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storia
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poi il fascismo, i tedeschi, gli alleati
e le macerie
Arriva il tram sulla “Via
Nova”
Nell’agosto del 1909 sotto il
sindaco Guglielmo Mascolo fu inaugurato il tratto Salerno - Cava della
Tranvia Elettrica della Provincia di Salerno (TEPS) costituita
nel 1906 come società anonima di nazionalità
belga. Il primo convoglio, formato da una motrice e da un
rimorchio imbandierati e carichi di personalità,
arrivò alla stazione terminale dell’incrocio di
Via Municipio con la Via Nova, strada questa, la quale era
stata costruita nel 1906 appositamente come variante al Corso,
per evitare che il traffico pesante passasse nell’interno
del Borgo, e per rendere possibile il transito ai grossi
convogli tranviari. Il Comune offrì un ricco buffet agli
invitati alla inaugurazione. Per l’ulteriore
prolungamento della linea verso Pompei, fu impiantata una
sottostazione elettrica in un capannone costruito accosto al
macello in via Caliri. Nel 1912 la tranvia fu acquistata dal
cavese Michele Coppola, che la gestì per molti anni e poi la
vendette alla SAIM, società anonima costituita da Carmine De Martino per
la coltivazione e cura del tabacco nella piana di Salerno. Con
la nuova gestione di De Martino la tranvia si tramutò in
filovia, dapprima fino a Pagani, poi fino a Pompei, poi estesa
fino a Battipaglia, a Sanseverino e, con gli autobus, fino a
molte altre zone intorno Salerno.
Alla SAIM nel secondo dopoguerra si
sostituì dapprima la SO.ME.TRA. (Società
Meridionale Trasporti) e poi l’ATACS (Azienda Trasporti
Autofiloviari Consorzio Salernitano) costituita da un Consorzio
tra l’Ente Provincia ed i Comuni serviti dalla rete di
filobus ed autobus.
Sotto il sindaco Mascolo fu anche
costruito il lazzaretto nella frazione Dupino, per isolare
dalla città gli ammalati di mali epidemici e contagiosi.
Una manifestazione di colera si ebbe nello stesso anno, e poi
nel 1918 si ebbe la famosa epidemia di febbre detta
“spagnola”, che portò in pochi giorni alla
tomba molti giovani cavesi di ambo i sessi.
Nuovi fabbricati
Fino al 1910 l’edificazione di nuovi
fabbricati al borgo fu pressoché nulla essendosi
limitati i proprietari delle vecchie case ad effettuare
soltanto dei sovralzi. Purtuttavia avemmo la costruzione dei
palazzi Di Marino dietro al Vescovado, la costruzione del
palazzo Coppola al lato della Chiesa di S. Rocco sul Corso, e
degli altri palazzi lungo il vicolo S. Rocco. Il palazzo Baldi
in quel vicolo era stato già costruito prima del 1900 da
Paolo Marino Baldi. armiere, il quale era venuto a Cava da
Pozzuoli, dove già aveva avuto una fabbrichetta che
aveva fornito armi a Garibaldi.
Nel 1912 venne edificato in legno il
Cinema Moderno nel terreno di Vincenzo
Siani di fronte al palazzo Della
Corte, e Vincenzo Di Mauro costruì il primo palazzo a destra
di Via Atenolfi salendo dal Corso. Le Ferrovie dello Stato
estesero il raddoppio del binario da Nocera fino a Cava, e
qualche anno dopo lo allungarono fino a Salerno. Il sistema di
trazione ferroviaria fu elettrificato nel 1938 fino a
Battipaglia.
Morti e decorati nella guerra libica
Alla guerra libica del 1912 i cavesi
parteciparono in numero di 140 soldati oltre agli ufficiali, e
tutti si distinsero per disciplina e valore. In quella campagna
furono decorati con medaglia di argento i tenenti Nicola Cimino, Enrico Papa e Vincenzo Apicella;
con medaglia di bronzo il capitano Luigi
Parisi e Camillo Olioli, il
sottotenente Umberto Mandoli ed il bersagliere Vincenzo
Trabucco; ebbero encomio solenne i
soldati Gerardo Cortone, Nicola Coppola e Vincenzo Baldi. Unico cavese che vi perdette la vita fu il
soldato Francesco Troiano, amato fratello della madre di chi scrive
queste note. Un valoroso medico Dott. Emilio Santoli, cavese di
adozione, che aveva già partecipato alla guerra di
Eritrea, morì appena rientrato a Cava dalla guerra
libica nel 1913, per malattia contratta nel deserto.
La Manifattura grazie a De Marinis
Nel 1912 si verificò un fatto di
vitale importanza nella economia della nostra vallata: la
istituzione da parte dell’Amministrazione dei Monopoli di
Stato della Manifattura dei Tabacchi a Cava nell’ex
fabbricato del Conservatorio di S. Maria del Rifugio a Viale
Crispi, che il Comune vendette in quell’occasione allo
Stato. La istituzione della Manifattura a Cava fu dovuta
all’interessamento del cavese Enrico De Marinis,
deputato al Parlamento e Ministro della Pubblica Istruzione.
