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Cavese


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storia
poi il fascismo, i tedeschi, gli alleati e le macerie




Arriva il tram sulla “Via Nova”
Nell’agosto del 1909 sotto il sindaco Guglielmo Mascolo fu inaugurato il tratto Salerno - Cava della Tranvia Elettrica della Provincia di Salerno (TEPS) costituita nel 1906 come società anonima di nazionalità belga. Il primo convoglio, formato da una motrice e da un rimorchio imbandierati e carichi di personalità, arrivò alla stazione terminale dell’incrocio di Via Municipio con la Via Nova, strada questa, la quale era stata costruita nel 1906 appositamente come variante al Corso, per evitare che il traffico pesante passasse nell’interno del Borgo, e per rendere possibile il transito ai grossi convogli tranviari. Il Comune offrì un ricco buffet agli invitati alla inaugurazione. Per l’ulteriore prolungamento della linea verso Pompei, fu impiantata una sottostazione elettrica in un capannone costruito accosto al macello in via Caliri. Nel 1912 la tranvia fu acquistata dal cavese Michele Coppola, che la gestì per molti anni e poi la vendette alla SAIM, società anonima costituita da Carmine De Martino per la coltivazione e cura del tabacco nella piana di Salerno. Con la nuova gestione di De Martino la tranvia si tramutò in filovia, dapprima fino a Pagani, poi fino a Pompei, poi estesa fino a Battipaglia, a Sanseverino e, con gli autobus, fino a molte altre zone intorno Salerno.
Alla SAIM nel secondo dopoguerra si sostituì dapprima la SO.ME.TRA. (Società Meridionale Trasporti) e poi l’ATACS (Azienda Trasporti Autofiloviari Consorzio Salernitano) costituita da un Consorzio tra l’Ente Provincia ed i Comuni serviti dalla rete di filobus ed autobus.
Sotto il sindaco Mascolo fu anche costruito il lazzaretto nella frazione Dupino, per isolare dalla città gli ammalati di mali epidemici e contagiosi. Una manifestazione di colera si ebbe nello stesso anno, e poi nel 1918 si ebbe la famosa epidemia di febbre detta “spagnola”, che portò in pochi giorni alla tomba molti giovani cavesi di ambo i sessi.
Nuovi fabbricati
Fino al 1910 l’edificazione di nuovi fabbricati al borgo fu pressoché nulla essendosi limitati i proprietari delle vecchie case ad effettuare soltanto dei sovralzi. Purtuttavia avemmo la costruzione dei palazzi Di Marino dietro al Vescovado, la costruzione del palazzo Coppola al lato della Chiesa di S. Rocco sul Corso, e degli altri palazzi lungo il vicolo S. Rocco. Il palazzo Baldi in quel vicolo era stato già costruito prima del 1900 da Paolo Marino Baldi. armiere, il quale era venuto a Cava da Pozzuoli, dove già aveva avuto una fabbrichetta che aveva fornito armi a Garibaldi.
Nel 1912 venne edificato in legno il Cinema Moderno nel terreno di Vincenzo Siani di fronte al palazzo Della Corte, e Vincenzo Di Mauro costruì il primo palazzo a destra di Via Atenolfi salendo dal Corso. Le Ferrovie dello Stato estesero il raddoppio del binario da Nocera fino a Cava, e qualche anno dopo lo allungarono fino a Salerno. Il sistema di trazione ferroviaria fu elettrificato nel 1938 fino a Battipaglia.
Morti e decorati nella guerra libica
Alla guerra libica del 1912 i cavesi parteciparono in numero di 140 soldati oltre agli ufficiali, e tutti si distinsero per disciplina e valore. In quella campagna furono decorati con medaglia di argento i tenenti Nicola Cimino, Enrico Papa e Vincenzo Apicella; con medaglia di bronzo il capitano Luigi Parisi e Camillo Olioli, il sottotenente Umberto Mandoli ed il bersagliere Vincenzo Trabucco; ebbero encomio solenne i soldati Gerardo Cortone, Nicola Coppola e Vincenzo Baldi. Unico cavese che vi perdette la vita fu il soldato Francesco Troiano, amato fratello della madre di chi scrive queste note. Un valoroso medico Dott. Emilio Santoli, cavese di adozione, che aveva già partecipato alla guerra di Eritrea, morì appena rientrato a Cava dalla guerra libica nel 1913, per malattia contratta nel deserto.
