra, importante
centro per l’esportazione internazionale di pellami, ed a
Salerno. Un altro sportello sarà poi aperto a Napoli.
Anni Ottanta: dieci anni di ricordi belli
e brutti della nostra città. Oltre alle vicende secondo
noi più eclatanti che abbiamo qui descritto, la mente va
anche a tanti altri episodi che hanno caratterizzato un
decennio di vita. Ritornano in mente i morti per overdose e le
prime vittime dell’Aids. Giovani vite spezzate dal vuoto
che avevano dentro, dagli interessi che non avevano saputo o
potuto trovare in questa città. In dieci anni sono stati
chiusi due cinema su quattro e uno di questi era anche teatro.
Il tempo libero dei giovani sempre più si consuma lungo
il corso principale, in mancanza di alternative valide.
Negli anni ‘70 una radio locale
parlava di Cava come di una città che cresce.
Sarà forse cresciuta Cava anche negli anni ‘80, ma
la sensazione epidermica è che lo abbia fatto in peggio.
Ampie parti relative agli avvenimenti
degli anni Settanta sono tratte dal libro “Cava de’
Tirreni Stazione di Soggiorno” di Raffaele Senatore
Editrice San Gerardo1997.
La parte relativa agli anni Ottanta
è tratta dall’articolo intitolato “Cosa
resterà di questi anni ’80” di Enrico
Passaro, pubblicato sul n. 6 del 21 febbraio 1990 di “Il
Pungolo”.
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