Questa industria di Stato ha dato e dà pane a centinaia
e centinaia di famiglie cavesi.
Cava fu avvampata anche essa
dall’entusiasmo per l’ultima guerra
dell’lndipendenza. Fu fatta molta propaganda nelle
scuole, ed il fervore fu grande, specialmente tra i giovani,
alcuni dei quali partirono volontari prima che la loro classe
venisse chiamata alle armi.
La città dette in olocausto alla
patria in quella guerra ben 244 giovani vite tra ufficiali e
soldati, caduti sul fronte per l’adempimento del loro
dovere; altri 105 cavesi morirono successivamente per causa di
guerra, e numerosi altri ne portarono le stimmate di
mutilazioni e menomazioni per tutta la vita. Sette caduti
furono decorati con medaglia di argento alla memoria: i
sottotenenti Rosario Senatore, Giovanni Bassi, Francesco Alfieri; i tenenti Gaetano
Accarino, Francesco Vecchione, Adolfo Casaburi; i
capitani Osvaldo Galione e Umberto Mandoli. Alla memoria di ciascuno di essi fu intestata
una strada cittadina, così come molte altre strade
furono intestate ad altri caduti.
Il Monumento ai Caduti
La città di Cava ha avuto devoto il
culto dei suoi morti in guerra. Nel 1921 raccolse le spoglie di
40 di essi nella Cappella votiva che venne appositamente eretta
nel Duomo; ed innalzò a memoria in Piazza Roma il
Monumento della Vittoria Alata, che fu opera dello scultore
napoletano Francesco Ierace, e fu inaugurato il 9 Giugno 1929
con l’intervento del re Vittorio Emanuele III.
Verso il 1920 incomincia ad avere
incremento a Cava il gioco del calcio. Prima della costruzione
del campo sportivo “Arena”, i giovani calciatori
disputavano le loro partite in piazza S. Francesco, la quale il
mercoledì mattina serviva da campo boario per un mercato
che era rinomato e frequentato da tutta la provincia. Il
mercato boario passò dopo il 1930 giù a Via
Mazzini, dove fu appositamente creato un adatto stanziamento,
ma da allora incominciò anche la fine dello stesso
mercato, non dovuta tanto all’assorbimento che ne fece il
mercato di Nocera Superiore . aperto nel dopoguerra, quanto
all’abbandono dell’allevamento del bestiame bovino
da parte dei nostri agricoltori, sia perché il terreno
veniva ad essi sottratto dall’incremento edilizio, e sia
per le troppe cure che l’allevamento comportava. Prima di
allora non c’era agricoltore, per quanto piccolo fosse il
suo terreno, che non allevasse almeno una mucca.
L’Unione Sportiva Cavese sorse nel
1920. A quelI’epoca gli atleti erano rappresentati tutti
da elementi locali. Allora il calcio si intendeva veramente
come uno sport e non come uno spettacolo. La prima squadra era
costituita dal portiere Pasquale
Garzo (altro portiere molto
apprezzato era Ippolito Canonico), dai terzini Benedetto
Iovane e Raffaele Carratù (u
purciello), dagli alfi Alfonso
Rodia, Alfonso
Avigliano, Mario Luciani e Umberto Guida
(fitecchia); dagli attaccanti Ciro
Carleo (u lepre - ala sinistra), Gaetano Accarino
(palluccella), Vittorio Garzia, Enzo e Franco Pagliara, Giuseppe Gagliardi (‘a signurina) e da Sabatino.
In quel periodo i commercianti locali
incominciarono ad arricchirsi ed a diventar sostenitori dello
sport del calcio. La squadra di calcio diventò un
orgoglio paesano, e si pensò di rinforzarla con elementi
più qualificati, che si fecero venire addirittura dalla
Ungheria e dalla Cecoslovacchia: tra gli altri Minter,
ungherese, e Steiscal, cecoslovacco. Così la Cavese
stava per vincere il campionato del centro sud, e fu fermata
solo dal Savoia di Torre Annunziata, che era l’abituale
vincitore del campionato, e che quell’anno fu battuto dal
Genoa nell’incontro nazionale.
Il campo Palmentieri
Poi la floridezza delle economie locali
incominciò a scemare anche per effetto della crisi
economica mondiale, e la Cavese sopravvisse alla men peggio. Il
campo sportivo fu spostato dapprima in un terreno sotto S.
Martino, poi nel terreno a sud del vicolo del Purgatorio, e fu
intitolato a Franco Palmentieri, caduto nella guerra di Spagna. Dal 1940 al
1942 i campionati di calcio rimasero sospesi in tutta Italia ed
il campo sportivo di Cava fu dismesso.