La Manifattura grazie a De Marinis
Nel 1912 si verificò un fatto di vitale importanza nella economia della nostra vallata: la istituzione da parte dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato della Manifattura dei Tabacchi a Cava nell’ex fabbricato del Conservatorio di S. Maria del Rifugio a Viale Crispi, che il Comune vendette in quell’occasione allo Stato. La istituzione della Manifattura a Cava fu dovuta all’interessamento del cavese Enrico De Marinis, deputato al Parlamento e Ministro della Pubblica Istruzione. Questa industria di Stato ha dato e dà pane a centinaia e centinaia di famiglie cavesi.


Cava fu avvampata anche essa dall’entusiasmo per l’ultima guerra dell’lndipendenza. Fu fatta molta propaganda nelle scuole, ed il fervore fu grande, specialmente tra i giovani, alcuni dei quali partirono volontari prima che la loro classe venisse chiamata alle armi.
La città dette in olocausto alla patria in quella guerra ben 244 giovani vite tra ufficiali e soldati, caduti sul fronte per l’adempimento del loro dovere; altri 105 cavesi morirono successivamente per causa di guerra, e numerosi altri ne portarono le stimmate di mutilazioni e menomazioni per tutta la vita. Sette caduti furono decorati con medaglia di argento alla memoria: i sottotenenti Rosario Senatore, Giovanni Bassi, Francesco Alfieri; i tenenti Gaetano Accarino, Francesco Vecchione, Adolfo Casaburi; i capitani Osvaldo Galione e Umberto Mandoli. Alla memoria di ciascuno di essi fu intestata una strada cittadina, così come molte altre strade furono intestate ad altri caduti.
Il Monumento ai Caduti
La città di Cava ha avuto devoto il culto dei suoi morti in guerra. Nel 1921 raccolse le spoglie di 40 di essi nella Cappella votiva che venne appositamente eretta nel Duomo; ed innalzò a memoria in Piazza Roma il Monumento della Vittoria Alata, che fu opera dello scultore napoletano Francesco Ierace, e fu inaugurato il 9 Giugno 1929 con l’intervento del re Vittorio Emanuele III.


Verso il 1920 incomincia ad avere incremento a Cava il gioco del calcio. Prima della costruzione del campo sportivo “Arena”, i giovani calciatori disputavano le loro partite in piazza S. Francesco, la quale il mercoledì mattina serviva da campo boario per un mercato che era rinomato e frequentato da tutta la provincia. Il mercato boario passò dopo il 1930 giù a Via Mazzini, dove fu appositamente creato un adatto stanziamento, ma da allora incominciò anche la fine dello stesso mercato, non dovuta tanto all’assorbimento che ne fece il mercato di Nocera Superiore . aperto nel dopoguerra, quanto all’abbandono dell’allevamento del bestiame bovino da parte dei nostri agricoltori, sia perché il terreno veniva ad essi sottratto dall’incremento edilizio, e sia per le troppe cure che l’allevamento comportava. Prima di allora non c’era agricoltore, per quanto piccolo fosse il suo terreno, che non allevasse almeno una mucca.
L’Unione Sportiva Cavese sorse nel 1920. A quelI’epoca gli atleti erano rappresentati tutti da elementi locali. Allora il calcio si intendeva veramente come uno sport e non come uno spettacolo. La prima squadra era costituita dal portiere Pasquale Garzo (altro portiere molto apprezzato era Ippolito Canonico), dai terzini Benedetto Iovane e Raffaele Carratù (u purciello), dagli alfi Alfonso Rodia, Alfonso Avigliano, Mario Luciani e Umberto Guida (fitecchia); dagli attaccanti Ciro Carleo (u lepre - ala sinistra), Gaetano Accarino (palluccella), Vittorio Garzia, Enzo e Franco Pagliara, Giuseppe Gagliardi (‘a signurina) e da Sabatino.
In quel periodo i commercianti locali incominciarono ad arricchirsi ed a diventar sostenitori dello sport del calcio. La squadra di calcio diventò un orgoglio paesano, e si pensò di rinforzarla con elementi più qualificati, che si fecero venire addirittura dalla Ungheria e dalla Cecoslovacchia: tra gli altri Minter, ungherese, e Steiscal, cecoslovacco. Così la Cavese stava per vincere il campionato del centro sud, e fu fermata solo dal Savoia di Torre Annunziata, che era l’abituale vincitore del campionato, e che quell’anno fu battuto dal Genoa nell’incontro nazionale.
Il campo Palmentieri
Poi la floridezza delle economie locali incominciò a scemare anche per effetto della crisi economica mondiale, e la Cavese sopravvisse alla men peggio. Il campo sportivo fu spostato dapprima in un terreno sotto S. Martino, poi nel terreno a sud del vicolo del Purgatorio, e fu intitolato a Franco Palmentieri, caduto nella guerra di Spagna. Dal 1940 al 1942 i campionati di calcio rimasero sospesi in tutta Italia ed il campo sportivo di Cava fu dismesso.
Nel secondo dopoguerra lo Stato provvide a costruire un nuovo campo sportivo in Via Mazzini, accanto al campo boario, e la Cavese riprese la sua attività in serie D. Successivamente il Comune con i contributi dello Stato, utilizzando lo stesso campo e l’attiguo campo boario non più usato per il mercato del bestiame, ha costruito lo stadio per ventimila spettatori, con pista per le altre gare.


 Il periodo fascista
A quell’epoca le organizzazioni politiche a Cava erano costituite dal Partito Popolare dei cattolici, che deteneva la maggioranza consiliare al Comune; dalla Sezione della “Giordano Bruno”; da una folta rappresentanza del Partito Repubblicano, costituita da elementi che più che un’organizzazione seguivano un’idea; dall’Associazione dei Combattenti, che raccoglieva tutti i reduci di guerra sfiduciati dal caos che avevano trovato rientrando nella vita normale. Si costituì anche una formazione di nazionalisti, con le camicie azzurre, guidata dal maggiore Andrea Formosa. Segretario del Partito Popolare era l’attivissimo Dr. Fortunato Pisapia, farmacista; e Sindaco di Cava il popolarissimo ed amatissimo Prof. Raffaele Baldi.
Cava dette anche un legionario fiumano nella persona del Dott. Enzo Malinconico, medico, il quale seguì da volontario Gabriele D’Annunzio nella liberazione di Fiume.
I giovani allora erano organizzati dall’Associazione Scautistica Cattolica Italiana, guidata a Cava da quell’impareggiabile e pio sacerdote che fu il Prof. Mario Violante, collaborato dagli istruttori Giovanni Bisogno, Lelio Galatei e Mario Paolillo. Gli esploratori cattolici (esploratori dai 12 ai 18 anni e lupetti fino ai 12 anni) saranno soppressi quando la legge italiana istituirà come unica organizzazione giovanile l’Opera Nazionale Balilla.
Altra pia istituzione cavese fu quella del Commissariato del Popolo che l’angelico sacerdote Prof. Giuseppe Trezza mantenne in vita, sia pure soltanto col lavoro personale, per tutto il periodo fascista e dopo, soccorrendo gli infelici con ogni espediente e per ogni occasione.
La cosiddetta rivoluzione fascista non ebbe in Cava alcun episodio di rilievo. Non ci furono squadristi, né antemarcia, ed alla marcia su Roma partecipò uno studente ginnasiale che fece piuttosto una scappata quando vide passare per Cava il treno delle camicie nere diretto a Roma. Né si verificarono a Cava violenze alle persone: fu fatta scoppiare una bomba sotto al palazzo ai Pianesi dell’allora sindaco Prof. Raffaele Baldi per indurlo a passare dalla parte fascista. fu saccheggiato il Circolo dell’Unione di cui era presidente l’Avv. Pietro De Ciccio. Ci fu ogni tanto qualche scenata in cui volò qualche scapaccione o qualche ceffone, ma non ricordiamo che ci fossero state purghe di olio di ricino che i fascisti davano agli antifascisti. Alcuni elementi che notoriamente erano stati socialisti, furono presi e trattenuti in camera di sicurezza per diversi giorni ogni volta che a Cava si svolgeva qualche importante manifestazione fascista o passava per ferrovia Benito Mussolini o Vittorio Emanuele III o qualche componente della famiglia regale o qualche pezzo grosso del fascismo.
L’iniziativa di costituire il Fascio a Cava fu presa da alcuni giovani, i quali elessero a Segretario Politico l’allora conte Andrea Genoino. Egli però non si curò di portare l’atto costitutivo alla Federazione di Salerno; cosa che invece fece Alessandro Volpe che a sua volta aveva costituito un altro Fascio ottenendone il riconoscimento. Immediatamente dopo, però, la Federazione di Salerno intervenne, dichiarò irregolari l’una e l’altra costituzione, ed organizzò a sua volta la Sezione ufficiale, della quale fu eletto Segretario il Prof. Francesco Santoro, già preside del nostro Ginnasio. Egli tenne la carica per molti e molti anni fino a diventarne quasi una istituzione.
Le elezioni amministrative del 1924, che furono svolte nel clima e nelle modalità in cui si svolsero quelle elezioni in tutta Italia, portarono al Comune la lista del Fascio Littorio con alla testa il Sindaco notar Arturo Della Monica, il quale nel 1926 fu nominato Podestà, quando il Fascismo sostituì il sistema elettivo delle amministrazioni locali con quello della nomina diretta da parte del Governo.
Il notar Della Monica mantenne la carica fino al 1937, quando, per la insofferenza manifestata specialmente dai giovani universitari, fu invitato a dare spazio ad altri.