Nel secondo dopoguerra lo Stato provvide a
costruire un nuovo campo sportivo in Via Mazzini, accanto al
campo boario, e la Cavese riprese la sua attività in
serie D. Successivamente il Comune con i contributi dello
Stato, utilizzando lo stesso campo e l’attiguo campo
boario non più usato per il mercato del bestiame, ha
costruito lo stadio per ventimila spettatori, con pista per le
altre gare.
Il
periodo fascista
A quell’epoca le organizzazioni
politiche a Cava erano costituite dal Partito Popolare dei
cattolici, che deteneva la maggioranza consiliare al Comune;
dalla Sezione della “Giordano Bruno”; da una folta
rappresentanza del Partito Repubblicano, costituita da elementi
che più che un’organizzazione seguivano
un’idea; dall’Associazione dei Combattenti, che
raccoglieva tutti i reduci di guerra sfiduciati dal caos che
avevano trovato rientrando nella vita normale. Si
costituì anche una formazione di nazionalisti, con le
camicie azzurre, guidata dal maggiore Andrea Formosa. Segretario
del Partito Popolare era l’attivissimo Dr. Fortunato Pisapia,
farmacista; e Sindaco di Cava il popolarissimo ed amatissimo
Prof. Raffaele Baldi.
Cava dette anche un legionario fiumano
nella persona del Dott. Enzo
Malinconico, medico, il quale
seguì da volontario Gabriele D’Annunzio nella
liberazione di Fiume.
I giovani allora erano organizzati
dall’Associazione Scautistica Cattolica Italiana, guidata
a Cava da quell’impareggiabile e pio sacerdote che fu il
Prof. Mario Violante, collaborato dagli istruttori Giovanni Bisogno, Lelio Galatei e Mario Paolillo. Gli
esploratori cattolici (esploratori dai 12 ai 18 anni e lupetti
fino ai 12 anni) saranno soppressi quando la legge italiana
istituirà come unica organizzazione giovanile
l’Opera Nazionale Balilla.
Altra pia istituzione cavese fu quella del
Commissariato del Popolo che l’angelico sacerdote Prof. Giuseppe Trezza mantenne
in vita, sia pure soltanto col lavoro personale, per tutto il
periodo fascista e dopo, soccorrendo gli infelici con ogni
espediente e per ogni occasione.
La cosiddetta rivoluzione fascista non
ebbe in Cava alcun episodio di rilievo. Non ci furono
squadristi, né antemarcia, ed alla marcia su Roma
partecipò uno studente ginnasiale che fece piuttosto una
scappata quando vide passare per Cava il treno delle camicie
nere diretto a Roma. Né si verificarono a Cava violenze
alle persone: fu fatta scoppiare una bomba sotto al palazzo ai
Pianesi dell’allora sindaco Prof. Raffaele Baldi per indurlo
a passare dalla parte fascista. fu saccheggiato il Circolo
dell’Unione di cui era presidente l’Avv. Pietro De Ciccio. Ci
fu ogni tanto qualche scenata in cui volò qualche
scapaccione o qualche ceffone, ma non ricordiamo che ci fossero
state purghe di olio di ricino che i fascisti davano agli
antifascisti. Alcuni elementi che notoriamente erano stati
socialisti, furono presi e trattenuti in camera di sicurezza
per diversi giorni ogni volta che a Cava si svolgeva qualche
importante manifestazione fascista o passava per ferrovia
Benito Mussolini o Vittorio Emanuele III o qualche componente
della famiglia regale o qualche pezzo grosso del fascismo.
L’iniziativa di costituire il Fascio
a Cava fu presa da alcuni giovani, i quali elessero a
Segretario Politico l’allora conte Andrea Genoino. Egli
però non si curò di portare l’atto
costitutivo alla Federazione di Salerno; cosa che invece fece Alessandro Volpe che
a sua volta aveva costituito un altro Fascio ottenendone il
riconoscimento. Immediatamente dopo, però, la
Federazione di Salerno intervenne, dichiarò irregolari
l’una e l’altra costituzione, ed organizzò a
sua volta la Sezione ufficiale, della quale fu eletto
Segretario il Prof. Francesco
Santoro, già preside del
nostro Ginnasio. Egli tenne la carica per molti e molti anni
fino a diventarne quasi una istituzione.
Le elezioni amministrative del 1924, che
furono svolte nel clima e nelle modalità in cui si
svolsero quelle elezioni in tutta Italia, portarono al Comune
la lista del Fascio Littorio con alla testa il Sindaco notar Arturo Della Monica,
il quale nel 1926 fu nominato Podestà, quando il
Fascismo sostituì il sistema elettivo delle
amministrazioni locali con quello della nomina diretta da parte
del Governo.
Il notar Della Monica mantenne la carica
fino al 1937, quando, per la insofferenza manifestata
specialmente dai giovani universitari, fu invitato a dare
spazio ad altri.