Gli assessori eletti nella Lista del Littorio nel 1924 furono l’Avv. Giuseppe Bisogno, I’Avv. Giovanni Amabile, Carmine Giordano, il Dott. Carmine Monica, Guglielmo Benincasa e Giulio Della Corte.
La ripresa della villeggiatura
Dal 1925 Cava tentò di riprendere il vecchio ruolo di centro di soggiorno e villeggiatura estiva con varie iniziative per attrarre i forestieri, e soprattutto mantenendo pulita la città. Nel 1926 essa ottenne il Decreto Ministeriale che la dichiarava Stazione di Soggiorno, Turismo e Cura; fu la prima città della Campania ad ottenere tale riconoscimento e la quinta in tutta Italia. E francamente dobbiamo dire che tale ruolo riuscì a mantenere onorevolmente fino alla seconda guerra mondiale.
La Casa del Balilla fu inaugurata anche essa da Vittorio Emanuele III quando venne a scoprire il Monumento ai Caduti. La Casa fu costruita su suolo della Villa Comunale dal Fascio locale, il quale impose ai nostri contadini coltivatori di tabacco di devolvere “volontariamente” qualche chilogrammo del loro raccolto per la costruzione dell’edificio, che fu donato all’Opera Nazionale Balilla.
Dalla Casa del Balilla al C.U.C.
La Casa del Balilla fu colpita dagli obici della marina nel Settembre del 1943 e stava per essere addirittura rasa al suolo da vandali per ricavarne materiale per la riparazione di altri edifici. Chi scrive queste note, fece in tempo a richiamare, insieme con Alberto Accarino, l’attenzione delle autorità dell’epoca ed a salvare così l’edificio, il quale però venne ricostruito solo nel 1953, perché con la caduta del Fascismo la Casa del Balilla, come tutti gli altri beni fascisti, passò in proprietà dello Stato, e soltanto nel 1953 il Comune potette riacquistare per un prezzo, sia pure simbolico, la proprietà di quello che era già della città. Dopo la ricostruzione la Casa fu concessa in locazione ai giovani del Club Universitario Cavese dalla maggioranza consiliare. Avverso tale concessione fu proposto reclamo dalla opposizione, ma esso fece la fine che han fatto in questa democrazia tutti i reclami delle opposizioni.
Il terremoto del ’30
Nella notte tra il 22 ed il 23 Luglio 1930 ci fu una forte scossa di terremoto. Altra scossa memorabile dovette essere quella del 17 Novembre 1857. Dalla scossa del 1930 furono lesionati quasi tutti i palazzi del Borgo e si dovettero puntellare, e quindi si dovettero rinforzare le fondazioni. Si ebbero delle repliche di assestamento e l’immagine della Madonna dell’Olmo fu portata in processione per Cava perché scongiurasse danni maggiori.
Via XXV Luglio per le filovie
La tranvia Salerno - Pompei fu tramutata in filovia nel 1938, quando fu inaugurato il primo tratto Salerno - Pagani. Era allora Podestà di Cava l’ammiraglio Francesco Accini. Fu, per l’occasione, costruita la variante stradale (ora Via XXV Luglio) tra la Stazione Ferroviaria e le Taverne Vecchie, per consentire che le vetture filoviarie di grossa mole potessero avere un percorso rettilineo. Fu, inoltre, aperto il deposito delle vetture filoviarie in Via Mazzini, dove tuttora esiste di fronte all’Edificio delle Scuole Elementari.
Nel 1939 fu anche aperta, col nome di Via degli Aceri, la congiungente di Via Mazzini con la Statale n. 18. Dopo di che l’edificazione a Cava fu paralizzata dalla seconda guerra mondiale.
Illusione mondana durante il fascismo
Da quanto da noi esposto si vede che Cava nei primi quarant’anni di questo secolo era rimasta pressoché la stessa del secolo scorso una città costituita maggiormente da villaggi, e vivente a tipo patriarcale, in prevalenza dei prodotti dei campi, che erano sfruttati con maestria dai nostri valenti agricoltori. Intanto però la popolazione era cresciuta e si era fatto sentire il disagio della penuria di case. I giovani che contraevano matrimonio dovevano aumentare i componenti dell’una o dell’altra famiglia, perché non si trovavano case di abitazioni libere, né se ne costruivano.
In buona sostanza durante il fascismo Cava si trastullò con gli ultimi sprazzi della villeggiatura, beandosi di ricordi e di illusioni, e giuggiolandosi di essere il centro della vita mondana della provincia di Salerno. Salerno allora era ancora un grosso paesone che non aveva altra fortuna se non di essere il centro di tutta la vita amministrativa della provincia.