Gli assessori eletti nella Lista del
Littorio nel 1924 furono l’Avv. Giuseppe Bisogno,
I’Avv. Giovanni Amabile, Carmine Giordano, il Dott. Carmine
Monica, Guglielmo Benincasa e Giulio Della Corte.
La ripresa della villeggiatura
Dal 1925 Cava tentò di riprendere
il vecchio ruolo di centro di soggiorno e villeggiatura estiva
con varie iniziative per attrarre i forestieri, e soprattutto
mantenendo pulita la città. Nel 1926 essa ottenne il
Decreto Ministeriale che la dichiarava Stazione di Soggiorno,
Turismo e Cura; fu la prima città della Campania ad
ottenere tale riconoscimento e la quinta in tutta Italia. E
francamente dobbiamo dire che tale ruolo riuscì a
mantenere onorevolmente fino alla seconda guerra mondiale.
La Casa del Balilla fu inaugurata anche
essa da Vittorio Emanuele III quando venne a scoprire il
Monumento ai Caduti. La Casa fu costruita su suolo della Villa
Comunale dal Fascio locale, il quale impose ai nostri contadini
coltivatori di tabacco di devolvere
“volontariamente” qualche chilogrammo del loro
raccolto per la costruzione dell’edificio, che fu donato
all’Opera Nazionale Balilla.
Dalla Casa del Balilla al C.U.C.
La Casa del Balilla fu colpita dagli obici
della marina nel Settembre del 1943 e stava per essere
addirittura rasa al suolo da vandali per ricavarne materiale
per la riparazione di altri edifici. Chi scrive queste note,
fece in tempo a richiamare, insieme con Alberto Accarino,
l’attenzione delle autorità dell’epoca ed a
salvare così l’edificio, il quale però
venne ricostruito solo nel 1953, perché con la caduta
del Fascismo la Casa del Balilla, come tutti gli altri beni
fascisti, passò in proprietà dello Stato, e
soltanto nel 1953 il Comune potette riacquistare per un prezzo,
sia pure simbolico, la proprietà di quello che era
già della città. Dopo la ricostruzione la Casa fu
concessa in locazione ai giovani del Club Universitario Cavese
dalla maggioranza consiliare. Avverso tale concessione fu
proposto reclamo dalla opposizione, ma esso fece la fine che
han fatto in questa democrazia tutti i reclami delle
opposizioni.
Il terremoto del ’30
Nella notte tra il 22 ed il 23 Luglio 1930
ci fu una forte scossa di terremoto. Altra scossa memorabile
dovette essere quella del 17 Novembre 1857. Dalla scossa del
1930 furono lesionati quasi tutti i palazzi del Borgo e si
dovettero puntellare, e quindi si dovettero rinforzare le
fondazioni. Si ebbero delle repliche di assestamento e
l’immagine della Madonna dell’Olmo fu portata in
processione per Cava perché scongiurasse danni maggiori.
Via XXV Luglio per le filovie
La tranvia Salerno - Pompei fu tramutata
in filovia nel 1938, quando fu inaugurato il primo tratto
Salerno - Pagani. Era allora Podestà di Cava
l’ammiraglio Francesco Accini. Fu, per l’occasione, costruita la
variante stradale (ora Via XXV Luglio) tra la Stazione
Ferroviaria e le Taverne Vecchie, per consentire che le vetture
filoviarie di grossa mole potessero avere un percorso
rettilineo. Fu, inoltre, aperto il deposito delle vetture
filoviarie in Via Mazzini, dove tuttora esiste di fronte
all’Edificio delle Scuole Elementari.
Nel 1939 fu anche aperta, col nome di Via
degli Aceri, la congiungente di Via Mazzini con la Statale n.
18. Dopo di che l’edificazione a Cava fu paralizzata
dalla seconda guerra mondiale.
Illusione mondana durante il fascismo
Da quanto da noi esposto si vede che Cava
nei primi quarant’anni di questo secolo era rimasta
pressoché la stessa del secolo scorso una città
costituita maggiormente da villaggi, e vivente a tipo
patriarcale, in prevalenza dei prodotti dei campi, che erano
sfruttati con maestria dai nostri valenti agricoltori. Intanto
però la popolazione era cresciuta e si era fatto sentire
il disagio della penuria di case. I giovani che contraevano
matrimonio dovevano aumentare i componenti dell’una o
dell’altra famiglia, perché non si trovavano case
di abitazioni libere, né se ne costruivano.
In buona sostanza durante il fascismo Cava
si trastullò con gli ultimi sprazzi della villeggiatura,
beandosi di ricordi e di illusioni, e giuggiolandosi di essere
il centro della vita mondana della provincia di Salerno.
Salerno allora era ancora un grosso paesone che non aveva altra
fortuna se non di essere il centro di tutta la vita
amministrativa della provincia.
Fine degli antichi mestieri
La fine delle antiche arti e degli antichi
mestieri locali incominciò a portare la decadenza anche
di Cava come centro commerciale e culturale. In passato, quando
i piccoli commercianti dei paesi lontani della provincia di
Salerno e della Basilicata venivano ancora qui per i
rifornimenti di tessuti, ne approfittavano per acquistare anche
tutto l’occorrente per i loro empori paesani,
dall’ago agli attrezzi per l’agricoltura e per
tutti i mestieri. Venuto meno il commercio cavese dei tessuti
all’ingrosso e sviluppatosi il trasporto ferroviario,
quelli della Bassa Italia videro più comodo proseguire
in treno fino a Napoli, dove trovavano un mercato più
ampio ed anche più conveniente. E poiché il ruolo
di Cava come centro di cultura era stato nesso e connesso al
suo commercio, gli studenti forestieri incominciarono ad
abbandonare anche essi Cava, rimanendo fedeli soltanto alle
Scuole del Monastero della SS. Trinità, perché ad
esse era annesso il collegio che sottraeva gli allievi dalle
distrazioni mondane. A poco a poco gli ultimi commercianti
all’ingrosso cavesi si trasferirono a Napoli, e Cava
perdette l’antico ruolo, il quale poi sarà
acquistato da Salerno dopo la seconda guerra mondiale, quando,
con lo sviluppo dei mezzi automobilistici di comunicazione, i
commercianti del Sud della provincia troveranno più
comodo e speditivo fermarsi per i loro acquisti a Salerno
anziché raggiungere Napoli.
Mobilitazione per le colonie
Quando esplose l’enfasi guerriera
fascista anche Cava fu travolta dalla generale imbonitura e
sopportò anche essa “volontariamente” tutti
i sacrifici che le furono imposti, e
“volontariamente” ne subì tutte le
conseguenze. Nel febbraio del 1935 partirono da Napoli i primi
battaglioni delle camicie nere e Mussolini annunziò una
serie di provvedimenti per la sicurezza delle nostre colonie in
Africa Orientale. Il 31 Maggio venne ordinata la mobilitazione
di sei divisioni in Italia per garantire la difesa delle
colonie. A Cava de’ Tirreni si concentrarono i
battaglioni libici della divisione “Tre Gennaio”; i
battaglioni arrivarono il 30 Giugno e furono accolti con una
grande manifestazione delle organizzazioni fasciste, anche se
quel pomeriggio fu tormentato da una pioggia quasi torrenziale.
La “Tre Gennaio” rimase per alcuni mesi allogata a
Pregiato ed a Dupino e poi partì per l’Africa
Orientale. Nella guerra contro l’Etiopia caddero i cavesi:
serg. Giuseppe Guarino, marin. Gennaro
Baldi e sold. Vincenzo Senatore.
Ringhiere donate alla Patria
Il 18 Novembre 1935 la Società
delle Nazioni deliberò di imporre all’Italia le
sanzioni economiche consistenti nell’escluderla dagli
scambi internazionali. Il fascismo fece appello allora al cuore
degli italiani, i quali “ volontariamente” come
dicevano le notizie ufficiali del regime, presero a donare oro
e fedi coniugali), argento, rame (gli utensili di cucina),
lana, ferro ecc. alla Patria. Allora furono tolte le ringhiere
di ferro, anche di valore, a tutte le ville di Cava e
sostituite con manufatti di muratura.
Sacrificati per il Caudillo
In Ispagna scoppiò la guerra
civile, e Germania ed Italia sottobanco parteggiarono per il
falangismo del generale Francisco Franco, e gli inviarono
aiuti. E così anche “volontariamente”
partirono trentaquattro cavesi per andare a combattere su terra
spagnuola nelle file dei “legionari”. Nella tragica
rotta di Guadalajara in Ispagna caddero i due cavesi più
generosi, il capomanipolo Francesco
Palmentieri e Mario D’Andria. Si
seppe poi che il capomanipolo Palmentieri si era sacrificato
per consentire ai suoi commilitoni la ritirata, e che
D’Andria ne aveva seguito la sorte perché troppo
attaccato a lui. Ed in combattimento aereo nel cielo di
Saragozza cadde nell’aprile del 1937 il sergente maggiore
Lanfranco Trincia. In Ispagna caddero anche Alessandro Milito e Pacifico Sorrentino.
Nel 1940 entrammo in guerra perché
pareva che, con l’invasione della Francia da parte della
Germania la guerra stesse lì per lì per finire, e
Mussolini voleva assidersi da vincitore anche lui al tavolo
della pace. Ma gli alleati contro la Germania non capitolarono,
e ci trovammo anche noi coinvolti nella seconda guerra
mondiale, nella quale tutta la gioventù cavese fu
inviata su ogni fronte a macerarsi in odi che i più non
sentivano, ed in audacie che non si giustificavano, tra il
freddo congelante delle lunghe invernate della Russia ed il
fuoco rovente delle sabbie del deserto africano.