Fine degli antichi mestieri
La fine delle antiche arti e degli antichi mestieri locali incominciò a portare la decadenza anche di Cava come centro commerciale e culturale. In passato, quando i piccoli commercianti dei paesi lontani della provincia di Salerno e della Basilicata venivano ancora qui per i rifornimenti di tessuti, ne approfittavano per acquistare anche tutto l’occorrente per i loro empori paesani, dall’ago agli attrezzi per l’agricoltura e per tutti i mestieri. Venuto meno il commercio cavese dei tessuti all’ingrosso e sviluppatosi il trasporto ferroviario, quelli della Bassa Italia videro più comodo proseguire in treno fino a Napoli, dove trovavano un mercato più ampio ed anche più conveniente. E poiché il ruolo di Cava come centro di cultura era stato nesso e connesso al suo commercio, gli studenti forestieri incominciarono ad abbandonare anche essi Cava, rimanendo fedeli soltanto alle Scuole del Monastero della SS. Trinità, perché ad esse era annesso il collegio che sottraeva gli allievi dalle distrazioni mondane. A poco a poco gli ultimi commercianti all’ingrosso cavesi si trasferirono a Napoli, e Cava perdette l’antico ruolo, il quale poi sarà acquistato da Salerno dopo la seconda guerra mondiale, quando, con lo sviluppo dei mezzi automobilistici di comunicazione, i commercianti del Sud della provincia troveranno più comodo e speditivo fermarsi per i loro acquisti a Salerno anziché raggiungere Napoli.
Mobilitazione per le colonie
Quando esplose l’enfasi guerriera fascista anche Cava fu travolta dalla generale imbonitura e sopportò anche essa “volontariamente” tutti i sacrifici che le furono imposti, e “volontariamente” ne subì tutte le conseguenze. Nel febbraio del 1935 partirono da Napoli i primi battaglioni delle camicie nere e Mussolini annunziò una serie di provvedimenti per la sicurezza delle nostre colonie in Africa Orientale. Il 31 Maggio venne ordinata la mobilitazione di sei divisioni in Italia per garantire la difesa delle colonie. A Cava de’ Tirreni si concentrarono i battaglioni libici della divisione “Tre Gennaio”; i battaglioni arrivarono il 30 Giugno e furono accolti con una grande manifestazione delle organizzazioni fasciste, anche se quel pomeriggio fu tormentato da una pioggia quasi torrenziale. La “Tre Gennaio” rimase per alcuni mesi allogata a Pregiato ed a Dupino e poi partì per l’Africa Orientale. Nella guerra contro l’Etiopia caddero i cavesi: serg. Giuseppe Guarino, marin. Gennaro Baldi e sold. Vincenzo Senatore.
Ringhiere donate alla Patria
Il 18 Novembre 1935 la Società delle Nazioni deliberò di imporre all’Italia le sanzioni economiche consistenti nell’escluderla dagli scambi internazionali. Il fascismo fece appello allora al cuore degli italiani, i quali “ volontariamente” come dicevano le notizie ufficiali del regime, presero a donare oro e fedi coniugali), argento, rame (gli utensili di cucina), lana, ferro ecc. alla Patria. Allora furono tolte le ringhiere di ferro, anche di valore, a tutte le ville di Cava e sostituite con manufatti di muratura.
Sacrificati per il Caudillo
In Ispagna scoppiò la guerra civile, e Germania ed Italia sottobanco parteggiarono per il falangismo del generale Francisco Franco, e gli inviarono aiuti. E così anche “volontariamente” partirono trentaquattro cavesi per andare a combattere su terra spagnuola nelle file dei “legionari”. Nella tragica rotta di Guadalajara in Ispagna caddero i due cavesi più generosi, il capomanipolo Francesco Palmentieri e Mario D’Andria. Si seppe poi che il capomanipolo Palmentieri si era sacrificato per consentire ai suoi commilitoni la ritirata, e che D’Andria ne aveva seguito la sorte perché troppo attaccato a lui. Ed in combattimento aereo nel cielo di Saragozza cadde nell’aprile del 1937 il sergente maggiore Lanfranco Trincia. In Ispagna caddero anche Alessandro Milito e Pacifico Sorrentino.


Nel 1940 entrammo in guerra perché pareva che, con l’invasione della Francia da parte della Germania la guerra stesse lì per lì per finire, e Mussolini voleva assidersi da vincitore anche lui al tavolo della pace. Ma gli alleati contro la Germania non capitolarono, e ci trovammo anche noi coinvolti nella seconda guerra mondiale, nella quale tutta la gioventù cavese fu inviata su ogni fronte a macerarsi in odi che i più non sentivano, ed in audacie che non si giustificavano, tra il freddo congelante delle lunghe invernate della Russia ed il fuoco rovente delle sabbie del deserto africano.