Nel Marzo del 1941 giunse notizia della
morte dei primi due giovani cavesi: il marinaio elettricista Giuseppe Ronca ed il
marinaio fuochista Antonio Adinolfi.
Il bilancio dei nostri militari caduti
nella seconda guerra mondiale è stato di undici
ufficiali e 199 tra graduati ed uomini di truppa di fanteria e
di ogni specialità, oltre ad un’altra ventina di
cui all’Associazione caduti in guerra non è stato
ancora possibile rilevare le generalità. Qui per
brevità diamo l’elenco dei soli ufficiali: Magg. Marcello Garzia;
Capt. Pietro Guerritore e Capt. Celestino
Rosati; Ten. Francesco Carillo, Ten. Arturo Guerritore.
Ten. marin. Andrea Mele, Ten. Francesco
Spedalieri; Sottotenenti: Luigi Marciano, Michele Pellegrino, Giuseppe Senatore e Mario Senatore.
Tempo di guerra
Durante la prima fase della seconda guerra
mondiale, Cava apparve quasi spopolata, perché tutti i
suoi figli delle classi giovani erano stati chiamati alle armi.
Per procurare il ferro alla Patria fu
anche tolta la ringhiera della fontana di Piazza Duomo, mentre
il terreno dell’aiuola e quello della villa comunale e
degli altri spiazzi verdi pubblici, furono tramutati in
“orticelli di guerra” per combattere la guerra
alimentare. Furono costruiti in Piazza Roma, in Piazza S.
Francesco e presso la Stazione Ferroviaria, i rifugi antiaerei
lunghi tunnel di cemento armato, che a tutto servirono,
fuorché a riparare la gente, la quale in caso di
necessità preferì sparpagliarsi per la campagna.
Furono altresì costruite le casermette in cemento per le
postazioni delle mitragliatrici.
All’inizio dell’estate del
1943, che fu definita e fu veramente la più lunga di
quante ne abbiamo viste, gli allarmi, specialmente di notte,
non furono più finti, e da Napoli e da Salerno
sottoposte alle incursioni aeree, si intensificò lo
sfollamento, sicché molti napoletani e molti salernitani
si rifugiarono a Cava. Il 21 Giugno ci fu il primo
bombardamento aereo a Salerno.
La caduta del Fascismo
La sera del 25 Luglio il comunicato della
caduta del fascismo e dell’arresto di Mussolini non fu
una sorpresa per alcuni che già avevano saputo,
attraverso le onde misteriose dell’insofferenza, che il
fascismo sarebbe caduto al rientro di Mussolini dal colloquio
avuto con Hitler a Feltre. L’indimenticabile Ugo Vatore,
giornalista del Popolo d’Italia e carissimo amico di chi
scrive queste note, era infatti sceso a Cava da Milano quattro
o cinque giorni prima, appositamente per organizzare le
manifestazioni popolari nel giorno della caduta del fascismo.
La mattina del 26 Luglio gruppi di
dimostranti indussero l’ultimo Podestà a
cancellare personalmente con calce le scritte fasciste sulle
pareti di piazza Duomo; fecero togliere dagli uffici comunali i
simboli e le fotografie del passato regime; occuparono la Casa
del Fascio, la Sede della Milizia e quella del Dopolavoro,
sfasciando i mobili ed incendiando le carte; furono aperte
anche le carceri. Nel pomeriggio fu costituita ufficialmente da
Ugo Vatore, Alberto Accarino, Giulio Brunetto, Pasquale Panza e chi scrive queste note, la sezione
cavese della Italia Libera, che già prima esisteva
soltanto nelle loro intese con altri.
Poi molti uffici pubblici di Salerno
incominciarono a trasferirsi a Cava, e non si dormì
più di notte, a cagione dei bombardamenti dal cielo, a
cui furono sottoposti gli impianti militari e la stazione
ferroviaria del Capoluogo di Provincia. Il colonnello Remo Ambrogi fu
nominato Comandante militare, il maggiore Alfonso Benincasa fu
nominato Commissario militare e l’Avv. Pietro De Ciccio fu
nominato dalla Prefettura Commissario civile del Comune; egli
chiamò in funzione di vice commissario l’Avv. Luigi Mascolo.
La popolazione si preparò ai tempi
duri che sarebbero venuti con l’avvicinarsi delle truppe
angloamericane, ed i commercianti più avveduti,
cercarono di trasferire una parte delle loro mercanzie nelle
abitazioni di riparo, che si erano procurate facendosi ospitare
nei villaggi.
Arrivano gli Americani
La sera dell’8 Settembre,
però, nell’ascoltare il comunicato
dell’Armistizio diffuso dalla radio, i più
credettero che per noi fosse venuta la fine della guerra; non
così noi che sapevamo che quello sarebbe stato il
preludio di maggiori sventure.
Nelle prime ore della notte, infatti,
ebbero inizio le operazioni di sbarco degli alleati nel golfo
di Salerno, e l’orizzonte meridionale di Cava
diventò tutto una fantasmagoria di scie di proiettili
traccianti e di razzi luminosi, con colpi di obici e di bombe
che avrebbero fatto pensare ad una colossale festa pirotecnica,
se l’ora non fosse stata terribilmente tragica.
All’apparire dell’alba gli alleati erano arrivati
alle porte di Cava ed una loro pattuglia ebbe un primo scontro
a fuoco con i tedeschi sul ponte di San Francesco. Una
camionetta inglese entrò perfino nell’abitato e
distribuì sigarette e cioccolata. Poi i tedeschi
concentrarono i loro carri armati lungo il Corso Umberto per
tenerli al riparo dalle batterie alleate dal mare, e
dall’aviazione dal cielo. La popolazione abbandonò
il Borgo e si rifugiò in massa nella Badia dei
Benedettini o si sparpagliò per la campagna riparandosi
nelle case coloniche.
Saccheggi e atti di abnegazione
I soldati tedeschi, per approvvigionarsi
di dolciumi e di sigarette, scassinarono le tabaccherie e le
pasticcerie, mentre i più spregiudicati della
popolazione fecero il resto, incitando i tedeschi a svellere
con i carri armati le porte di tutti i negozi. Alcuni cavesi,
infatti, in quel periodo persero addirittura la testa, e si
comportarono come se fosse venuta l’ora
dell’apocalisse e l’ordine pubblico non sarebbe
stato mai più ristabilito. Molti altri furono spinti al
saccheggio in buona fede, per procurarsi i viveri in quel
marasma in cui non era tanta la preoccupazione di scampare alla
morte, quanto quella di sopravvivere alla fame.
Fu saccheggiato il Molino ed il Pastificio
Ferro, e ne furono svuotati i grandi depositi di pasta e di
grano; furono svuotati i magazzini del Consorzio Agrario che
stavano nel vicolo Atenolfi, furono saccheggiati tutti i negozi
del Borgo. Una sola porta resistette agli strappi dei mezzi
corazzati, e fu quella massiccia che chiudeva la tabaccheria di
Piazza Duomo.
Qualcuno scattò fotografie dei
saccheggiatori, altri scrissero diari; ma le fotografie
sparirono compiacentemente dopo che fu ristabilito
l’ordine ed i colpevoli si sarebbero potuti punire; ed i
diari sono rimasti nei cassetti di coloro che li scrissero e
nel segreto dei loro eredi. Qualche saccheggiatore si
registrò anche tra chi pretese di aver fatto da
guardiano alle case del borgo abbandonate precipitosamente dai
loro proprietari.
Non mancarono, però, atti di
abnegazione e tentativi di mantenere l’ordine tra i
civili da parte dei più generosi. Alcuni civili furono
costretti dai tedeschi a lavori pesanti, pur sotto le
cannonate.
Nei venti giorni che durò la
battaglia su Cava, si contarono oltre seicento morti tra la
popolazione civile. Perì dolorosamente nella propria
abitazione, sprofondata per una bomba di aereo, anche il Prof. Raffaele Baldi,
insieme con una cognata ed un nipotino.
La spontanea reazione di altra parte della
popolazione alle truppe tedesche incominciò non appena
queste occuparono il Borgo con i carri armati ed i Villaggi con
postazioni di armi pesanti. Questa reazione si tramutò
altresì in collaborazione con le truppe alleate, alle
quali furon fornite tutte le indicazioni necessarie ad
infrangere la resistenza tedesca senza perdite da parte dei
liberatori.
Ultime rappresaglie tedesche
Quando gli anglo - americani scacciarono i
tedeschi che si erano attestati nel giardino dell’Hotel
Scapolatiello al Corpo di Cava, essi furono sollecitati e
guidati da ardimentosi, tra cui Edmondo
Manzo, Raffaele
Vaglia, Francesco Coppola, Carmine Bisogno, Costabile Virtuoso, Michele Di Marino e Mariano Granito: il
gestore dell’albergo e gli ospiti civili dello stesso,
avevano anche fatto fare bisboccia ai tedeschi fino ad ora
tarda, in maniera che all’alba, quando incominciò
l’azione alleata, questi si trovarono insonnoliti e presi
alla sprovvista: purtuttavia l’azione fu dura e ad essa
parteciparono anche gli ardimentosi innanzi indicati.
Alcuni tedeschi si erano portati nella
Frazione S. Cesareo per rastrellare giovani da deportare; ma il
salernitano Magg. Artg. Pasquale
Capone, che trovavasi in
convalescenza a Cava, si oppose, ed i tedeschi a colpi di mitra
uccisero il di lui padre Matteo ed alcuni agricoltori della
zona che avevano partecipato alla resistenza, quindi portarono
l’eroico ufficiale nella villa Cardinale, gli fecero
scavare la fossa e lo fucilarono.