Nel Marzo del 1941 giunse notizia della morte dei primi due giovani cavesi: il marinaio elettricista Giuseppe Ronca ed il marinaio fuochista Antonio Adinolfi.
Il bilancio dei nostri militari caduti nella seconda guerra mondiale è stato di undici ufficiali e 199 tra graduati ed uomini di truppa di fanteria e di ogni specialità, oltre ad un’altra ventina di cui all’Associazione caduti in guerra non è stato ancora possibile rilevare le generalità. Qui per brevità diamo l’elenco dei soli ufficiali: Magg. Marcello Garzia; Capt. Pietro Guerritore e Capt. Celestino Rosati; Ten. Francesco Carillo, Ten. Arturo Guerritore. Ten. marin. Andrea Mele, Ten. Francesco Spedalieri; Sottotenenti: Luigi Marciano, Michele Pellegrino, Giuseppe Senatore e Mario Senatore.
Tempo di guerra
Durante la prima fase della seconda guerra mondiale, Cava apparve quasi spopolata, perché tutti i suoi figli delle classi giovani erano stati chiamati alle armi.
Per procurare il ferro alla Patria fu anche tolta la ringhiera della fontana di Piazza Duomo, mentre il terreno dell’aiuola e quello della villa comunale e degli altri spiazzi verdi pubblici, furono tramutati in “orticelli di guerra” per combattere la guerra alimentare. Furono costruiti in Piazza Roma, in Piazza S. Francesco e presso la Stazione Ferroviaria, i rifugi antiaerei lunghi tunnel di cemento armato, che a tutto servirono, fuorché a riparare la gente, la quale in caso di necessità preferì sparpagliarsi per la campagna. Furono altresì costruite le casermette in cemento per le postazioni delle mitragliatrici.
All’inizio dell’estate del 1943, che fu definita e fu veramente la più lunga di quante ne abbiamo viste, gli allarmi, specialmente di notte, non furono più finti, e da Napoli e da Salerno sottoposte alle incursioni aeree, si intensificò lo sfollamento, sicché molti napoletani e molti salernitani si rifugiarono a Cava. Il 21 Giugno ci fu il primo bombardamento aereo a Salerno.
La caduta del Fascismo
La sera del 25 Luglio il comunicato della caduta del fascismo e dell’arresto di Mussolini non fu una sorpresa per alcuni che già avevano saputo, attraverso le onde misteriose dell’insofferenza, che il fascismo sarebbe caduto al rientro di Mussolini dal colloquio avuto con Hitler a Feltre. L’indimenticabile Ugo Vatore, giornalista del Popolo d’Italia e carissimo amico di chi scrive queste note, era infatti sceso a Cava da Milano quattro o cinque giorni prima, appositamente per organizzare le manifestazioni popolari nel giorno della caduta del fascismo.
La mattina del 26 Luglio gruppi di dimostranti indussero l’ultimo Podestà a cancellare personalmente con calce le scritte fasciste sulle pareti di piazza Duomo; fecero togliere dagli uffici comunali i simboli e le fotografie del passato regime; occuparono la Casa del Fascio, la Sede della Milizia e quella del Dopolavoro, sfasciando i mobili ed incendiando le carte; furono aperte anche le carceri. Nel pomeriggio fu costituita ufficialmente da Ugo Vatore, Alberto Accarino, Giulio Brunetto, Pasquale Panza e chi scrive queste note, la sezione cavese della Italia Libera, che già prima esisteva soltanto nelle loro intese con altri.
Poi molti uffici pubblici di Salerno incominciarono a trasferirsi a Cava, e non si dormì più di notte, a cagione dei bombardamenti dal cielo, a cui furono sottoposti gli impianti militari e la stazione ferroviaria del Capoluogo di Provincia. Il colonnello Remo Ambrogi fu nominato Comandante militare, il maggiore Alfonso Benincasa fu nominato Commissario militare e l’Avv. Pietro De Ciccio fu nominato dalla Prefettura Commissario civile del Comune; egli chiamò in funzione di vice commissario l’Avv. Luigi Mascolo.
La popolazione si preparò ai tempi duri che sarebbero venuti con l’avvicinarsi delle truppe angloamericane, ed i commercianti più avveduti, cercarono di trasferire una parte delle loro mercanzie nelle abitazioni di riparo, che si erano procurate facendosi ospitare nei villaggi.
Arrivano gli Americani
La sera dell’8 Settembre, però, nell’ascoltare il comunicato dell’Armistizio diffuso dalla radio, i più credettero che per noi fosse venuta la fine della guerra; non così noi che sapevamo che quello sarebbe stato il preludio di maggiori sventure.