Luigi Capuano fu
trucidato dai tedeschi perché in località S. Vito
non volle eseguire l’ordine da essi dato di caricare
della roba su di un camion.
Il cavese Mariano
Granito guidò gli
anglo-americani che da Cava andarono ad assaltare la postazione
tedesca che da Capriglia sparava sulle truppe alleate entrate
in Cava. L’assalto durò un giorno ed una notte, e
ad esso partecipò lo stesso Granito, il quale era stato
appositamente armato con un mitra.
Altri cavesi agevolarono ed aiutarono le
pattuglie anglo- americane ad eliminare gli ultimi focolai di
resistenza tedesca ed a farne prigionieri i componenti.
La mattina del 23 Settembre un carro
armato tedesco si accingeva a salire verso la Badia per una
azione di rappresaglia contro la popolazione ivi rifugiata; ma
nella strettoia che la strada fa a S. Arcangelo, non potette
proseguire oltre. Alcuni sconsiderati si fermarono a guardare,
ed i tedeschi del carro armato, adirati
dall’inconveniente o forse nell’intento di compiere
egualmente la rappresaglia, scaricarono su quegli sconsiderati
una sventagliata di mitragliatrice che uccise Domenico Russo, Pasquale Avella, Andrea Adinolfi e la
piccola Michelina Focarelli.
Ponti saltati in aria
Al nostro Cimitero dall’8 al 28
Settembre 1943 furono portati 125 salme, la maggior parte delle
quali decedute per colpi di arma da fuoco o per i
bombardamenti. I deceduti in quel periodo furono ben seicento,
molti dei quali dovettero indubbiamente perire per la
rappresaglia dei tedeschi, i quali non riuscirono a rastrellare
giovani da deportare in Germania perché la popolazione
era sparpagliata nelle campagne, e perché non ebbero
più la possibilità di accedere alla Badia quando
avrebbero voluto effettuare rastrellamenti.
Prima di abbandonare Cava i tedeschi
provvidero a distruggere i fabbricati del deposito del 400
Reggimento di fanteria (antico convento dei Minoriti), a far
saltare il ponte di S. Francesco sulla strada Nazionale, il
ponte sulla ferrovia presso Villa Alba, allo scopo di ritardare
l’avanzata degli angloamericani, i quali però in
poche ore buttarono un ponte di ferro e legno sul ponte S.
Francesco ristabilendo immediatamente la comunicazione con
Salerno, mentre per l’avanzata dei loro carri armati si
erano serviti della strada ferrata che i tedeschi non avevano
toccata. Altre mine furono poste dai tedeschi agli altri ponti
di Cava e sugli incroci stradali, ma non ebbero il tempo di
farle brillare.
Distruzioni per i bombardamenti
Tra gli edifici distrutti o danneggiati
dai colpi di artiglieria e dai bombardamenti aerei vi furono:
la Basilica dell’Olmo, il fabbricato di S. Maria del
Rifugio, la Chiesa ed il convento dei francescani, la Chiesa
del Purgatorio, la ex Chiesa di S. Giovanni, I’Asilo
dello stesso nome, il Duomo, il palazzo del Vescovo e della
Curia, il Seminario Diocesano, la Chiesa di S. Rocco, la Chiesa
dell Annunziata, la Chiesa di S. Pietro, ecc.; l’Ospedale
Civile, i palazzi Salsano, Galise, Ferrari, De Filippis,
Bisogno e Banca Cavese, Vitale ecc. lungo il Corso; il palazzo
dei Ciechi in Via Atenolfi; la Casa del Balilla nella Villa
Comunale; numerose case del Corpo di Cava, S. Arcangelo,
Passiano, S. Lucia, Pregiato, Annunziata, S. Pietro, Dupino, ed
un po’ dappertutto in tutte le contrade di Cava.
Quartier generale dell’esercito di
liberazione
A Cava si concentrò il Quartiere
Generale del risorto Esercito Italiano di Liberazione, ed il
primo Reparto, costituito sì e no da una Compagnia,
formata da soldati racimolati tra gli sbandati, si
addestrò giorno per giorno nelle nostre campagne
finché fu inviato sul fronte di Cassino, dove ebbe la
prova del fuoco, e riscattò l’onore che era stato
calpestato ed avvilito nei momenti di marasma, ma che
assolutamente non avrebbe potuto mai essere distrutto. A Cava
si stabilì anche il Governo Greco in esilio, e si
organizzò per ritornare in patria non appena la Grecia
fu anche essa liberata dall’occupazione tedesca.
Tratto da “Sommario
storico-illustrativo della Città della Cava” di
Domenico Apicella - Edizione Il Castello 1978
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