Nelle prime ore della notte, infatti, ebbero inizio le operazioni di sbarco degli alleati nel golfo di Salerno, e l’orizzonte meridionale di Cava diventò tutto una fantasmagoria di scie di proiettili traccianti e di razzi luminosi, con colpi di obici e di bombe che avrebbero fatto pensare ad una colossale festa pirotecnica, se l’ora non fosse stata terribilmente tragica. All’apparire dell’alba gli alleati erano arrivati alle porte di Cava ed una loro pattuglia ebbe un primo scontro a fuoco con i tedeschi sul ponte di San Francesco. Una camionetta inglese entrò perfino nell’abitato e distribuì sigarette e cioccolata. Poi i tedeschi concentrarono i loro carri armati lungo il Corso Umberto per tenerli al riparo dalle batterie alleate dal mare, e dall’aviazione dal cielo. La popolazione abbandonò il Borgo e si rifugiò in massa nella Badia dei Benedettini o si sparpagliò per la campagna riparandosi nelle case coloniche.
Saccheggi e atti di abnegazione
I soldati tedeschi, per approvvigionarsi di dolciumi e di sigarette, scassinarono le tabaccherie e le pasticcerie, mentre i più spregiudicati della popolazione fecero il resto, incitando i tedeschi a svellere con i carri armati le porte di tutti i negozi. Alcuni cavesi, infatti, in quel periodo persero addirittura la testa, e si comportarono come se fosse venuta l’ora dell’apocalisse e l’ordine pubblico non sarebbe stato mai più ristabilito. Molti altri furono spinti al saccheggio in buona fede, per procurarsi i viveri in quel marasma in cui non era tanta la preoccupazione di scampare alla morte, quanto quella di sopravvivere alla fame.
Fu saccheggiato il Molino ed il Pastificio Ferro, e ne furono svuotati i grandi depositi di pasta e di grano; furono svuotati i magazzini del Consorzio Agrario che stavano nel vicolo Atenolfi, furono saccheggiati tutti i negozi del Borgo. Una sola porta resistette agli strappi dei mezzi corazzati, e fu quella massiccia che chiudeva la tabaccheria di Piazza Duomo.
Qualcuno scattò fotografie dei saccheggiatori, altri scrissero diari; ma le fotografie sparirono compiacentemente dopo che fu ristabilito l’ordine ed i colpevoli si sarebbero potuti punire; ed i diari sono rimasti nei cassetti di coloro che li scrissero e nel segreto dei loro eredi. Qualche saccheggiatore si registrò anche tra chi pretese di aver fatto da guardiano alle case del borgo abbandonate precipitosamente dai loro proprietari.
Non mancarono, però, atti di abnegazione e tentativi di mantenere l’ordine tra i civili da parte dei più generosi. Alcuni civili furono costretti dai tedeschi a lavori pesanti, pur sotto le cannonate.
Nei venti giorni che durò la battaglia su Cava, si contarono oltre seicento morti tra la popolazione civile. Perì dolorosamente nella propria abitazione, sprofondata per una bomba di aereo, anche il Prof. Raffaele Baldi, insieme con una cognata ed un nipotino.
La spontanea reazione di altra parte della popolazione alle truppe tedesche incominciò non appena queste occuparono il Borgo con i carri armati ed i Villaggi con postazioni di armi pesanti. Questa reazione si tramutò altresì in collaborazione con le truppe alleate, alle quali furon fornite tutte le indicazioni necessarie ad infrangere la resistenza tedesca senza perdite da parte dei liberatori.
Ultime rappresaglie tedesche
Quando gli anglo - americani scacciarono i tedeschi che si erano attestati nel giardino dell’Hotel Scapolatiello al Corpo di Cava, essi furono sollecitati e guidati da ardimentosi, tra cui Edmondo Manzo, Raffaele Vaglia, Francesco Coppola, Carmine Bisogno, Costabile Virtuoso, Michele Di Marino e Mariano Granito: il gestore dell’albergo e gli ospiti civili dello stesso, avevano anche fatto fare bisboccia ai tedeschi fino ad ora tarda, in maniera che all’alba, quando incominciò l’azione alleata, questi si trovarono insonnoliti e presi alla sprovvista: purtuttavia l’azione fu dura e ad essa parteciparono anche gli ardimentosi innanzi indicati.
Alcuni tedeschi si erano portati nella Frazione S. Cesareo per rastrellare giovani da deportare; ma il salernitano Magg. Artg. Pasquale Capone, che trovavasi in convalescenza a Cava, si oppose, ed i tedeschi a colpi di mitra uccisero il di lui padre Matteo ed alcuni agricoltori della zona che avevano partecipato alla resistenza, quindi portarono l’eroico ufficiale nella villa Cardinale, gli fecero scavare la fossa e lo fucilarono.
Luigi Capuano fu trucidato dai tedeschi perché in località S. Vito non volle eseguire l’ordine da essi dato di caricare della roba su di un camion.
Il cavese Mariano Granito guidò gli anglo-americani che da Cava andarono ad assaltare la postazione tedesca che da Capriglia sparava sulle truppe alleate entrate in Cava. L’assalto durò un giorno ed una notte, e ad esso partecipò lo stesso Granito, il quale era stato appositamente armato con un mitra.
Altri cavesi agevolarono ed aiutarono le pattuglie anglo- americane ad eliminare gli ultimi focolai di resistenza tedesca ed a farne prigionieri i componenti.
La mattina del 23 Settembre un carro armato tedesco si accingeva a salire verso la Badia per una azione di rappresaglia contro la popolazione ivi rifugiata; ma nella strettoia che la strada fa a S. Arcangelo, non potette proseguire oltre. Alcuni sconsiderati si fermarono a guardare, ed i tedeschi del carro armato, adirati dall’inconveniente o forse nell’intento di compiere egualmente la rappresaglia, scaricarono su quegli sconsiderati una sventagliata di mitragliatrice che uccise Domenico Russo, Pasquale Avella, Andrea Adinolfi e la piccola Michelina Focarelli.
Ponti saltati in aria
Al nostro Cimitero dall’8 al 28 Settembre 1943 furono portati 125 salme, la maggior parte delle quali decedute per colpi di arma da fuoco o per i bombardamenti. I deceduti in quel periodo furono ben seicento, molti dei quali dovettero indubbiamente perire per la rappresaglia dei tedeschi, i quali non riuscirono a rastrellare giovani da deportare in Germania perché la popolazione era sparpagliata nelle campagne, e perché non ebbero più la possibilità di accedere alla Badia quando avrebbero voluto effettuare rastrellamenti.
Prima di abbandonare Cava i tedeschi provvidero a distruggere i fabbricati del deposito del 400 Reggimento di fanteria (antico convento dei Minoriti), a far saltare il ponte di S. Francesco sulla strada Nazionale, il ponte sulla ferrovia presso Villa Alba, allo scopo di ritardare l’avanzata degli angloamericani, i quali però in poche ore buttarono un ponte di ferro e legno sul ponte S. Francesco ristabilendo immediatamente la comunicazione con Salerno, mentre per l’avanzata dei loro carri armati si erano serviti della strada ferrata che i tedeschi non avevano toccata. Altre mine furono poste dai tedeschi agli altri ponti di Cava e sugli incroci stradali, ma non ebbero il tempo di farle brillare.
Distruzioni per i bombardamenti
Tra gli edifici distrutti o danneggiati dai colpi di artiglieria e dai bombardamenti aerei vi furono: la Basilica dell’Olmo, il fabbricato di S. Maria del Rifugio, la Chiesa ed il convento dei francescani, la Chiesa del Purgatorio, la ex Chiesa di S. Giovanni, I’Asilo dello stesso nome, il Duomo, il palazzo del Vescovo e della Curia, il Seminario Diocesano, la Chiesa di S. Rocco, la Chiesa dell Annunziata, la Chiesa di S. Pietro, ecc.; l’Ospedale Civile, i palazzi Salsano, Galise, Ferrari, De Filippis, Bisogno e Banca Cavese, Vitale ecc. lungo il Corso; il palazzo dei Ciechi in Via Atenolfi; la Casa del Balilla nella Villa Comunale; numerose case del Corpo di Cava, S. Arcangelo, Passiano, S. Lucia, Pregiato, Annunziata, S. Pietro, Dupino, ed un po’ dappertutto in tutte le contrade di Cava.
Quartier generale dell’esercito di liberazione
A Cava si concentrò il Quartiere Generale del risorto Esercito Italiano di Liberazione, ed il primo Reparto, costituito sì e no da una Compagnia, formata da soldati racimolati tra gli sbandati, si addestrò giorno per giorno nelle nostre campagne finché fu inviato sul fronte di Cassino, dove ebbe la prova del fuoco, e riscattò l’onore che era stato calpestato ed avvilito nei momenti di marasma, ma che assolutamente non avrebbe potuto mai essere distrutto. A Cava si stabilì anche il Governo Greco in esilio, e si organizzò per ritornare in patria non appena la Grecia fu anche essa liberata dall’occupazione tedesca.

Tratto da “Sommario storico-illustrativo della Città della Cava” di Domenico Apicella - Edizione Il Castello 1978



Pubblicato come inserto nel numero 1/2 - febbraio 2000 di Panorama Tirreno (visualizza l’inserto)
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